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Amnesty International ha chiesto che l’esercito israeliano renda pubblici i dettagli dei risultati dell’indagine condotta su alcuni degli attacchi effettuati durante i 22 giorni di offensiva su Gaza, secondo la quale le sue forze non hanno commesso violazioni, ma solo rari errori, alcuni dei quali potrebbero aver causato l’uccisione di civili palestinesi.
Il briefing inviato dalle Forze di difesa israeliane (Idf) ai giornalisti sui risultati dell’indagine manca di dettagli cruciali e in esso si puntualizza che ‘tutte le conclusioni devono essere utilizzate come informazioni e attribuite esclusivamente al giornalista‘. Per buona parte il documento conferma dichiarazioni ripetute diverse volte dall’esercito e dalle autorità sin dai primi giorni dell’operazione Piombo fuso, ma senza fornire le prove necessarie a sostenere le accuse. Amnesty International espone le sue prime considerazioni sul numero limitato di incidenti specifici presi in considerazione nel briefing dell’esercito.
È sorprendentemente ampio il divario tra il ‘numero molto basso‘ di errori riportati nel briefing dell’Idf e l’uccisione da parte delle forze israeliane di circa 300 bambini palestinesi e di centinaia di altri civili disarmati. Questo documento non tenta nemmeno di spiegare la stragrande maggioranza di morti tra i civili, né la massiccia distruzione causata agli edifici privati di Gaza.
In assenza delle prove necessarie a sostenere le accuse, le dichiarazioni dell’esercito sembrano essere un tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, piuttosto che un processo autentico per stabilire la verità. Tale approccio manca di credibilità.
Infine, è responsabilità di coloro che hanno effettuato bombardamenti, attacchi di artiglieria e di altro tipo, provare che queste aggressioni erano veramente rivolte a obiettivi militari legittimi; non è compito delle vittime provare che non erano coinvolte in attività di combattimento. Ad oggi le informazioni fornite dall’esercito non dimostrato niente.
Le morti e i ferimenti di molti civili e la vasta distruzione provocata da attacchi che spesso hanno violato il diritto internazionale umanitario, richiedono un’inchiesta indipendente e imparziale. L’esercito israeliano deve fornire informazioni specifiche e dettagliate sul perché gli obiettivi sono stati scelti e sui mezzi e i metodi di attacco utilizzati, affinché si possano valutare le conclusioni secondo cui l’Idf sostiene di essersi attenuto a pieno al diritto umanitario internazionale. I dati forniti in questo briefing sono insufficienti e, in parte, contraddicono le prove raccolte da Amnesty International e da altri.
Sin dall’inizio del mese di febbraio, l’organizzazione per i diritti umani ha ripetutamente chiesto di incontrare l’esercito israeliano per discutere le sue preoccupazioni sulle violazioni del diritto umanitario internazionale durante l’operazione Piombo fuso e ha anche fornito una lista dettagliata di casi e argomenti sui quali occorrono chiarimenti. A oggi l’Idf non ha fornito alcuna risposta.
L’indagine dell’esercito israeliano non sostituisce l’inchiesta completa, indipendente e imparziale di cui c’è bisogno. Amnesty International chiede quindi alle autorità israeliane di riconsiderare il loro rifiuto di cooperare con la missione di accertamento dei fatti disposta dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, guidata dal giudice Richard Goldstone, il quale ha chiaramente espresso l’intenzione di indagare sulle violazioni al diritto internazionale commesse da tutte le parti in causa nel conflitto che ha avuto luogo a Gaza e nel sud di Israele.
L’associazione rinnova inoltre il suo appello al Consiglio di sicurezza dell’Onu di avviare un’inchiesta internazionale indipendente sui presunti crimini di guerra e sulle altre violazioni del diritto internazionale, commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto.
Riguardo all’incidente avvenuto vicino alla scuola dell’Unrwa (scuola Fakhoura) a Jabalia il 6 gennaio 2009, nel briefing dell’esercito si legge che ‘i soldati risposero con fuoco di rappresaglia minimo e proporzionato, utilizzando le armi più precise che avevano a disposizione‘. In realtà i soldati spararono almeno quattro colpi di mortaio in una strada affollata. I mortai sono armi da campo, che non possono essere puntate verso un obiettivo specifico e hanno un ampio margine di errore. L’uso di un’arma notoriamente imprecisa in un’area civile densamente popolata avrebbe certamente causato morti e feriti tra i civili e non avrebbe dovuto essere utilizzata. Mentre l’esercito sostiene che le vittime di questi attacchi furono 12, di cui cinque combattenti e sette civili, in realtà circa 30 persone, in maggioranza civili, furono uccise.
