Iran: dalla pena di morte un messaggio agghiacciante

30 Marzo 2010

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(30 marzo 2010)

I recenti sviluppi in Iran hanno reso palese la paura che le autorità iraniane ancora una volta ricorrano alla pena capitale per processare e reprimere gli oppositori politici, intimidire la popolazione e mandare un segnale che il dissenso non sarà tollerato.

C’è stato un evidente aumento delle esecuzioni durante le manifestazioni di massa dell’ultimo anno. Sebbene molte delle condanne a morte fossero state emesse per reati commessi prima delle proteste, eseguendole le autorità hanno mandato un messaggio agghiacciante a chi vi stava prendendo parte.

Nelle otto settimane trascorse tra le elezioni di giugno e l’inaugurazione della seconda presidenza di Mahmoud Ahmadinejad all’inizio di agosto, sono state messe a morte 112 persone, quasi un terzo del totale di 388 nel 2009, il più alto numero registrato da Amnesty International negli ultimi anni. Secondo i dati raccolti da diverse organizzazioni per i diritti umani, compresa Amnesty International, il  numero annuale delle esecuzioni è quasi quadruplicato da quando il presidente Ahmadinejad è stato eletto per la prima volta, cinque anni fa. Molte persone sono state messe a morte al termine di processi iniqui.

‘Processi spettacolo’

Una serie di ‘processi spettacolo’ hanno portato all’impiccagione di due uomini  nel gennaio di quest’anno. Queste sono state le prime esecuzioni che le autorità hanno collegato direttamente alle proteste, sebbene sia successivamente emerso che i due uomini erano già in carcere al momento delle elezioni presidenziali dello scorso giugno.

I due uomini erano stati condannati anche per reato di mohabareh  (comportamento ostile a Dio). Nasrin Sotoudeh, avvocato di Arash Rahmanipour, uno dei due condannati, ha dichiarato alla Reuters: ‘Un’esecuzione con questa velocità e fretta ha sola una spiegazione… il governo sta cercando di impedire che l’opposizione si estenda, come sta accedendo nonostante la diffusione della paura e delle intimidazioni‘.

Un numero sempre più elevato di persone viene condannato per mohabareh , un’accusa formulata in termini vaghi. Secondo  Philip Alston, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, questa accusa ‘è imposta per una vasta serie di reati, spesso ambigui e generalmente di natura politica’.
Almeno altre nove persone, condannate a morte dopo le manifestazioni, sarebbero in attesa dell’esecuzione.

Esecuzioni durante i precedenti governi

Questa non è la prima volta che le autorità dell’Iran vengono accusate di ricorrere a esecuzioni sommarie o alla pena di morte come strumento di controllo politico. La pena capitale era ampiamente diffusa durante il regno dello Scià e all’inizio della Repubblica islamica per eliminare i nemici politici e reprimere l’opposizione.

Negli anni Settanta, il sempre più impopolare Scià ricorreva agli arresti di oppositori per eliminare i nemici politici e reprimere il dissenso. All’epoca, Amnesty International denunciava questi arresti e il ‘numero estremamente alto di esecuzioni’ a seguito di processi iniqui da parte dei tribunali militari.

Nel 1979, nei mesi successivi alle Rivoluzione islamica, oltre 600 persone furono uccise sommariamente da plotoni di esecuzione. Molti erano ex ministri, ufficiali o funzionari dell’esercito durante il regno dello Scià; alcuni vennero messi a morte a termine di processi fortemente iniqui, durati solo pochi minuti. Dall’avvento della Repubblica islamica al 1982, Amnesty International registrò ben oltre 4000 esecuzioni.

Ma il numero maggiore di esecuzioni sommarie ha avuto luogo nel 1988. Si ritiene che fino a 5000 persone, molte delle quali prigionieri politici, siano state uccise nel cosiddetto ‘massacro delle prigioni’ tra il 1988 e il 1989, in quello che Amnesty International ha descritto come una ‘deliberata uccisione di massa di oppositori politici’. Molti di questi erano membri dell’Organizzazione dei mujahedin del popolo iraniano, accusata di collaborare con Saddam Hussein durante la guerra tra con l’Iraq. Altri appartenevano a uno storico partito di sinistra considerato una minaccia al sistema politico islamico. In molti casi, i ‘processi’ nei loro confronti si risolsero in poche domande fatte ai prigionieri dentro le celle da quelle che venivano chiamate le ‘Commissioni della morte’.

Il ritorno della pena di morte

Negli anni Novanta le esecuzioni sono diminuite e le condanne a morte emesse nei confronti dei responsabili delle proteste studentesche del 1999 non sono mai state eseguite. Hanno invece conosciuto una brusca ripresa nel 2005, dopo l’elezione del presidente Ahmadinejad, che aveva promesso di migliorare la situazione dell’ordine pubblico, agire contro ‘delinquenti e teppisti’ e far tornare l’Iran ai valori originali della Rivoluzione islamica. È aumentato anche il numero delle esecuzioni nei confronti di minorenni al momento del reato. L’Iran è uno dei pochi paesi che ancora mettono a morte minorenni, in aperta violazione delle norme internazionali.

Ancor prima delle proteste dell’estate 2009, c’erano stati segnali che il governo di Ahmadinejad intendeva ricorrere sempre più alla pena di morte per reprimere le proteste nelle aree in cui vivono ampie minoranze etniche. Gli attentati compiuti negli ultimi anni nella provincia a prevalenza araba del Khuzestan e nelle aree a maggioranza baluci del Sistan-Baluchistan sono state seguiti da un’ondata di esecuzioni, spesso in pubblico. Alcuni dei condannati sono apparsi alla televisione di stato per rendere delle ‘confessioni’, con molta probabilità estorte con la tortura o altre minacce.

Centinaia, probabilmente migliaia di persone si trovano attualmente nei bracci della morte in Iran.