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Secondo quanto ricostruito dai ricercatori sul campo di Amnesty International, che hanno parlato con testimoni oculari, tra il 4 e il 6 luglio i talebani hanno massacrato nove uomini di etnia hazara dopo aver preso il controllo della provincia afgana di Ghazni.
Queste brutali uccisioni rappresentano solo una piccola parte del bagno di sangue compiuto fino a oggi dai talebani, poiché questi hanno interrotto i servizi di telefonia mobile in molte delle aree conquistate e controllano quali fotografie e quali video vengono condivisi.
“Quanto accaduto nella provincia di Ghazni è un terribile richiamo del passato, un’orribile indicazione di cosa potrà significare il passaggio del potere nelle mani dei talebani e la conferma che le minoranze etniche e religiose sono in grande pericolo”, ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Chiediamo al Consiglio Onu dei diritti umani di adottare una risoluzione d’emergenza per pretendere dai talebani il rispetto del diritto internazionale dei diritti umani e garanzie sull’incolumità di tutti gli afgani, a prescindere dalla loro origine etnica o dal loro credo religioso”, ha aggiunto Callamard.
“Sempre al Consiglio Onu dei diritti umani chiediamo di avviare un meccanismo d’indagine efficace per documentare, raccogliere e conservare le prove dei crimini in corso in Afghanistan”, ha proseguito Callamard.
Cosa è successo nella provincia di Ghazni
Il 3 luglio, a seguito dell’intensificarsi degli scontri tra i talebani e le forze governative, 30 famiglie del villaggio di Mundarakht hanno lasciato le loro abitazioni e hanno raggiunto i loro pascoli estivi in montagna.
La mattina dopo, poiché le scorte alimentari non erano sufficienti, quattro uomini e quattro donne sono tornati nel villaggio, dove hanno trovato le loro case saccheggiate e i talebani in attesa del loro arrivo.
Wahed Qaraman, 45 anni, è stato tirato fuori dalla sua abitazione. I talebani gli hanno spezzato braccia e gambe, gli hanno sparato alla gamba destra, gli hanno strappato i capelli e lo hanno colpito al volto con un oggetto appuntito.
Jaffar Rahimi, 63 anni, è stato accusato di lavorare per il governo afgano solo perché gli hanno trovato delle banconote in tasca. Lo hanno strangolato con la sua sciarpa. Le persone presenti al funerale hanno dichiarato che il suo corpo era pieno di ferite e i muscoli erano usciti da entrambe le braccia.
Sayed Abdul Hakim, 40 anni, è stato prelevato dalla sua abitazione. I talebani lo picchiato coi bastoni e coi calci dei fucili, gli hanno sparato due volte a una gamba e due volte al petto, poi si sono disfatti del corpo in un vicino torrente.
“Abbiamo chiesto ai talebani perché lo avessero fatto e ci hanno risposto che quando c’è la guerra chiunque muore, che abbia un’arma o meno”, ha dichiarato un testimone che ha assistito ai funerali.
Altri tre uomini – Ali Jan Tata di 65 anni, Zia Faqeer Shah di 23 anni e Ghulam Rasool Reza di 53 anni – sono stati uccisi ai posti di blocco dei talebani nei due giorni successivi mentre, dopo essere scesi dalla montagna, stavano attraversando il villaggio di Mundarakht per raggiungere quello di Wuli.
Ad Ali Jan Tata hanno sparato al petto, a Ghulam Rasool Reza al collo. Il petto di Zia Faqeer Shah era così dilaniato di colpi che non è stato possibile ricomporre il corpo per il funerale.
Le ultime tre vittime sono Sayyed Ahmad, 75 anni, che aveva dichiarato a tutti che i talebani non gli avrebbero fatto nulla perché era anziano, ucciso con due proiettili al petto e uno su un fianco mentre andava a nutrire il suo bestiame; Zia Marefat, 28 anni, sofferente di depressione, ucciso con un colpo alla tempia; e Karim Bakhsh Karimi, 45 anni, un uomo con disturbi mentali rimasto nel villaggio e ucciso con un colpo alla nuca.