Tempo di lettura stimato: 4'
La decisione del parlamento del Kuwait, adottata il 20 marzo 2013, di concedere la cittadinanza a 4000 ‘stranieri’, è secondo Amnesty International, un passo nella direzione giusta, ma molto ancora deve essere fatto per proteggere i diritti di più di 100.000 bidun che vivono nell’emirato.
I bidun sono per la maggior parte discendenti di famiglie beduine, comunità nomadi che attraversavano senza problemi i territori della regione del Golfo persico prima della costituzione degli stati nazionali. Le loro famiglie non richiesero la cittadinanza quando, nel 1961, il Kuwait ottenne l’indipendenza. Di conseguenza, i bidun sono rimasti intrappolati in un limbo in cui viene rifiutata loro la cittadinanza kuwaitiana ed è negato l’accesso ad alcuni servizi pubblici.
La legge, approvata con 43 voti a favore e due sole astensioni, entrerà in vigore una volta firmata dall’emiro. passa ora alla firma dell’Emiro. 43 deputati hanno votato mercoledì a favore di un progetto di legge con solo due astenuti. Per avere effetto la legge deve essere firmata dall’emiro del Kuwait.
‘Apprezziamo questo passo avanti e sollecitiamo il governo del Kuwait a intensificare gli sforzi per trovare una soluzione definitiva per tutti i bidun nel paese’ – ha affermato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. ‘I diritti umani dei bidun devono essere tutelati senza discriminazioni, soprattutto per quanto riguarda i diritti alla salute, all’educazione e al lavoro.
‘L’assenza di politiche per risolvere la difficile situazione dei bidun è una macchia sulla reputazione internazionale del paese. Priva migliaia di famiglie di bidun dei loro diritti politici, economici e sociali fondamentali e impedisce loro di essere parte integrante della società del Kuwait’ – ha aggiunto Sahraoui.
Nel febbraio 2013, il parlamento del Kuwait aveva approvato un primo testo di legge, che accordava la naturalizzazione ad almeno 4000 bidundel Kuwait. In seguito, il provvedimento è stato modificato da ‘4000 apolidi’ a un ‘massimo di 4000 stranieri’. Questo emendamento potrebbe di fatto escludere i bidun, o quanto meno limitare il numero di quelli che possono ricevere la cittadinanza.
Nell’ottobre 2012, rispondendo alle preoccupazioni di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani dei bidun, il primo ministro del Kuwait Jabar Al-Mubarak Al-Hamad Al-Sabah aveva detto al segretario generale dell’organizzazione, Salil Shetty, che il suo governo avrebbe risolto la questione dello status dei bidun entro cinque anni.
Ancora prima, nel 2011, il governo del Kuwait si era impegnato a risolvere alcuni problemi dei bidun, ma aveva dichiarato che solo 34.000 di essi avevano diritto alla cittadinanza.
I vantaggi promessi all’epoca ai bidun non si sono però ancora visti: molti di essi sono rimasti senza accesso a lavoro, servizi sanitari, educazione e altri servizi pubblici vitali, ma anche a documenti come il certificato di nascita. I bambini bidun sono esclusi dall’educazione primaria e secondaria.
Ispirata dalle proteste scoppiate nel 2011 in Medio Oriente e Africa del Nord, la comunità bidun ha iniziato a protestare pacificamente e a scendere in strada per chiedere il riconoscimento di cittadini del Kuwait.
Le forze di sicurezza hanno usato la forza per disperdere le manifestazioni e hanno eseguito numerosi arresti. Alcuni degli arrestati sono sotto processo. Uno di questi, nei confronti di 33 bidun che nel dicembre 2012 avevano preso parte a ‘proteste non autorizzate’, è stato rinviato al 19 maggio 2013.