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La pena di morte è una punizione crudele, disumana e degradante che ormai la maggior parte degli stati del mondo ha consegnato alla storia.
Fin dalla nostra fondazione nel 1961, abbiamo iniziato a fare pressione attraverso gli appelli per fermare le esecuzioni dei prigionieri di coscienza, vale a dire persone detenute solo per il pacifico esercizio dei propri diritti.
Negli anni, ci siamo impegnati sempre di più contro la pena capitale a prescindere dal reato commesso. A livello internazionale siamo, ad esempio, tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte. In Italia, dal 2014 collaboriamo con la Task force contro la pena di morte, istituita dal ministero degli affari esteri.
Ogni anno diffondiamo un rapporto sulla pena di morte nel mondo, fornendo dati e informazione dettagliate.
Il numero di esecuzioni a livello globale ha raggiunto nel 2024 il livello più alto dal 2015, con oltre 1500 persone messe a morte in 15 stati.
Tuttavia, per il secondo anno consecutivo, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte è rimasto il più basso mai registrato.
Le condanne alla pena capitale sono diminuite rispetto al 2023 e sono state 2087 in 46 stati.
Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate ha avuto luogo in soli due paesi del Medio Oriente e Africa del Nord: in Iran (74%) e in Arabia Saudita (14%). Negli Usa i progressi degli ultimi anni hanno segnato il passo. Altri passi indietro sono stati registrati nell’Africa subsahariana, dove sono aumentate sia le condanne a morte che le esecuzioni. Il dato non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina.
Verisheh Moradi, una dissidente appartenente alla minoranza curda oppressa in Iran, è a rischio di esecuzione a seguito di un processo gravemente iniquo da parte del Tribunale rivoluzionario di Teheran. Nel novembre 2024 è stata condannata a morte per “ribellione armata contro lo stato” (baghi), ma ha sempre negato di aver imbracciato le armi in Iran.
In una lettera aperta scritta dalla prigione di Evin nell’agosto 2024, Verisheh Moradi ha raccontato che durante il suo arresto gli agenti hanno sparato contro l’auto in cui si trovava, rompendo i finestrini e aggredendola fisicamente.
Le condizioni di detenzione sono state durissime e ha denunciato di aver subito maltrattamenti e tortura. Queste denunce non state mai indagate. In carcere ha sviluppato problemi di salute, ma non ha mai smesso di lottare per le proprie idee. All’inizio del settembre 2024, le autorità giudiziarie hanno aperto un secondo caso contro di lei in relazione alle proteste portate avanti, con altre persone detenute, contro l’uso della pena di morte per stroncare il movimento “Donna Vita Libertà”. Alla fine dello scorso ottobre, è stata condannata a sei mesi di carcere per “disobbedienza a funzionari governativi” in relazione a questa protesta.
Il suo appello è in attesa di giudizio presso la Corte suprema. Aiutaci a fermare la sua esecuzione. Diciamo NO alla pena di morte!
1751 persone hanno firmato
Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce che le esecuzioni dovrebbero limitarsi ai “reati più gravi”, ma gli illeciti per i quali è prevista la pena di morte sono molteplici e profondamente diversi da stato a stato: la maggior parte dei mantenitori la prevede per l’omicidio, altri per terrorismo o reati contro l’ordine costituito, altri ancora per apostasia o reati a sfondo religioso. In alcuni stati, si può essere condannati a morte per adulterio o per aver stretto una relazione omosessuale, anche se consensuale.
Esistono ordinamenti giuridici che prevedono la pena più crudele anche per reati comuni come il traffico di droga.
Esecuzioni per reati di droga sono state registrate in Cina (sebbene non se ne conosca il numero), Iran (505), Arabia Saudita (122), e Singapore (8). %). Non sono disponibili informazioni sul Vietnam. Il numero totale di 637 esecuzioni per reati legati alla droga ha costituito il 42 per cento del totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2024.
Questa storia spiega perché le firme, le mobilitazioni, la sensibilizzazione servono e possono salvare delle vite.
Magai aveva solo 15 anni quando era stato condannato in Sud Sudan alla pena capitale. Anche grazie al nostro lavoro di denuncia e pressione, la notizia della sua condanna a morte ha fatto il giro del mondo. Centinaia di migliaia di persone come te hanno firmato appelli e fatto pressione sulle autorità per chiedere di annullare la condanna a morte. Ha funzionato!
Magai non sarà messo a morte.
La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l’abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. In alcuni paesi, il segreto di Stato che circonda la pena capitale impedisce una corretta valutazione di questo fenomeno.
Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.
Eseguendo una condanna a morte, lo stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell’uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni.
Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’uso della pena di morte nega la possibilità di riabilitazione, di riconciliazione e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine.