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‘Questa è la cosa peggiore che possa accadere. Se qualcuno muore, piangi e le persone ti consolano e dopo un po’ di tempo te ne fai una ragione, ma se qualcuno scompare, non riesci a respirare, è la più dolorosa delle agonie‘.
Amina Masood Janjua ha visto suo marito per l’ultima volta il 30 luglio 2005, quando Masood Ahmed Janjua uscì di casa per incontrare un amico. Secondo testimoni oculari, i due uomini, saliti a bordo di un autobus diretto verso Peshawar, sono stati arrestati dalle forze di sicurezza pakistane.
In Pakistan, come in Algeria, Marocco, Cecenia, Bosnia Erzegovina, Kossovo, Nepal, Libia e tanti altri paesi, familiari delle vittime di sparizioni forzate aspettano il giorno in cui la persona cara tornerà a casa pur sapendo che questa attesa potrà durare tutta la vita; ignorano dove il loro familiare si trovi e persino se sia ancora in vita.
Dagli anni ’80, Amnesty International e le Nazioni Unite hanno ricostruito le vicende di migliaia di persone scomparse in più di 80 paesi.
La sparizione forzata è un crimine contro l’umanità e una violazione multipla dei diritti umani: di chi è scomparso dopo essere stato catturato e dei suoi familiari che attendono invano per anni il suo ritorno o anche di avere la minima notizia su cosa gli sia accaduto.
Alla fine del 2010, è entrata in vigore, a quattro anni dalla sua adozione, la Convenzione delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate.
Questo trattato obbliga gli stati a introdurre il reato di ‘sparizione forzata’ nella legislazione nazionale, a proteggere i testimoni e a perseguire sul piano penale ogni persona coinvolta; riconosce il diritto delle famiglie a sapere la verità e a ottenere la riparazione del danno; chiede agli stati di prevenire le sparizioni forzate mediante rigorose garanzie a tutela delle persone private della libertà, di svolgere ricerche sugli scomparsi e, qualora risultino deceduti, di individuarne i resti e restituirli alle famiglie; infine, chiede agli stati di avviare procedimenti penali nei confronti di presunti autori di sparizioni forzate nel loro territorio, a prescindere da dove il crimine sia stato commesso, oppure di estradarli verso un altro stato o di consegnarli a un tribunale penale internazionale.
Se ci sarà una ratifica universale – tra gli stati che devono ancora ratificarla c’è anche l’Italia – e precise norme di attuazione, la Convenzione potrà impedire che questo crimine internazionale resti impunito e potrebbe spingere le autorità a pensarci due volte prima di commettere un tale crimine o aiutare altri a commetterlo.