Crisi in Myanmar: le donne rohingya hanno partorito i figli nati dagli stupri

8 Luglio 2018

Tempo di lettura stimato: 9'

Le ultime notizie sulla crisi in Myanmar

8 luglio – Gli stupri da parte dei soldati sulle donne rohingya sono stati uno dei marchi più odiosi di quella che l’Onu ha definito “un esempio da manuale di pulizia etnica”.

Dieci mesi dopo, nei sovraffollati campi profughi dalla parte bengalese del confine, i risultati di quelle violenze iniziano a vedersi: bambini nati da madri ancora traumatizzate, a volte minorenni, per di più con la vergogna di essere emarginate dalla loro comunità.

Un’inchiesta dell’Associated Press nei campi ha fatto luce sul dramma vissuto da quelle donne che ora vivono male la gravidanza e i figli frutto di quelle violenze per diverse ragioni: perché si tratta spesso di ragazze che hanno meno di diciotto anni, ma anche perché la comunità di cui fanno parte considera lo stupro uno stigma, una vergogna per chi l’ha subìto.

Perdere la verginità, per di più con il tabù della violenza sessuale e con un figlio mezzo sangue a carico, le rende indesiderabili agli uomini rohingya in cerca di moglie.

E per questo alcune donne vogliono disfarsi dei figli nati dagli abusi.

Nei campi profughi del Bangladesh, stato che confina con il Myanmar e dove hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di civili rohingya, alcune donne incinte sono riuscite a interrompere la gravidanza prendendo una pillola abortiva, ma non tutte. La legge del Bangladesh proibisce l’aborto dopo il primo trimestre e molte donne hanno dovuto dunque portare avanti la gravidanza e poi partorire.

Per le donne che sono rimaste incinte durante le violenze sessuali dello scorso anno dire la verità può significare l’isolamento totale, o rischiare di perdere tutto. Anche per questo motivo non ci sono numeri certi sugli stupri.

22 maggio – Sulla base di numerose interviste che i nostri ricercatori hanno condotto sul campo, nonché dell’analisi condotta da antropologi forensi su numerose immagini, abbiamo verificato che l’Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Arsa) è responsabile di almeno un massacro, e forse di un secondo, in cui 99 uomini, donne e bambini indù sono stati trucidati e di ulteriori uccisioni illegali e di rapimenti di civili indù verificatisi nell’agosto 2017.

Alle 8 di mattina del 25 agosto 2017, l’Arsa ha attaccato la comunità indù di Ah Nauk Kha Maung Seik, che fa parte di una serie di villaggi di una zona chiamata Kha Maung Seik (a nord della città di Maungdaw), in cui gli indù vivevano in prossimità dei villaggi della comunità musulmana rohingya e di quella rakhine, prevalentemente buddista.

Uomini armati vestiti di nero e rohingya in abiti civili hanno rastrellato decine di uomini, donne e bambini indù, li hanno depredati dei loro averi e li hanno condotti bendati fuori dal villaggio. Dopo aver separato le donne e i bambini dagli uomini, i militanti dell’Arsa hanno ucciso 53 persone, a iniziare dagli uomini.

Otto donne e otto dei loro figli sono sopravvissuti dopo che l’Arsa ha obbligato le donne a convertirsi all’Islam. Le 16 persone sono state poi obbligate a seguire i combattenti in Bangladesh e sono state rimpatriate nell’ottobre 2017 con il coinvolgimento delle autorità di entrambi i paesi.

L’elenco delle persone uccise nel villaggio di Ah Nauk Kha Maung Seik che ci è stato consegnato contiene i nomi di 20 uomini, 10 donne e 23 bambini, 14 dei quali non avevano neanche otto anni. Questo elenco coincide con testimonianze raccolte in Bangladesh e in Myanmar, da testimoni, sopravvissuti e capi della comunità indù.

Sempre il 25 agosto 2017, i 46 abitanti del vicino villaggio di Ye Bauk Kyar sono scomparsi. La comunità indù locale ritiene che l’intero villaggio sia stato assassinato dall’Arsa.

Sommando le vittime dei due massacri, il totale è di 99 morti.

28 marzo 2018 – Win Myint è il nuovo presidente di Myanmar.

Le autorità di Myanmar devono cogliere l’opportunità della nomina di un nuovo presidente per fare un passo indietro dal precipizio. L’anno scorso la situazione dei diritti umani è profondamente peggiorata, soprattutto per la comunità rohingya contro la quale è stata lanciata una una campagna di pulizia etnica che ha visto anche compiersi crimini contro l’umanità”.

