Apartheid israeliano contro i palestinesi: lo dice anche il Relatore speciale Onu sul diritto a un alloggio adeguato

29 Ottobre 2022

© Oren Ziv

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Il 28 ottobre, di fronte all’Assemblea generale, il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un alloggio adeguato ha presentato un rapporto in cui afferma che il sistema di oppressione e di discriminazione razziale che porta alla distruzione delle abitazioni palestinesi è “a dir poco apartheid”.

Amnesty International ha apprezzato le parole del relatore speciale, pronunciate mentre è in corso un’escalation degli attacchi ai palestinesi e alle loro proprietà.

Nelle ultime settimane, famiglie palestinesi impegnate nell’annuale raccolta delle olive sono state attaccate dai coloni israeliani, col diretto appoggio delle forze armate israeliane. Dal 12 ottobre, l’esercito israeliano ha chiuso la città di Nablus e i villaggi circostanti, con pesanti conseguenze sulla vita quotidiana di migliaia di persone. La chiusura, disposta a seguito di diverse sparatorie contro soldati israeliani, rappresenta una punizione collettiva ed è pertanto un atto illegale.

“Sono ormai molti gli esperti sui diritti umani i quali ritengono che Israele stia commettendo il crimine di apartheid contro i palestinesi e la presentazione del rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un alloggio adeguato non poteva essere più tempestiva di così”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Non solo continuano le minacce di sgomberi forzati, demolizioni e trasferimenti forzati: ultimamente c’è stata anche un’allarmante escalation di attacchi contro le abitazioni e le città palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata. Incursioni militari, chiusure, attacchi dei coloni sostenuti dai militari, demolizioni di abitazioni e distruzioni di proprietà sono tutti esempi del sistema di apartheid israeliano”, ha aggiunto Morayef.

Nel suo rapporto, il relatore speciale cita numerosi esempi di politiche e leggi israeliane usate per confiscare terreni e proprietà palestinesi, come la Legge sulle proprietà degli assenti e le procedure per la registrazione dei terreni.

Le autorità israeliane ricorrono inoltre alle dichiarazioni di “poligono di tiro” o “zona militare chiusa” per confiscare i terreni palestinesi. Circa il 20 per cento della Cisgiordania occupata è stata dichiarata “poligono di tiro”: lì la presenza dei palestinesi è vietata in assenza di un permesso dell’esercito israeliano. Questo provvedimento riguarda oltre 5000 palestinesi di 38 comunità, che ricevono ordini di sgombero, sono minacciate di espulsione o sono costrette a lasciare le loro abitazioni durante le sessioni di addestramento dei soldati israeliani.

Il 13 ottobre i ricercatori di Amnesty International hanno visitato la comunità di pastori palestinesi della zona settentrionale della Valle del Giordano, che comprende anche il villaggio di Humsa, dichiarato “poligono di tiro”.

Uno dei pastori, Nitham Abu Khash, ha dichiarato che l’anno scorso la sua abitazione e i suoi recinti sono stati ripetutamente distrutti dall’esercito israeliano. Tre famiglie hanno dovuto trasferirsi in un’altra zona, a sua volta vietata. L’esercito israeliano pattuglia costantemente la zona e sequestra gli aiuti umanitari donati alle famiglie.

“Le loro jeep arrivano due volte al giorno e penso sempre che vogliano demolire di nuovo. Neanche i diplomatici europei possono proteggerci: i soldati confiscano gli aiuti sotto il loro naso”, ha raccontato Nitham Abu Khash.

Nella comunità accanto, quella di Makhul, Amnesty International ha incontrato due fratelli che hanno descritto la sensazione di paura ogni volta che si palesano i coloni coi loro trattori:

“I bambini sono terrorizzati. Questi arrivano di notte puntando i loro fari accecanti sulle nostre case, sguinzagliano i cani contro di noi e contro le pecore e passano sopra ai nostri terreni. Per lo stress, alcune delle nostre pecore hanno avuto aborti spontanei”.

Il diritto all’alloggio è sotto attacco anche all’interno di Israele. Il 24 ottobre le forze israeliane hanno demolito per la ventottesima volta il villaggio di beduini palestinesi di al-Araqeeb, nel deserto del Negev/Naqab.

A Gaza migliaia di abitazioni distrutte dagli attacchi aerei nelle precedenti offensive israeliane non sono state ricostruite a causa del blocco che impedisce l’ingresso di materiali da costruzione. Nell’ultima offensiva di agosto ne sono state danneggiate o distrutte altre 1700.

 

Gli attacchi dei coloni appoggiati dallo stato

Contro gli agricoltori palestinesi della Cisgiordania occupata è in corso un’ondata di incursioni dell’esercito israeliano, limitazioni all’accesso ai terreni e all’acqua e distruzioni dei raccolti. È ciò che accade regolarmente durante l’annuale raccolta delle olive.

Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, la scorsa settimana un gruppo di coloni ha attaccato gli olivicoltori di alcuni villaggi della Cisgiordania settentrionale, come quelli di Kisan e Burin.

Il 19 ottobre i coloni hanno attaccato attivisti israeliani e internazionali venuti a proteggere i palestinesi. Secondo le Nazioni Unite, nel 2022 gli attacchi dei coloni hanno causato tre morti e 194 feriti. Le autorità israeliane non portano i responsabili di fronte alla giustizia: ad esempio, ad agosto la polizia ha chiuso le indagini sull’uccisione di Ali Hassan Harb, accoltellato a morte nel suo uliveto il 21 giugno.

Gli sgomberi da parte dell’esercito e gli attacchi dei coloni israeliani hanno luogo in un clima d’impunità e contribuiscono allo sfollamento dei palestinesi, a tutto vantaggio illegale dei coloni.

“Le autorità palestinesi stanno violando il diritto all’alloggio dei palestinesi in ogni modo immaginabile: demoliscono abitazioni, rendono impossibile edificare sui loro terreni e proteggono i coloni che distruggono gli olivi ancestrali delle famiglie palestinesi”, ha sottolineato Morayef.

“La raccolta delle olive dovrebbe essere un momento in cui le famiglie palestinesi festeggiano dopo un anno di lavoro e di cura. Ma ancora una volta tutto questo viene impedito dalle chiusure imposte dall’esercito e dalla violenza dei coloni sostenuta dallo stato”, ha concluso Morayef.