Egitto, repressione senza fine nei confronti dei giornalisti

3 Maggio 2020

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In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, Amnesty International ha chiesto alle autorità egiziane di porre fine all’incessante repressione nei confronti dei giornalisti e degli altri operatori dell’informazione e assicurare la libera circolazione delle informazioni, essenziale soprattutto durante l’attuale periodo di emergenza sanitaria.

Facendo il punto sulla violazione della libertà di stampa in Egitto, Amnesty International ha segnalato casi di censura, interferenze nel lavoro redazionale e il blocco di pubblicazioni e portali.

Dal 2016 le autorità egiziane hanno sottoposto a una lunga serie di violazioni dei diritti umani giornalisti e altri operatori dell’informazione che stavano solo svolgendo il loro lavoro o avevano espresso le loro opinioni. Decine di giornalisti sono finiti in carcere per inesistenti accuse di terrorismo o hanno subito irruzioni nel loro ambiente di lavoro“, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

Dalla salita al potere del presidente Abdelfattah al-Sisi, nel luglio 2013, gli attacchi contro i giornalisti e gli organi d’informazione sono aumentati, soprattutto nei confronti di quelli ritenuti vicini alla Fratellanza musulmana.

La repressione si è intensificata nel 2016, quando numerosi organi d’informazione hanno criticato la decisione del governo di cedere le isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. All’aumento della censura ha fatto seguito, dall’anno successivo, l’acquisizione della maggior parte dei media privati egiziani ad opera di gruppi legati all’intelligence militare.

Negli ultimi cinque anni, almeno cinque redazioni sono state assaltate o chiuse e centinaia di portali informativi, locali e internazionali, sono stati bloccati.

Almeno 37 giornalisti sono attualmente in carcere per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione e, di questi, almeno 20 per motivi direttamente collegati alla loro attività professionale.

L’Agenzia per la sicurezza nazionale, i servizi segreti civili, convoca regolarmente giornalisti che ritiene “terroristi” per interrogarli riguardo ai contenuti dei loro articoli, alle loro fonti e ai loro finanziamenti.

L’ultimo caso risale al marzo di quest’anno, quando le forze di sicurezza hanno arrestato un giornalista per interrogarlo su un post pubblicato su Facebook nel quale metteva in dubbio i dati ufficiali sulla diffusione del Covid-19. L’uomo è risultato scomparso per quasi un mese, fino a quando è stato portato di fronte a un giudice e incriminato di “diffusione di notizie false” e “adesione a un gruppo terrorista”.