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In occasione del lancio dell’iniziativa “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”, coordinata dal Center for Women’s Global Leadership, Amnesty International ha ricordato ai governi che c’è urgente bisogno di una maggiore protezione per le donne, le bambine e le persone Lgbti rifugiate che, ogni giorno e in ogni momento della loro esperienza, vanno incontro a terribili livelli di violenza sessuale e di genere.
Nel 2015 il numero delle donne e delle bambine rifugiate ha raggiunto la cifra record di 10,5 milioni.
“Vivere in un campo per rifugiati dove hai il terrore di recarti in bagno, subire vessazioni quotidiane da parte della comunità che ti ospita per motivi di genere e d’identità è ciò che affrontano centinaia di migliaia di donne, bambine e persone Lgbti rifugiate. Una realtà che si perpetua anche grazie alla vergognosa mancanza d’azione dei governi” – ha dichiarato Catherine Murphy di Amnesty International.
“Sollecitiamo i governi a fare di più per condividere la responsabilità di proteggere le rifugiate, attraverso un significativo aumento dei posti a disposizione per reinsediare coloro che sono maggiormente vulnerabili. La povertà e l’insicurezza in cui molte rifugiate si trovano in paesi come Libano e Libia aumentano il rischio di sfruttamento sessuale e di violenza di genere” – ha aggiunto Murphy.
VIOLENZA DURANTE IL VIAGGIO
I rifugiati e i migranti in transito corrono enormi rischi di finire vittime di violenza e del traffico di esseri umani. Le donne, le bambine e le persone Lgbti vanno incontro a minacce specifiche quali le molestie sessuali, lo stupro e altre forme di violenza di genere: questo è un ulteriore motivo per cui sono urgentemente necessari percorsi sicuri e legali.
Nel 2016, donne rifugiate e migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana e dirette in Libia hanno riferito ad Amnesty International che, lungo le rotte dei trafficanti, lo stupro era un fatto talmente comune da essere costrette ad assumere pillole contraccettive durante il viaggio per evitare di rimanere incinte.
La violenza di genere sta diventando sempre di più un “fattore di spinta”, per le donne e le persone Lgbti, a lasciare i paesi di origine per cercare protezione altrove.
Patricia (non è il suo vero nome), una transessuale di 32 anni, ha descritto ad Amnesty International i motivi per cui è stata costretta a lasciare il suo paese, El Salvador:
“Gli agenti di polizia mi seguivano ovunque, pretendevano soldi, mi minacciavano e mi picchiavano. Lo stesso succedeva con le bande criminali: ogni mese dovevo pagare un ‘affitto’ ma non avevo denaro a sufficienza. Rivolgermi alle autorità era del tutto inutile perché erano le stesse persone che mi perseguitavano a causa di ciò che ero”.
Patricia è arrivata in Messico, paese in cui è stata picchiata e derubata e dal quale dopo alcuni mesi è stata rimandata in El Salvador.
Nel 2015, nonostante gli elevati livelli di violenza di genere nei paesi di origine, il 98 per cento delle persone arrivate da El Salvador, Guatemala e Honduras in Messico, e qui arrestate perché considerate migranti irregolari, è stato rimandato indietro.
ASSENZA DI PROTEZIONE LEGALE
In tutto il mondo le donne e le bambine rifugiate che non hanno i documenti in regola possono essere costrette a fare una scelta drammatica: non denunciare i crimini subiti o farlo, rischiando così l’arresto e l’espulsione a causa della mancanza del permesso di soggiorno.
Maryam (non è il suo vero nome), una donna siriana di Homs arrivata in Libano nel 2013, ha raccontato ad Amnesty International che più volte agenti di polizia hanno minacciato d’imprigionarla se non fosse “uscita” con loro:
“Le molestie sessuali contro le rifugiate sono un enorme problema in Libano, poco importa se sei sposata o sei single. Ecco perché temo per le mie figlie. Ne ho una di 16 anni e ho paura anche di mandarla al negozio più vicino”.
LE RIFUGIATE YAZIDE IN GRECIA
Un gruppo di donne yazide, costrette a lasciare l’Iraq settentrionale nell’agosto 2014 a seguito della pulizia etnica portata avanti dallo Stato islamico, si trova attualmente in Grecia, abbandonato a se stesso e in condizioni durissime.
Per oltre cinque mesi queste donne sono state ospitate nel campo di Nea Kavala, senza illuminazione sufficiente, privo di bagni separati e nella totale assenza di un sistema di protezione o di raccolta delle denunce di molestie sessuali. Per difendersi, hanno adottato un “circolo di protezione” in cui ogni donna teneva d’occhio cosa accadeva alla vicina. In seguito, sono state trasferite in un altro campo.
“Come minimo la Grecia e gli altri paesi che ospitano rifugiati dovrebbero mettere a disposizione servizi igienici e luoghi per dormire separati per le donne, le bambine e le persone Lgbti e assicurare assistenza e cure mediche a coloro che hanno subito violenza sessuale” – ha sottolineato Murphy.