Riguardo all’uso del fosforo bianco e di colpi di artiglieria sul quartier generale dell’Unrwa, sito nel centro della città di Gaza, il 15 gennaio 2009, l’esercito dichiara: ‘sembra che frammenti di proiettili fumogeni abbiano colpito un magazzino sito nel quartier generale dell’Unrwa‘. In realtà a colpire gli edifici dell’Unrwa non furono solo frammenti. I ricercatori di Amnesty International hanno visto numerose munizioni al fosforo bianco, atterrate ed esplose nei pressi del complesso, insieme ad almeno una bomba altamente esplosiva. Amnesty International non ha ragione di dubitare delle spiegazioni fornite dall’esercito, che sostiene di non avere mirato agli edifici dell’Unrwa, poiché l’artiglieria è un’arma troppo imprecisa per essere indirizzata senza errori. La questione che rimane in sospeso è l’utilizzo illegale di un’arma imprecisa come l’artiglieria e in aggiunta a ciò, di artiglieria caricata con una sostanza così pericolosa come il fosforo bianco, in mezzo ad aree residenziali densamente popolate. L’argomentazione dell’esercito che ‘tali risultati non potevano essere previsti‘ manca di ogni credibilità, perché l’esercito conosce molto bene la differenza tra armi di precisione e armi da campo. L’artiglieria è un’arma da campo aperto, non una di precisione.
Questa sezione del briefing menziona inoltre l”edificio adibito a magazzino per i farmaci della Croce Rossa‘ nel distretto di Tal al-Hawa di Gaza City (che in realtà apparteneva alla Società della Mezzaluna Rossa palestinese, PRCS, e non alla Croce Rossa), ma non specifica quali munizioni sono state utilizzate dalle forze israeliane. In realtà la struttura è stata completamente bruciata, a quanto pare per essere stata colpita con fosforo bianco.
Il briefing non menziona il fatto che le bombe al fosforo bianco siano arrivate anche sugli edifici del vicino ospedale della PRCS al-Quds il 15 gennaio 2009, causando un vasto incendio e obbligando all’evacuazione dell’ospedale. Anche in questo caso i ricercatori di Amnesty International hanno trovato prove materiali dell’uso di tali armi: un involucro di bomba al fosforo bianco e i resti di grumi di fosforo bianco bruciato.
Riguardo all’uso del fosforo bianco in zone densamente popolate, le dichiarazioni dell’esercito che ‘non sono state utilizzate munizioni al fosforo in zone abitate‘ e che i ‘pezzi di fosforo caduti… non sono incendiari‘ non potrebbero essere più lontane dalla realtà. I ricercatori di Amnesty International sul campo hanno trovato centinaia di resti di armi impregnate di fosforo bianco cadute in zone densamente popolate, che ancora bruciavano settimane dopo che erano state sparate. Hanno anche trovato dozzine di munizioni che avevano lanciato il fosforo bianco su Gaza. Così come c’è ampia documentazione fotografica e video del lancio di colpi di artiglieria sparati in volo, che sono esplosi su aree residenziali densamente popolate e del fosforo bianco che pioveva letteralmente su queste zone.
L’esercito israeliano conosce bene i pericoli del fosforo bianco sugli esseri umani. Documenti scritti durante l’operazione Piombo fuso dall’Ufficio del dirigente medico dell’esercito israeliano e dal quartier generale delle operazioni mediche da campo, ne mettono in luce alcuni degli effetti. Un documento firmato dal dottor Gil Hirschorn, direttore del servizio traumatologia dell’Ufficio del dirigente medico, dichiara: ‘Quando il fosforo bianco viene in contatto con tessuto vivo lo danneggia, ‘mangiandolo’. Le caratteristiche di una ferita provocata dal fosforo sono: ustioni chimiche accompagnate da dolore estremo, danni ai tessuti… il fosforo può filtrare nel corpo e danneggiare gli organi interni. Nel lungo periodo, sono tipiche l’insufficienza renale e infezioni diffuse… in conclusione: una ferita inflitta da un ordigno che contiene fosforo esplosivo è in se stessa pericolosa e può causare gravi danni ai tessuti‘.
Un altro documento intitolato ‘Esposizione al fosforo bianco’, preparato dal quartier generale delle operazioni mediche e inviato dal ministero della Salute, nota che ‘la maggior parte dei dati sulle ferite da fosforo derivano da test condotti sugli animali e da incidenti. Secondo molti esperimenti di laboratorio, l’esposizione al fosforo bianco è altamente tossica. Ustioni che ricoprano anche una piccola parte del corpo, il 12-15 per cento negli animali da laboratorio e meno del 10 percento negli umani, potrebbero essere letali a causa degli effetti, in particolare su fegato, cuore e reni‘.
