Siria: famiglie lasciate sole e ingannate nella ricerca dei parenti scomparsi

30 Agosto 2019

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In occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizione forzata, Amnesty International ha ricordato la sofferenza delle famiglie di decine di migliaia di persone scomparse o sequestrate in Siria dal 2011 e gli anni di agonia che stanno trascorrendo di fronte ai dinieghi del governo e all’insufficiente sostegno della comunità internazionale, spesso in una situazione di grande rischio personale.

Secondo le Nazioni Unite, in Siria negli ultimi otto anni sono state arrestate o sequestrate circa 100.000 persone. La Rete siriana per i diritti umani ritiene che almeno 90.000 di esse siano state arrestate arbitrariamente dalle forze governative e successivamente vittime di sparizioni forzate.

Amnesty International ha parlato con 24 parenti (23 donne e un uomo, rifugiati in Turchia e Libano o sfollati interni in Siria) di persone scomparse, che hanno descritto le profonde conseguenze emotive e psicologiche legate all’incertezza sulla sorte dei loro cari e il devastante impatto economico causato dalle sparizioni.

Le famiglie degli scomparsi siriani sono state lasciate sole alla ricerca dei loro cari, spesso in una situazione di grande rischio personale. A otto anni dall’inizio della crisi il governo siriano, i gruppi dell’opposizione armata e gli stati che esercitano maggiore influenza sul primo e sui secondi – Russia, Iran e Turchia – hanno tradito coloro che lottano da anni per sapere se i loro cari siano vivi o morti“, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.

Chiediamo a quegli stati di usare la loro influenza affinché, come minimo, venga creato un Ufficio informazioni nazionale per cercare, indagare, localizzare e identificare gli scomparsi in Siria“, ha aggiunto Maalouf.

Amnesty International ritiene che le sparizioni forzate siano state commesse nell’ambito di un massiccio e sistematico attacco alla popolazione civile e dunque costituiscano crimini contro l’umanità.

Le vittime di sparizioni forzate comprendono oppositori pacifici, manifestanti, attivisti per i diritti umani, giornalisti, medici e operatori umanitari. Altre persone sono scomparse perché ritenute sleali nei confronti del governo o perché loro parenti erano ricercati dalle autorità. I gruppi armati, a loro volta, hanno sequestrato civili – compresi difensori dei diritti umani, tra cui l’italiano padre Paolo Dall’Oglio – molti dei quali risultano tuttora scomparsi.

Il governo siriano e i gruppi armati di opposizione hanno il dovere di prendere tutte le misure possibili per rendere conto delle persone scomparse nel contesto del confitto armato e di fornire alle famiglie tutte le informazioni in loro possesso su cosa è accaduto ai loro cari.

Famiglie traumatizzate

Sawsan, una madre di tre figli rifugiata in Libano, cerca suo marito – originario di Daraya – dal giugno 2014, quando è stato arrestato per ragioni sconosciute al confine tra Siria e Libano.
La famiglia intendeva lasciare la Siria dopo che una quarta figlia era morta per una malattia cronica al fegato.

Mia figlia è morta tre mesi prima che suo padre venisse arrestato. Lui aveva il cuore a pezzi per lei. Ora lo abbiamo noi per lui. Due anni fa le Nazioni Unite hanno smesso di darci gli aiuti, senza dirci il perché. Sanno bene che ho tre figli che hanno bisogno di cure mediche per la stessa malattia di mia figlia. Vorrei tornare in Siria, lì le cose costano meno e potrei stare dai miei parenti, ma il governo si prenderà i miei figli per fargli fare il servizio militare, anche se non sono idonei. A loro non importa nulla“.

Fida è originaria della Ghouta occidentale, ha tre figli e una figlia ed è rifugiata in Libano. Suo marito è stato arrestato nel 2014, il suo secondo figlio nel 2018. Di loro non ha più saputo nulla.

All’inizio del 2014 il governo siriano aveva annunciato la riconciliazione con i gruppi armati della Ghouta occidentale, assediati fino ad allora, e che la popolazione civile avrebbe potuto lasciare la zona. Ma a un posto di blocco di Sayyeda Zaynad, a est di Damasco, il marito e un figlio di Fida sono stati arrestati. Non si è trattato dell’unico caso: era la norma che le famiglie evacuate venissero fermate, gli uomini arrestati e le donne e i bambini rimandati indietro.

Nel maggio 2018, a seguito di un accordo di “riconciliazione” con i gruppi armati di opposizione, il figlio di Fida ha ottenuto l’autorizzazione a lasciare la zona ma solo per essere arrestato poco dopo.
Fida ha chiesto informazioni sui parenti scomparsi a diverse strutture di sicurezza ma ha ricevuto solo dinieghi. Teme che, se tornasse in Siria, le autorità le porterebbero via un altro figlio.

Il marito di Fatma, attualmente rifugiata in Turchia, faceva il dentista ad Aleppo fino a quando il 1° dicembre 2012 non è stato arrestato a un posto di blocco. Fatma ha cercato il marito presso tutte le strutture della sicurezza militare di Aleppo ma senza esito. La sua famiglia ha anche pagato degli intermediari che avevano garantito informazioni, poi rivelatisi dei truffatori.

La mia pena più grande è non sapere nulla. Se sapessi che è morto sarebbe meglio. I miei quattro figli soffrono tantissimo, continuano a chiedermi quando il papà ritornerà e io non so cosa rispondergli. Porto il peso della guerra, il peso della sparizione di mio marito, il peso dei miei figli. Tutto da sola“.

