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A quasi 17 anni dalla fine della guerra del 1992 – 95, centinaia di donne della Bosnia ed Erzegovina continuano a convivere con le conseguenze dello stupro e della tortura, senza avere un’assistenza medica e psicologica o un sussidio economico adeguati.
Un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International descrive la situazione a Tuzla, nel nordest del paese.
Dal 1992 al 1995, Tuzla fu dichiarata ‘zona sicura’ vi trovarono riparo migliaia di donne che avevano subito o cercavano di evitare di subire violenza sessuale da parte dei militari e dei paramilitari serbi. Alcune sono tornate in quella che, dopo gli accordi di Dayton, è diventata la Republika Srpska. Molte altre sono rimaste a Tuzla, non avendo i mezzi per tornare a casa.
Nel 2010, quindici anni dopo la fine della guerra, grazie alle pressioni delle organizzazioni bosniache e internazionali, il governo di Sarajevo aveva promesso l’avvio di un ‘Programma nazionale per le donne vittime di violenza sessuale nel conflitto e successivamente al conflitto’. Quasi due anni dopo, il Programma non è stato neanche finalizzato.
Intanto, a Tuzla le donne incontrate da Amnesty International convivono con i disordini da stress post-traumatico, l’ansia, le malattie a trasmissione sessuale, il diabete, l’ipertensione e l’insonnia. Quasi nessuna ha un’assicurazione medica adeguata o è in grado di pagarsi le cure. Nessuna di loro ha visto assicurati alla giustizia i responsabili di torture, riduzione in schiavitù sessuale, sparizione forzata e detenzione arbitraria.
Delle decine di migliaia di crimini documentati di violenza sessuale commessi durante la guerra, meno di 40 sono finiti di fronte ai giudici della Corte penale internazionale per l’ex Jugoslavia o dei tribunali nazionali bosniaci.
Il nuovo governo di Sarajevo, che si è formato alla fine del 2011, non ha ancora preso in considerazione il Programma su cui si era impegnato nel 2011 il precedente esecutivo.