Cina: approvata la nuova Legge sulla supervisione

20 Marzo 2018

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“La nuova Legge sulla supervisione rappresenta una minaccia sistematica ai diritti umani in Cina. Pone decine di migliaia di persone in balia di un sistema segreto e di fatto incontrastabile in quanto sopra alla legge; aggira le istituzioni giudiziarie istituendo un sistema parallelo guidato dal Partito comunista cinese senza alcun controllo esterno”.

Lo ha dichiarato il direttore di Amnesty International per l’Asia orientale Nicolas Bequelin commentando l’approvazione odierna della nuova Legge sulla supervisione approvata dalla Cina.

Il governo di Pechino aveva presentato la bozza della Legge sulla supervisione nel novembre 2017, data in cui avevamo chiesto che venisse ritirata ed emendata fino a essere compatibile con le norme e gli standard del diritto internazionale dei diritti umani.

Nonostante alcuni piccoli miglioramenti, la legge ora entrata in vigore desta preoccupazione.

Il sistema del Liuzhi “mantenimento in custodia” sostituirà quello ampiamente criticato e informale dello Shuanggui basato su procedure disciplinari interne al Partito comunista cinese.

“Sulla base del nuovo sistema, gli organi di supervisione possono arrestare e interrogare membri del Partito comunista o impiegati del settore pubblico. Giudici, accademici e dipendenti delle imprese di stato possono subire fino a sei mesi di carcere senza accusa né procedimento legale e senza garanzia di ricevere assistenza legale o di informare le loro famiglie”, ha concluso Nicolas Bequelin.

Pochi giorni prima dell’approvazione, il Congresso nazionale del popolo aveva approvato un emendamento alla Costituzione per istituire una Commissione nazionale sulla supervisione, con poteri addirittura maggiori rispetto a quelli della Corte suprema del popolo e dei vertici della Procura.

“Questa legge svuota di significato il sistema giudiziario, consente la detenzione arbitraria e a tempo indeterminato senza alcuna significativa supervisione esterna e incrementa il rischio di torture e ‘confessioni’ forzate”, ha concluso Bequelin.