Riguardo agli ‘incidenti come spari indirizzati a strutture, edifici, veicoli e personale medici‘, la relazione dell’esercito israeliano sostiene che ‘Hamas ha sistematicamente utilizzato strutture, uniformi e veicoli medici come copertura per le operazioni terroristiche‘, ma non fornisce alcuna prova a sostegno di queste affermazioni. Amnesty International non esclude la possibilità che tali fatti potrebbero essersi verificati, ma non ha trovato prove durante la sua indagine che confermino che queste pratiche, ammesso che ci siano state, fossero diffuse. Ciò che conta è che l’esercito non ha fornito nessuna informazione, né spiegazione sui numerosi casi ben documentati di medici e paramedici in servizio in ambulanze, uccisi e feriti dal fuoco dell’Idf, anche con colpi di precisione e in un caso con un proiettile sparato da un carro armato, contenente freccette acuminate. Analogamente non è stata fornita alcuna giustificazione per i numerosi casi in cui i soldati israeliani hanno deliberatamente impedito il soccorso medico ai feriti.
La sezione del briefing dell’esercito riguardante ‘gli incidenti nei quali sono rimasti colpiti molti civili non coinvolti‘ è sorprendentemente povera di dettagli. Menziona solo quattro casi, che hanno portato alla morte di circa 50 civili, mentre rimangono sotto silenzio l’uccisione di altri civili disarmati, tra cui 300 bambini.
Nel caso dei colpi sparati da un carro armato sulla casa del dottor Abu al-‘Eisha a Jabalia (nord di Gaza) il 17 gennaio 2009, l’esercito sostiene che ‘le forze dell’Idf avevano identificato personaggi sospetti al terzo piano di un edificio, sollevando il sospetto che questi stessero osservando le forze dell’Idf per fornire aiuto a un cecchino che si trovava in un altro edificio‘ e che ‘il comandante regionale ha preso una serie di misure per accertare che i personaggi sospetti fossero armati‘. Il briefing ammette anche che ‘quattro donne che si trovavano nella stessa casa sono state colpite‘. Le quattro donne erano tre delle figlie e una nipote del dottor Abu al-‘Eish, tre delle quali minorenni e una di 21 anni. È importante notare che l’esercito non fornisce nessuna prova per sostenere le proprie accuse che nella casa della famiglia del dottor Abu al-‘Eish ci fossero uomini armati o osservatori, né fornisce prove della veridicità del fatto che il dottore sia stato effettivamente ‘sollecitato a lasciare la sua casa‘.
Nel caso dell’attacco con un missile contro un camion che trasportava bombole d’ossigeno, il 29 dicembre 2008, l’esercito riconosce che l’informazione secondo cui il camion stesse trasportando missili Grad era errata, ma rivendica il fatto che ‘gli attacchi hanno ucciso quattro uomini di Hamas‘, come anche quattro civili non coinvolti, e ‘che le bombole di ossigeno trasportate nel camion avrebbero potuto essere utilizzate per costruite razzi‘. Tuttavia, non fornisce prove che i quattro fossero in effetti combattenti di Hamas, né altre prove a sostegno dei sospetti sull’uso delle bombole di ossigeno.
Allo stesso modo, nel caso del lancio di un missile all’interno della scuola dell’Unrwa nel campo profughi di al-Shati’, avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 2009, che ha ucciso tre giovani uomini vicino al bagno della scuola, l’esercito afferma che l’attacco è stato lanciato ‘seguendo le informazioni dei servizi segreti e facendo affidamento sui loro sospetti che hanno portato alla conclusione che gli uomini stavano partecipando a operazioni terroristiche‘. Tuttavia, non fornisce informazioni, né prove per verificare tali sospetti.
Infine, le sezione del briefing dell’esercito riguardante i danni alle infrastrutture e la distruzione di edifici da parte delle forze di terra contiene solo dichiarazioni generiche e non identifica nemmeno un incidente sul quale dice di avere investigato. L’esercito non fornisce prove a sostegno della sua dichiarazione che ‘la maggior parte dei danni causati agli edifici è stato il risultato diretto dell’uso estensivo da parte di Hamas degli stessi edifici per scopi terroristici e per prendere di mira le forze dell’Idf‘. Amnesty International non discute sul fatto che alcuni degli edifici colpiti potrebbero avere contenuto armi o esplosivi o avrebbero potuto essere minati dai gruppi armati palestinesi. Tuttavia i casi citati, il prendere di mira obiettivi militari legittimi e i danni accidentali provocati dagli attacchi o dal confronto armato, rendono conto esclusivamente di una piccola percentuale della vasta distruzione.
L’unica prova di esplosivi rinvenuta dai ricercatori di Amnesty International nelle proprietà distrutte erano i resti di mine israeliane, chiaramente identificate come tali dai marchi e dalle scritte in ebraico. Oltre a ciò, i soldati israeliani a volte hanno distrutto e di frequente vandalizzato le case che avevano requisito e utilizzato come postazioni militari. Hanno deturpato i muri con graffiti e scritte minacciose o insultanti, deliberatamente rotto e sporcato mobili e oggetti personali e spesso lasciato escrementi nelle stanze delle case, insieme ad altre tracce della loro presenza, come scatole di munizioni, razioni di cibo, kit medici e altre forniture, la rivista dell’esercito Bmakhane e depliant di preghiere in ebraico.