13 marzo 2018 – Dopo l’ondata di violenza che ha attraversato lo stato di Rakhine in Myanmar, e che ancora persiste con la campagna di pulizia etnica, si assiste ora a un’appropriazione delle terre da parte dell’esercito e la costruzione di nuove basi destinate a ospitare quelle stesse forze di sicurezza che hanno commesso crimini contro l’umanità contro i rohingya.

Attraverso un report dettagliato in cui vengono illustrate le diverse zone militarizzare, denunciamo la presenza dei bulldozer che stanno radendo al suolo ciò che resta dei villaggi dei rohingya, dati alle fiamme mesi fa per far posto a nuove postazioni delle forze di sicurezza.

7 febbraio 2018 – Nuove prove sulla pulizia etnica ancora in corso contro i rohingya. Alla fine di gennaio, i nostri ricercatori hanno intervistato 19 rifugiati rohingya appena arrivati in Bangladesh. Hanno descritto una realtà di famesequestri e saccheggi di proprietà.

Sfoglia tutte le notizie sulla persecuzione del popolo rohingya

2018
2017
2016

Popolo rohingya: le origini della discriminazione

Nel 1948, con la dichiarazione di indipendenza del Myanmar dall’impero coloniale britannico, il popolo Rohingya –il gruppo etnico di religione islamica – rimase escluso dai riconosciuti gruppi nazionali e nel 1982 venne loro ufficialmente negata la cittadinanza. Si è giunti a delineare un popolo che c’è ma non esiste, un’umanità negata dalle formalità giuridiche e burocratiche.

Negli ultimi anni, la situazione dei diritti umani in Myanmar è drasticamente peggiorata: centinaia di migliaia di Rohingya hanno cercato rifugio in Bangladesh per sfuggire alla persecuzione in corso nell nord dello stato di Rakhine. Le persone che non sono riuscite ad abbandonare i villaggi hanno continuato a vivere sotto un regime paragonabile all’apartheid.

Il Rakhine, un tempo miniera d’oro del riso, è oggi uno stato poverissimo e teatro di continue violazioni dei diritti umani.

I Rohingya non hanno cittadinanza, non hanno diritto di voto, hanno grossi limiti nell’accesso all’istruzione. L’ultimo rapporto sullo Stato del Rakhine sottolinea con preoccupazione il problema della radicalizzazione, ragione usata anche come giustificazione per la violenza perpetrata nei confronti di tutta la popolazione Rohingya.
Fra i diritti negati a questo popolo vi sono quello di associarsi, di possedere delle proprietà terriere, di spostarsi, di avere un’identità riconosciuta da un documento. Alle persone di etnia rohingya è inoltre vietato l’accesso alle cure mediche e all’istruzione.

A scatenare l’attuale campagna militare contro i rohingya, sono stati una trentina di attacchi a postazioni dell’esercito da parte del gruppo armato chiamato Esercito di salvezza Arakhan.

In risposta a questi attacchi, i militari si sono resi responsabili di crimini contro l’umanità tra i quali uccisioni di massa di donne uomini e bambinistupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e ragazze, deportazione di massa e incendi sistematici dei villaggi.

Cosa chiediamo

La nostra richiesta è quella di porre fine immediatamente alla campagna di violenza e di abusi dei diritti umani che si perpetra nel nord dello stato di Rakhine.

Chiediamo inoltre che sia assicurato un accesso libero e senza impedimenti allo stato di Rakhine a tutti gli attori umanitari, alle Nazioni Unite, ai giornalisti indipendenti e agli osservatori dei diritti umani e garantire per la loro sicurezza.

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"Il mio mondo è finito": storie dal campo

Crisi in Myanmar: i fatti del 2018

28 marzo 2018 – Win Myint è il nuovo presidente di Myanmar.

Le autorità di Myanmar devono cogliere l’opportunità della nomina di un nuovo presidente per fare un passo indietro dal precipizio. L’anno scorso la situazione dei diritti umani è profondamente peggiorata, soprattutto per la comunità rohingya contro la quale è stata lanciata una una campagna di pulizia etnica che ha visto anche compiersi crimini contro l’umanità”.

13 marzo 2018 – Dopo l’ondata di violenza che ha attraversato lo stato di Rakhine in Myanmar, e che ancora persiste con la campagna di pulizia etnica, si assiste ora a un’appropriazione delle terre da parte dell’esercito e la costruzione di nuove basi destinate a ospitare quelle stesse forze di sicurezza che hanno commesso crimini contro l’umanità contro i rohingya.

Attraverso un report dettagliato in cui vengono illustrate le diverse zone militarizzare, denunciamo la presenza dei bulldozer che stanno radendo al suolo ciò che resta dei villaggi dei rohingya, dati alle fiamme mesi fa per far posto a nuove postazioni delle forze di sicurezza.

