Iran, timori per i prigionieri nel braccio della morte

1 Luglio 2010

Tempo di lettura stimato: 5'

(1 luglio 2010)

Amnesty International ha chiesto ancora una volta alle autorità iraniane di porre immediatamente fine a tutte le esecuzioni, commutare le condanne a morte, riesaminare e poi abrogare la legislazione sulla pena capitale, rendere noti tutti i dettagli sulle condanne e sulle esecuzioni e adeguarsi alla tendenza internazionale verso l’abolizione della pena di morte.

L’organizzazione per i diritti umani teme per la sorte di due donne a rischio di esecuzione imminente.

Zeynab Jalalian, attivista politica curda arrestata nel 2007 e attualmente detenuta nel carcere di Evin, è stata condannata a morte all’inizio del 2009 con l’accusa di ‘comportamento ostile a Dio’, in relazione alla sua presunta appartenenza a un gruppo armato d’opposizione curdo. Ha riferito di essere stata torturata. Inoltre, durante il processo durato solo pochi minuti e nel corso del quale non sarebbe stata prodotta alcuna prova a suo carico, non le è stato permesso di accedere al suo avvocato.

Sakineh Mohammadi Ashtiani, madre di due bambini, in carcere dal 2005, è stata condannata per adulterio. La sentenza è stata confermata nel maggio 2007 e l’esecuzione mediante lapidazione può avvenire in qualsiasi momento. Nel maggio 2006 era stata giudicata colpevole di ‘relazione illecita’ con due uomini e condannata a 99 frustate. Successivamente è stata accusata di ‘adulterio nel corso del matrimonio’, circostanza che lei ha negato, e condannata a morte per lapidazione. La donna ha ritrattato la ‘confessione’, resa sotto minaccia durante l’interrogatorio. Il suo caso è stato sottoposto alla Commissione per la grazia e l’amnistia due volte, che si è pronunciata contro in entrambe le occasioni.

Molto spesso i prigionieri nel braccio della morte non vengono informati dell’esecuzione fino all’ultimo minuto. A volte, i loro avvocati non sono informati 48 ore prima, come previsto dalla legge iraniana.

Tra gli altri detenuti condannati a morte, ci sono due membri della minoranza dei baluci, un gruppo di religione prevalentemente sunnita della provincia del Sistan-Baluchistan. Secondo quanto dichiarato dal pubblico ministero di Zahedan il 31 maggio, i due prigionieri avrebbero preso parte a scontri tra sunniti e sciiti, costati la vita a sei persone, seguiti a un attentato dinamitardo in una moschea sciita nel maggio 2009, che aveva provocato almeno 25 morti e che è stato rivendicato dal Movimento di resistenza popolare dell’Iran (Prmi), un gruppo armato baluco che si oppone al governo.

Il capo del Prmi, Abdolmalek Rigi, è stato impiccato il 20 giugno a Zahedan. Suo fratello,  Abdolhamid Rigi, aveva subito la stessa sorte il mese prima.

Secondo quanto riferito da funzionari governativi il 27 giugno, nella provincia a maggioranza curda del Kurdistan, almeno 20 prigionieri si troverebbero nel braccio della morte con l’accusa di traffico di droga. A questi vanno aggiunti almeno altri 15 curdi, tutti prigionieri politici, che rischiano l’esecuzione.

La gran parte delle esecuzioni in Iran avviene tramite impiccagione. Dall’inizio dell’anno al 6 giugno, Amnesty International ha documentato almeno 126 esecuzioni, di cui cinque nei confronti di prigionieri politici messi a morte il 9 maggio; molto probabilmente le condanne a morte sono state eseguite per scoraggiare possibili proteste in vista del primo anniversario delle contestate elezioni presidenziali del giugno 2009.
 
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi in quanto violazione del diritto alla vita e punizione definitiva, disumana e degradante.

Maggiori informazioni sono disponibili online

Liberare i prigionieri di coscienza in Iran
Dalla protesta alla prigione: Iran un anno dopo le elezioni
Rapporto annuale 2010 – Iran