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Mentre prosegue la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, la Russia è impegnata anche in un “conflitto interno” con coloro che criticano la guerra e i crimini commessi dalle forze russe in Ucraina.
Dal 24 febbraio 2022 decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare pacificamente contro l’invasione dell’Ucraina e moltissime hanno preso la parola sui social media.
La risposta delle autorità russe è stata spietata: oltre 16.000 manifestanti sono stati arrestati per violazione delle draconiane norme sui raduni pubblici; i pochi organi d’informazione indipendenti ancora aperti sono stati ridotti al silenzio; ulteriori organizzazioni non governative sono state etichettate come “indesiderabili” o “agenti stranieri” e lo stesso ufficio di Amnesty International a Mosca è stato chiuso.
A questi primi provvedimenti è seguita l’adozione di nuove norme repressive. A marzo, ad esempio, è entrato in vigore l’articolo 207.3 del codice penale: nella sua prima formulazione puniva la “diffusione di informazioni consapevolmente false sull’uso delle Forze armate”, nella seconda è stato aggiunto “ogni altro organismo statale russo agente all’estero”.
Oltre 200 persone – studenti, avvocati, artisti, politici e altri ancora – rischiano condanne da cinque a dieci anni (in alcuni casi, anche a 15) solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione: 80 di esse solo per violazione del suddetto articolo.
Amnesty International ha raccolto le storie di dieci persone finite in carcere per essersi opposte alla guerra in Ucraina.
Aleksey Gorinov, avvocato, esponente del movimento di opposizione “Solidarietà” e consigliere del municipio di Krasnoselsky, a Mosca. È stato arrestato il 26 aprile per aver dichiarato, nel corso del consiglio municipale del 15 marzo, che il conflitto era un atto di aggressione e una guerra che causava ogni giorno la morte di bambini. L’8 luglio è stato condannato a sette anni di carcere.
Ilya Yashin, attivista politico e noto YouTuber, a sua volta esponente del movimento di opposizione “Solidarietà” e consigliere del municipio di Krasnoselsky. È stato arrestato il 27 giugno per aver denunciato la disinformazione del Cremlino sui crimini commessi dalle forze russe a Bucha. È tuttora in detenzione preventiva.
Marina Ovsyannikova, ex impiegata della tv di stato Canale 1, diventata famosa per aver interrotto il telegiornale della sera del 14 marzo esibendo un cartello contro la guerra. Dopo aver perso il lavoro e aver trascorso un periodo di tempo in Germania, è tornata in Russia. Il 15 luglio ha svolto una protesta solitaria nei pressi del Cremlino sollevando un cartello in cui c’era scritto che Vladimir Putin era un assassino e che in Ucraina erano stati uccisi, fino ad allora, 352 bambini. È stata arrestata il 10 agosto e il giorno dopo è stata posta agli arresti domiciliari, dove rimane tuttora.
Viktoria Petrova, dirigente d’azienda di San Pietroburgo. Dal 24 febbraio ha iniziato a postare sul suo account Vkontakte video sulla guerra provenienti da più fonti, invitando gli utenti a non credere alla versione ufficiale e a protestare contro la guerra. Arrestata due volte mentre stava partecipando a proteste pacifiche, ha trascorso dieci giorni in detenzione amministrativa per poi essere definitivamente arrestata il 6 maggio. Da allora è in detenzione preventiva.
Maria Ponomarenko, giornalista del portale RusNews, arrestata il 24 aprile a San Pietroburgo per aver dato conto del bombardamento russo contro il Teatro d’arte drammatica di Mariupol. In seguito, è stata trasferita nella città di Barnaul, dove ha trascorso alcune settimane in un ospedale psichiatrico. Ha denunciato che le sono stati somministrati, contro la sua volontà, farmaci sconosciuti. Si trova tuttora in detenzione preventiva.
Dmitry Ivanov, studente di Scienze informatiche ed esponente del Gruppo d’iniziativa dell’università di Mosca, un movimento di studenti per i diritti umani. Per aver diffuso sul canale Telegram del movimento appelli in favore delle proteste pacifiche – già di per sé un reato – è stato arrestato tre volte, l’ultima delle quali il 2 giugno ma questa volta per violazione dell’articolo 207.3. Si trova in detenzione preventiva in attesa dell’inizio del processo, previsto il 21 settembre.
Ioann Kurmoyarov, prete della chiesa ortodossa russa, scomunicato il 1° aprile e poi arrestato il 7 giugno per aver denunciato l’aggressione russa dell’Ucraina sul suo canale YouTube e sul suo profilo Vkontakte. È in detenzione preventiva.
Aleksandra Skochilenko, artista di San Pietroburgo, arrestata l’11 aprile dopo che era entrata nei supermercati della città sostituendo i cartellini dei prezzi con informazioni sulla guerra in Ucraina. Da allora è in detenzione preventiva e, nonostante sia celiaca, le viene negata una dieta priva di glutine. A giugno è stata trasferita in un ospedale psichiatrico per una valutazione delle sue condizioni di salute mentale.
Vladimir Kara-Murza, attivista e giornalista noto per il sostegno alla “Lista Magnitsky” (un elenco di cittadini russi sottoposti a sanzioni per aver violato i diritti umani). È sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento, mai indagati. È stato arrestato il 12 aprile, di ritorno dagli Usa dopo un suo intervento alla Camera dei deputati dell’Arizona in cui aveva condannato l’uso delle bombe a grappolo da parte delle forze russe e i loro attacchi contro scuole e ospedali. Da allora è in detenzione preventiva.
Dmitry Talantov, avvocato e presidente dell’Ordine degli avvocati della Repubblica di Odmurtia. È stato arrestato il 28 giugno per aver criticato su Facebook l’invasione dell’Ucraina. È stato posto in detenzione preventiva. Per molte notti è stato privato di un letto ed è stato costretto a dormire su un tavolo.
Amnesty International chiede la liberazione immediata e incondizionata di questi prigionieri di coscienza: l’abrogazione dell’articolo 207.3 del codice penale e di tutte le altre norme che limitano indebitamente il diritto alla libertà di espressione, tra le quali quelle che puniscono gli “appelli ad adottare sanzioni”, il “discredito nei confronti di organi dello stato”, le “offese ai sentimenti religiosi” e la “partecipazione ad attività di un’organizzazione indesiderabile”, in modo che chiunque possa esprimere liberamente le sue opinioni sulla guerra in Ucraina; le fine dei procedimenti giudiziari in corso per tali reati; e, infine, la cessazione dell’uso punitivo della psichiatria e dei trattamenti psichiatrici senza consenso.