Il marito di Laila, un’abitante di Damasco ora rifugiata in Libano, è scomparso dopo essere stato arrestato a un posto di blocco nel 2014 mentre cercava di lasciare la Ghouta occidentale sotto assedio. Prima di fuggire in Libano, Laila ha cercato ovunque suo marito ma poi si è fermata per il timore di subire vendette da parte dei servizi di sicurezza.

La mia famiglia non ha i mezzi per sostenermi. Con la tessera dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ho qualche aiuto umanitario. La mia casa di Boueida è stata distrutta, non so dove tornare indietro. Sono una persona forte, ma ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza. Sento persone che mormorano “Lei è sola, non ha il marito con sé”. I miei bambini hanno bisogno del padre. Non posso essere madre e padre per loro. Non riesco a colmare tutte le mancanze, nonostante i sacrifici“.

Un modo indegno di rivelare la sorte degli scomparsi

Finora il governo siriano non ha rivelato il destino, i nomi e la localizzazione delle persone arrestate arbitrariamente e fatte sparire dalle forze di sicurezza.

Alcune famiglie sono state informate sulla morte in carcere dei loro congiunti o sono riuscite autonomamente a scoprire che i loro cari erano morti durante la detenzione.

Coloro che hanno ricevuto un attestato di morte – l’unica “prova” fornita – sono obbligati a registrare il decesso nei registri civili in modo da ottenere un certificato ufficiale di morte.

Amnesty International è entrata in possesso della copia di due attestati di morte che contengono il nome della persona deceduta, informazioni relative a due testimoni che hanno confermato la morte e la causa del decesso – solitamente “attacco cardiaco” o “ictus”. Il certificato porta il timbro di un ospedale ed è firmato da uno o più funzionari.

Nel maggio 2018 il governo siriano ha emesso comunicazioni ufficiali di morte di centinaia di persone che erano state vittime di sparizioni forzate, senza informare le famiglie o fornire attestati di morte emessi da un ospedale o da un medico legale. Due di queste comunicazioni, emesse dall’anagrafe di Damasco, mostrano il nome e il codice fiscale del deceduto, il nome dei genitori e i loro rispettivi codici, la data di nascita, il luogo di morte e la data di morte.

Amnesty International ha intervistato quattro famiglie che hanno ricevuto conferma scritta della morte dei loro parenti scomparsi.
Questa è la testimonianza di Samar, il cui nipote – impiegato governativo a Damasco – venne arrestato da un servizio segreto militare intorno alla metà del 2015: “Mio nipote ha due figlie piccole. Mia sorella e sua moglie lo hanno cercato ovunque ma si sono sentite rispondere da tutti che non lo avevano arrestato. La moglie ha chiesto informazioni al tribunale militare e alla polizia militare, ma il suo nome non era nell’elenco delle persone decedute. L’anno scorso la madre è andata all’anagrafe per chiedere lo stato di famiglia per iscrivere le bambine a scuola. Lì ha visto che il suo status era cambiato: c’era scritto deceduto. Il certificato diceva che era morto nel giugno 2016“.

Il governo siriano continua a venir meno all’obbligo di assicurare il diritto delle famiglie a conoscere cosa è accaduto ai loro familiari, anche nei casi in cui questi alla fine vengono a sapere che i loro parenti sono morti. Non fornisce mai informazioni sulle circostanze o la causa della morte o se lo fa non è credibile. Le autorità non hanno mai restituito i resti delle persone decedute alle famiglie di origine affinché celebrassero i funerali“, ha commentato Maalouf.

Il governo siriano sta attivamente e intenzionalmente ostacolando il diritto delle famiglie di conoscere la sorte dei loro cari, prorogando l’insopportabile agonia dei parenti degli scomparsi, per lo più donne e bambini“, ha accusato Maalouf.

L’incertezza per le famiglie

La mancanza di informazioni attendibili significa che persino le famiglie che ottengono un attestato di morte da un ospedale o dal registro civile difficilmente si rassegnano a credere o ad accettare che il loro congiunto sia morto, in assenza di ulteriori prove e nell’impossibilità di riconoscere il corpo.

L’obbligo di registrare la morte di un congiunto senza esserne convinti e senza avere prove, aggiunge crudeltà allo stato d’animo delle famiglie.

Il marito e il figlio di Wafa, una rifugiata siriana residente in Libano, sono scomparsi nel maggio e nel luglio 2012. La polizia militare ha fatto sapere alla donna che erano stati uccisi ma non ha fornito altre informazioni e lei spera siano ancora vivi.

Il marito di Safa, una rifugiata residente in Turchia, è scomparso nell’ottobre 2012 dopo che si era recato in una stazione di polizia di Damasco per denunciare il furto dei suo portafogli.

Mia suocera è morta l’anno scorso. Fino a quel momento non ha mai smesso di cercarlo. Ha più volte fatto denuncia di scomparsa anche dopo aver ricevuto un attestato di morte emesso dall’ospedale Tishreen, secondo il quale l’uomo era morto il 13 ottobre 2013. Non possiamo credere che sia stato ucciso. Molti dei nostri amici e parenti hanno ricevuto quegli attestati di morte e alla fine si è scoperto che le persone erano ancora vive in carcere. Voglio il suo corpo. Solo questo mi farà credere che è morto“.

Nota: tutti i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità delle testimoni.