Esecuzione di Saddam Hussein: condanna di Amnesty

29 Dicembre 2006

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Iraq: Amnesty International deplora l’esecuzione di Saddam Hussein

CS 137-2006: 30/12/2006

Amnesty International ha deplorato l’esecuzione di Saddam Hussein, avvenuta il 30 dicembre 2006, quattro giorni dopo la conferma della sentenza da parte della Corte d’appello irachena.

L’organizzazione per i diritti umani, che si oppone incondizionatamente all’uso della pena di morte, si è detta inoltre preoccupata per il fatto che la Corte d’appello non ha esaminato le gravi irregolarità che avevano contraddistinto il processo all’ex dittatore da parte del Tribunale penale supremo iracheno.

Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, poiché è una violazione del diritto alla vita e una punizione estrema, crudele, inumana e degradante. Rappresenta un oltraggio in un caso come questo, in cui è stata imposta al termine di un processo iniquo nel quale l’esecuzione è sembrata un verdetto già scritto e al quale la Corte d’appello ha dato ben poca legittimità‘ – ha dichiarato l’associazione.

Amnesty International aveva accolto con grande soddisfazione la decisione di chiamare Saddam Hussein a rispondere dei crimini commessi sotto il suo regime, ma ciò avrebbe dovuto essere fatto in un processo equo.

Il processo a Saddam Hussein avrebbe dovuto costituire un grande contributo alla ricerca di verità e giustizia per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani perpetrate su vastissima scala quando egli era al potere. Invece, si è rivelato uno sporco affare, che da molti sarà considerato nient’altro che l’espressione della ‘giustizia dei vincitori’ e che, purtroppo, non servirà a fermare l’ondata senza fine di violenza politica‘ – ha commentato Amnesty International.

Saddam Hussein era stato condannato a morte il 5 novembre 2006 per l’uccisione di 148 abitanti del villaggio di al-Dujail, avvenuta nel 1982 a seguito di un tentativo di assassinio del dittatore. Il processo, iniziato nell’ottobre 2005, due anni dopo la cattura di Saddam Hussein da parte delle forze Usa, era terminato nel luglio 2006. La Corte d’appello aveva convalidato il verdetto il 26 dicembre, quando il giudice Arif Shaheen aveva annunciato che la sentenza avrebbe potuto essere eseguita entro 30 giorni dalla ratifica del presidente iracheno Jalal Talabani o di un suo delegato.

Il processo celebrato dal Tribunale penale supremo iracheno non ha soddisfatto i requisiti del diritto internazionale in materia di processi equi. Interferenze politiche hanno compromesso l’indipendenza e l’imparzialità della corte, provocando le dimissioni del primo presidente della giuria e ritardando la nomina del suo successore. Il Tribunale, inoltre, non ha saputo prendere misure adeguate a proteggere i testimoni e gli avvocati della difesa, tre dei quali sono stati assassinati. Lo stesso Saddam Hussein si è visto negare il diritto all’assistenza legale nel corso del primo anno di prigionia e le proteste dei suoi avvocati nei confronti delle procedure adottate nel corso del processo non sono state prese nella dovuta considerazione da parte della corte. L’appello si è svolto nello stesso clima ostile e non ha rettificato alcuna delle irregolarità emerse nel giudizio di primo grado.

Ogni imputato ha diritto a un processo equo, a prescindere dalla gravità delle accuse mosse nei suoi confronti. Questo principio elementare fu sistematicamente ignorato durante la tirannia di Saddam Hussein. La sua caduta aveva fatto sperare nel ristabilimento di questo diritto fondamentale e nella possibilità che, attraverso un processo equo, si potesse fare luce sui crimini del passato. Nulla di tutto questo è successo‘ – ha concluso Amnesty International.

Al momento della sua esecuzione, Saddam Hussein era imputato con altre sei persone in un secondo processo di fronte al Tribunale penale supremo iracheno, per accuse relative alla cosiddetta ‘campagna Anfal’ del 1988, durante la quale migliaia di curdi vennero torturati e uccisi. Il processo proseguirà nei confronti degli altri sei imputati. L’esecuzione di Saddam Hussein rappresenta un colpo durissimo al tentativo di stabilire quanto accaduto sotto il suo regime e un’ulteriore opportunità mancata, per gli iracheni, di conoscere la verità e ottenere giustizia per i crimini del passato.

FINE DEL COMUNICATO                                                                   Roma, 30 dicembre 2006

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