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Il 17 febbraio 2013 il tribunale militare di Rabat ha emesso nove condanne all’ergastolo e 14 condanne a pene dai 20 ai 30 anni nei confronti di 23 sahrawi in quello che Amnesty International ha definito un processo ‘né indipendente, né imparziale’. Altri due imputati sono stati scarcerati, poiché avevano già trascorso in detenzione preventiva i due anni di condanna. I loro avvocati hanno annunciato ricorso in Cassazione.
I 23 sahrawi, tra cui figurano esponenti della società civile e attivisti politici, sono stati giudicati colpevoli di appartenenza a un’organizzazione criminale, violenza contro pubblici ufficiali e vilipendio di cadavere.
Le condanne sono relative agli episodi di violenza verificatisi l’8 novembre 2010, quando le forze di sicurezza marocchine smantellarono il campo di protesta di Gdim Izik, nei pressi di Layoune, capoluogo del Sahara occidentale amministrato dal Marocco. In quell’occasione furono uccisi 11 membri delle forze di sicurezza e due sahrawi e vennero eseguiti circa 200 arresti. Altri sahrawi vennero arrestati due mesi dopo.
Il campo di Gdim Izik era stato allestito a ottobre da sahrawi che protestavano contro la loro emarginazione e per chiedere lavoro e alloggi adeguati.
Secondo Amnesty International, ‘il ricorso al tribunale militare, insieme al rifiuto d’indagare sulle denunce di tortura riferite dagli imputati, desta gravi dubbi sulle intenzioni delle autorità marocchine, se intendessero perseguire la giustizia o assicurarsi un verdetto di colpevolezza’.
Gli imputati hanno più volte fatto presente di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture e costretti a firmare confessioni. Amnesty International ha sollecitato l’avvio di un’indagine indipendente, sottolineando che ogni prova ottenuta mediante tortura o coercizione non dovrebbe essere ritenuta valida in un processo.