7 febbraio 2018 – Nuove prove sulla pulizia etnica ancora in corso contro i rohingya. Alla fine di gennaio, i nostri ricercatori hanno intervistato 19 rifugiati rohingya appena arrivati in Bangladesh. Hanno descritto una realtà di famesequestri e saccheggi di proprietà.

22 gennaio 2018 – Il governo del Bangladesh decide di sospendere l’attuazione del piano, concordato col Myanmar, che prevedeva il rimpatrio di circa 650.000 rifugiati rohingya nel giro di due anni, a cominciare da 1.500 rientri alla settimana.

17 gennaio 2018 – La polizia continua a fare vittime tra la popolazione rohingya. L’esercito di Myanmar ha ammesso che soldati e vigilantes hanno catturato e ucciso in modo sommario 10 rohingya e si sono disfatti dei loro corpi in una fossa comune ai margini del villaggio di Inn Din, nei pressi della città di Maungdaw, nello stato di Rakhine.

A questi omicidi si aggiunge l’uccisione di otto manifestanti da parte della polizia di Myanmar nella città di Mrank-U nello stato di Rakhine.

16 gennaio 2018 – “I rohingya hanno il pieno diritto di tornare e risiedere in Myanmar ma non dev’esserci fretta nel farli rientrare in un sistema di apartheid. Ogni ritorno forzato costituirebbe una violazione del diritto internazionale”.

James Gomez, Direttore regionale di Amnesty International per l’Asia sudorientale e il Pacifico, parla in seguito all’annuncio del ministero degli Esteri del Bangladesh sull’intenzione di rimpatriare tutti i rifugiati rohingya entro due anni.

10 gennaio 2018 –  L’esercito di Myanmar ha ammesso che soldati e vigilantes hanno catturato e ucciso in modo sommario 10 rohingya e si sono disfatti dei loro corpi in una fossa comune ai margini del villaggio di Inn Din, nei pressi della città di Maungdaw, nello stato di Rakhine.

L’esercito ha commesso diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale. Le autorità hanno continuato a limitare l’accesso degli aiuti umanitari in tutto il paese. Sono rimaste in vigore le restrizioni alla libertà d’espressione. L’intolleranza religiosa e i sentimenti antimusulmani sono aumentati. Le violazioni dei diritti umani del passato e quelle attuali sono rimaste impunite.

Tutte le ultime notizie di Amnesty International su Myanmar e sulla crisi dei Rohingya, gruppo etnico di religione islamica.

Crisi in Myanmar: i fatti del 2017

29 novembre 2017 –Accordo tra Bangladesh e Myanmar per il rimpatrio dei rohingya. I governi di Bangladesh e Myanmar hanno firmato un accordo per rimpatriare gli oltre 700.000 rifugiati rohingya fuggiti da uccisioni illegali, stupri e incendi di interi villaggi nel corso di operazioni militari condotte nel nord dello stato di Rakhine tra l’ottobre 2016 e l’agosto 2017. Il progetto prevede di trasferire oltre 100.000 rifugiati rohingya sull’isola di Thenger Char.

Sarebbe un terribile errore trasferire i rifugiati rohingya su un’isola inabitabile, lontana da ogni altro insediamento di rifugiati e soggetta a inondazioni“, ha dichiarato in una nota ufficiale Biraj Patnaik, direttore di Amnesty International per l’Asia meridionale.

28 novembre 2017 – La visita di Papa Francesco in Myanmar getta luce sugli orrendi crimini contro i rohingya.

“È un peccato che papa Francesco non abbia usato la parola rohingya durante il suo discorso di oggi in Myanmar, ma il suo appello per il rispetto di tutti i gruppi etnici e per una società inclusiva è benvenuto”, ha dichiarato Ming Yu Hah, vicedirettrice delle campagne sull’Asia sudorientale e il Pacifico di Amnesty International.

22 novembre 2017 – La ricerca: lo stato del Myanmar colpevole di apartheid.

Un lavoro di ricerca di due anni in Myanmar continua a produrre le prove di un crudele sistema di discriminazione istituzionalizzata contro la minoranza rohingya che equivale ad apartheid.

In alcune aree, i rohingya non possono neanche usare le strade e sono obbligati a spostarsi lungo i corsi d’acqua e solo per recarsi in altri villaggi musulmani.

Per i rohingya che riescono a ottenere il permesso, i posti di blocco della polizia di frontiera costituiscono una minaccia costante. Gli agenti li vessano, li obbligano a pagare mazzette, li aggrediscono o li arrestano regolarmente.

Le ricerche di Amnesty hanno evidenziato come, dalla fine di agosto del 2017, le forze di sicurezza di Myanmar abbiano lanciato una campagna mirata di violenze contro la popolazione rohingya, fatta di uccisioni di massa di uomini, donne e bambini, stupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e ragazze, impiego di mine anti-persona e incendi di interi villaggi.

