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Il 1° luglio, alla presenza del presidente cinese Xi e in occasione del venticinquesimo anniversario del ritorno dal Regno Unito alla Cina, si è insediato il nuovo leader di Hong Kong, John Lee.
In tale occasione, Amnesty International ha chiesto a Lee di invertire la rotta per fermare il collasso delle libertà nella città.
I precedenti, purtroppo, non inducono all’ottimismo: da capo della sicurezza dal 2017 al 2021, Lee ha supervisionato la repressione delle proteste del 2019 e, dal 30 giugno 2020, l’applicazione della draconiana Legge sulla sicurezza nazionale.
A seguito dell’entrata in vigore di quella legge, sono stati arrestati e processati numerosi oppositori politici, attivisti e giornalisti e molte organizzazioni della società civile, circa un centinaio, sono state costrette a chiudere o a lasciare la città.
Lee ha già annunciato l’intenzione di inasprire ulteriormente la repressione, introducendo il famigerato articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong. Questa norma autorizza il governo di Hong Kong a emanare proprie leggi sui reati di tradimento, secessione, sedizione e sovversione.
Lee, infine, ha dichiarato di voler ampliare le misure sicuritarie attraverso l’adozione di leggi sui segreti di stato, sulla sicurezza informativa e sulle “notizie false”.