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Oltre 200 organizzazioni della società civile globale, tra cui Amnesty International, hanno sollecitato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a imporre un embargo totale sulle armi dirette all’esercito di Myanmar.
Dal 1° febbraio, giorno del colpo di stato militare, almeno 769 manifestanti sono stati uccisi dall’esercito e migliaia di persone – compresi i dirigenti politici civili eletti, giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti – sono state arrestate.
Dopo aver esaminato oltre 50 filmati sulla repressione in corso, Amnesty International ha concluso che l’esercito di Myanmar sta ricorrendo a tattiche letali impiegate normalmente in scenari di guerra. Molte delle uccisioni costituiscono esecuzioni extragiudiziali.
Amnesty International continua a chiedere al Consiglio di sicurezza di riferire la situazione di Myanmar al Tribunale penale internazionale e di imporre sanzioni economiche mirate nei confronti del capo delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing, e di altri capi militari responsabili di atrocità contro le minoranze etniche del paese, tra cui i rohingya.
Tra le unità dell’esercito impegnate nella repressione delle proteste contro il colpo di stato figurano quelle che si sono rese responsabili di crimini di diritto internazionale contro i rohingya.