23 ottobre 2017 – Quasi 600.000 rohingya si riversano nella regione di Cox’s Bazar in Bangladesh. In occasione dell’incontro tra gli alti rappresentanti dei paesi donatori presso la sede delle Nazioni Unite di Ginevra, Omar Waraich, vicedirettore per l’Asia sudorientale di Amnesty International ha auspicato un intervento della comunità internazionale.

18 ottobre 2017 – Il report di Amnesty International: Crimini contro l’umanità, oltre 530.000 i rohingya in fuga.

Testimonianze, immagini e dati forniti dai satelliti, fotografie e filmati analizzate dai nostri ricercatori portano alla stessa conclusione: sono vittime di un attacco sistematico e massiccio che costituisce un crimine contro l’umanità.

In base ai racconti di decine di testimoni oculari, responsabili dei peggiori episodi di violenza sono specifiche unità delle forze armate, come il Comando occidentale dell’esercito, la 33ma Divisione di fanteria leggera e la Polizia di frontiera.

15 settembre 2017 – La campagna coordinata di incendi sistematici dei villaggi rohingya nello stato di Rakhine va avanti da oltre un mese.

Le prove sono state raccolte grazie all’analisi dei dati dei rivelatori satellitari antincendio, delle immagini satellitari, delle riprese fotografiche e video dal terreno, così come decine di testimonianze oculari tanto in Myanmar quanto in Bangladesh.

9 settembre 2017 – L’esercito di Myanmar piazza mine antipersona lungo il confine.

L’esercito di Myanmar ha intenzionalmente collocato mine terrestri antipersona, vietate dal diritto internazionale, che nell’ultima settimana hanno ucciso una persona e ne hanno ferite altre tre, tra cui due minorenni di 10 e 13 anni.

La verifica delle testimonianze oculari attraverso il parere di esperti in materia di armi, conferma le violazioni del diritto internazionale che si stanno verificando nella terra di frontiera del nord-ovest dello stato di Rakhine.

5 settembre 2017 – Decine di migliaia di persone non riescono ad accedere agli aiuti umanitari nel nord dello stato di Rakhine. La loro vita è a rischio e soprattutto i rohingya stanno subendo le orribili conseguenze di operazioni militari sproporzionate.

Gli aiuti sono sospesi nel nord dello stato di Rakhine mentre in altre zone le autorità stanno negando l’accesso alle comunità bisognose, soprattutto alla minoranza rohingya. Secondo gli operatori umanitari ascoltati da Amnesty International, le restrizioni erano iniziate all’inizio di agosto ma sono state aumentate dopo gli attacchi contro decine di posti di blocco rivendicati il 25 agosto dal gruppo armato Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan.

14 giugno 2017 – Un nuovo rapporto di Amnesty International denuncia le agghiaccianti violazioni dei diritti umani, compresi crimini di guerra, che le popolazioni civili degli stati di Kachin e Shan subiscono da parte dell’esercito di Myanmar e dei gruppi armati.

Tutte le ultime notizie di Amnesty International su Myanmar e sulla crisi dei Rohingya, gruppo etnico di religione islamica.

Crisi in Myanmar: i fatti del 2016

20 dicembre 2016 – Una nuova ricerca di Amnesty International accusa le forze di sicurezza di Myanmar di uccisioni illegali, stupri di massa e incendi di abitazioni e di interi villaggi commessi nel corso di un campagna di violenze contro la minoranza rohingya, che potrebbero costituire crimini contro l’umanità.

Nel rapporto anche la denuncia di decine di arresti arbitrari eseguiti negli ultimi due mesi durante le feroci e sproporzionate operazioni di sicurezza portate a termine nello stato di Rakhine.

12 novembre 2016 – Due elicotteri dell’esercito di Myanmar aprono il fuoco contro un gruppo di villaggi, uccidendo un numero imprecisato di abitanti e costringendo alla fuga tutti gli altri. Il giorno dopo i soldati incendiano centinaia di abitazioni.

9 ottobre 2016 – Attacchi contro alcuni posti di blocco della polizia di frontiera, attribuito a militanti della minoranza rohingya causano nove vittime. L’ esercito di Myanmar ha lanciato un’operazione di sicurezza su vasta scala nello stato settentrionale di Rakhine.

30 maggio 2016 – Il governo ha formato un nuovo Comitato centrale d’implementazione della pace, stabilità e sviluppo dello stato di Rakhine, presieduto da Aung San Suu Kyi.

24 agosto 2016 – Aung San Suu Kyi ha istituito una Commissione consultiva per affrontare la questione dello stato di Rakhine, che è presieduta dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.