Serbia: rom sgomberati aspettano ancora un reinsediamento

7 Aprile 2015

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Tre anni dopo lo sgombero forzato di più di un centinaio di famiglie rom dall’insediamento di Belvil a Belgrado, una combinazione letale di incompetenza burocratica, inerzia e discriminazione ha fatto fallire un progetto di diversi milioni di euro finanziato dalla Commissione europea (Ec) che aveva l’obiettivo di reinsediarle.

Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International, la maggior parte di queste famiglie vive ancora in squallidi container in aree segregate e una cinquantina circa di esse potrebbe non ottenere mai una nuova sistemazione.

Pubblicato in occasione della Giornata internazionale dei rom, il rapporto I rom  aspettano ancora un alloggio adeguato, rivela come – nonostante le promesse del comune di Belgrado e i 3,6 milioni di euro messi a disposizione dall’Ec – nessuno degli edifici residenziali progettati sia mai stato portato a termine. Nel frattempo, i rom sgomberati hanno trascorso anni in villaggi fatti di container, lontani da scuole, servizi sociali e possibilità di accedere a un’occupazione.

Il progetto finanziato dall’Ec era un fiore all’occhiello che intendeva dimostrare come i reinsediamenti potevano essere effettuati secondo gli standard internazionali sui diritti umani, ma è stato affondato da una serie di fallimenti da parte dell’amministrazione cittadina di Belgrado‘ – ha dichiarato Garui van Gulik, vice direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International. ‘Per il reinsediamento erano stati stanziati milioni di euro eppure, a tre anni di distanza, la maggior parte delle famiglie rom scacciate dalle loro abitazioni aspettano ancora di avere un posto da poter chiamare casa‘ – ha aggiunto van Gulik.

Ad aprile 2012, l’Ec aveva stanziato 3,6 milioni di euro per dare un nuovo alloggio alle famiglie rom sgombrate con la forza dall’insediamento informale di Belvil a Belgrado. Secondo il progetto – considerato un rimedio per lo sgombero illegittimo – il comune di Belgrado doveva individuare luoghi idonei e impegnarsi in una reale consultazione con le famiglie interessate al fine di concludere il loro reinsediamento entro febbraio 2015. Ma l’amministrazione comunale ha miseramente disatteso i propri obblighi.

Non vi sono state consultazioni significative e nessuno dei siti inizialmente individuati dal comune rispecchiava in modo idoneo i bisogni delle famiglie o era conforme agli standard internazionali sull’alloggio adeguato.

A novembre 2013, il gruppo di lavoro su Belvil dell’Ec aveva respinto quasi tutti i siti proposti dal comune. Soltanto due risultavano essere idonei, nonostante uno di essi si trovasse a Jabuèki Rit, un villaggio a più di 20 chilometri dal centro cittadino. Questo sito non è soltanto lontano da servizi e opportunità di lavoro, ma creerà anche un insediamento segregato per motivi razziali, in violazione del diritto internazionale.

Un gruppo di appartamenti costruiti a Orlovsko Naselje per ospitare 12 famiglie rom dovrebbe essere completato alla fine del mese di luglio 2015. Ma ad aprile, delle 167 famiglie con i requisiti per il reinsediamento (comprese decine colpite da precedenti sgomberi), soltanto 10 hanno ottenuto assistenza per ricostruire il loro alloggio in precedenza inadatto. Altre 39 famiglie sono state reinsediate secondo un progetto di alloggi da costruire in villaggi, rivelatosi anch’esso insufficiente. Tutte le altre famiglie continuano a vivere in container metallici segregati in quattro località intorno a Belgrado. Questi container non soddisfano i criteri di alloggio adeguato nemmeno come misura temporanea. Due di tali siti distano più di 20 chilometri dal centro di Belgrado e ciò ha significato che molti rom – che in maggioranza si guadagnavano da vivere in città – sono stati costretti a dipendere dalle mense dei poveri e dai sussidi statali.

Il progetto della Commissione europea prevedeva che i 3,6 milioni di euro dovessero essere spesi entro febbraio 2015. Il comune di Belgrado non è stato capace di rispettare questa scadenza, che ora è stata prorogata di un anno. Ma nonostante la proroga, le autorità cittadine hanno detto ai rom che non c’era più denaro per reinsediare 50 famiglie. A meno che l’Ec non aumenti ulteriormente il finanziamento per portare a termine quanto iniziato, le famiglie saranno costrette a restare nei container e a iscriversi alle liste di attesa sperando di ottenere uno dei pochi alloggi popolari disponibili.

Essere costretti ad abbandonare la propria casa è già un’esperienza drammatica, ma essere sistemati in container inadatti e segregati o in altre abitazioni inadeguati per anni e anni ha avuto un impatto devastante sulle vite e sui mezzi di sostentamento di una minoranza già perseguitata‘ – ha sottolineato van Gulik. ‘Quello che avrebbe dovuto essere un fulgido esempio di buon reinsediamento si è trasformato in un tragico fallimento al quale il comune di Belgrado e la Commissione europea possono e devono porre rapidamente rimedio‘ – ha concluso van Gulik.

Ulteriori informazioni

Amnesty International ha documentato sgomberi forzati di insediamenti rom a Belgrado, la capitale serba, fin dal 2009. Nel periodo tra l’aprile 2009 e l’aprile 2012, più di 2000 rom sono stati sgombrati da insediamenti informali.

La maggior parte di essi sono diventuti senzatetto o sono stati costretti a tornare a vivere in alloggi inadeguati fuori Belgrado. Tuttavia, con due diversi programmi  – il primo finanziato dalla Commissione europea e il secondo dalla Banca europea  per gli investimenti – sono state adottate misure per garantire che il comune di Belgrado fornisse ai rom colpiti dagli sgomberi alloggi alternativi adeguati, in conformità agli obblighi internazionali sui diritti umani previsti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che la Serbia ha ratificato.

Agli inizi del febbraio 2015, durante un incontro con la delegazione dell’Unione europea (Eu) in Serbia, Amnesty International ha chiesto informazioni in merito a quanto fosse stato speso dei fondi stanziati dall’Ec; l’organizzazione ha scritto alla delegazione Eu in Serbia anche il 5 marzo 2015 ribadendo la richiesta di informazione ma, a tutt’oggi, non ha ancora ottenuto risposta.