Tempo di lettura stimato: 2'
11 attivisti per i diritti umani in Turchia rischiano fino a 15 anni di carcere solo per aver svolto il loro lavoro.
A seguito della pandemia Covid-19, l‘udienza finale del loro processo è stata rimandata a data da destinarsi.
Non hanno fatto nulla di male. Hanno difeso i diritti umani in Turchia.
Gli 11 attivisti, tra cui l’ex presidente, l’ex direttrice e molti esponenti di Amnesty Turchia, nonché sostenitori dei diritti delle donne e della parità, affrontano assurde accuse di “terrorismo” senza che, nel corso del processo, sia stata presentata alcuna prova credibile contro di loro.
Dal loro arresto nel 2017, oltre due milioni di persone in tutto il mondo, da Ai Wei Wei a Whoopi Goldberg, hanno chiesto giustizia per loro.
Ora, alla conclusione di questo processo iniquo, vi chiediamo di unirvi a noi e far sentire anche la vostra voce inviando un messaggio di solidarietà agli 11 attivisti prima della sentenza.
Dopo tutto, quando le persone che difendono i nostri diritti sono messi a tacere, siamo tutti in pericolo.
Taner Kılıç, allora presidente di Amnesty International Turchia, è stato arrestato nella sua abitazione a Izmir all’alba del 6 giugno 2017. Tre giorni dopo è stato sottoposto a custodia cautelare con l’accusa di essere membro di quella che il governo chiama “Organizzazione terroristica Fethullah Gülen” accusata di essere a capo del violento tentativo di colpo di stato del 2016.
Senza alcuna prova, le autorità sostenevano che Taner avesse scaricato “ByLock“, un’applicazione di messaggeria sicura che, secondo il governo, era utilizzata dal gruppo per comunicare.
Quasi un mese dopo, il 5 luglio, dieci difensori dei diritti umani (i cosiddetti “10 di Istanbul”) sono stati fermati in un albergo sull’isola di Büyükada, Istanbul, dove stavano partecipando a un workshop su benessere e sicurezza digitale. Le autorità li hanno accusati di aver preso parte a un incontro segreto e per otto di loro è stato confermato l’arresto.
İdil Eser, Günal Kurşun, Özlem Dalkıran, Veli Acu, Ali Gharavi, Peter Steudtner, Nalan Erkem e İlknur Üstün hanno trascorso 99 giorni in carcerazione preventiva prima di essere rilasciati su cauzione alla prima udienza del processo il 25 ottobre 2017 a Istanbul.
Il tribunale ha anche chiesto di trasferire il processo di Taner a Istanbul e unirlo a quello dei 10 di Istanbul, asserendo che Taner avesse guidato “l’incontro segreto di Büyükada” nonostante all’epoca del suo svolgimento fosse in prigione. Il giorno seguente, 26 ottobre, durante la prima udienza di Taner a Izmir la richiesta di trasferimento arrivata dal tribunale di Istanbul è stata accettata e i due procedimenti sono stati uniti in un’unica azione a Istanbul. Inoltre, il tribunale ha confermato la carcerazione preventiva per Taner. Da allora, il caso è stato ribattezzato il “processo Büyükada“.
L’accusa ha presentato informazioni e documenti trovati sui computer sequestrati ai 10 di Istanbul che mostrano attività legittime legate ai diritti umani. Tra queste, una campagna per fermare la vendita di gas lacrimogeni alla Turchia e altri documenti di Amnesty International, una richiesta di fondi per un progetto sui diritti umani e una campagna per la scarcerazione di docenti in sciopero della fame.
I nostri esperti hanno redatto una dettagliata analisi dell’accusa, esaminando ciascuno dei capi di imputazione nei confronti degli 11 imputati.
Nell’ultima udienza, nel novembre 2019, il pubblico ministero ha presentato il suo parere finale in cui si chiedeva la condanna di Taner Kılıç in quanto “membro di un’organizzazione terroristica” e di İdil Eser, Özlem Dalkıran, Günal Kurşun, Veli Acu e Nejat Taştan per “aver sostenuto in maniera consapevole e volontaria un’organizzazione terroristica”.
Ha chiesto il proscioglimento di Nalan Erkem, İlknur Üstün, Şeyhmus Özbekli, Ali Gharavi e Peter Steudtner.
Le conclusioni dell’accusa sembrano una copia delle imputazioni e riportano le accuse infondate, di cui è stata provata la falsità durante le varie udienze, come se l’intero processo non avesse mai avuto luogo.
Nel corso del processo, il pubblico ministero non ha portato prove a sostegno del proprio teorema accusatorio nei confronti degli 11 difensori dei diritti umani. Tutti e 11 dovrebbero essere assolti affinché sia fatta giustizia: non avrebbero mai dovuto essere sottoposti a indagini, men che meno arrestati o processati.
Il 19 febbraio il tribunale potrebbe decidere di ignorare la richiesta di condanna e assolverli tutti. Ad ogni modo, la richiesta dell’accusa di proscioglimento di cinque dei difensori dei diritti umani non costituisce una garanzia di assoluzione. Tutti e 11 continuano a rischiare condanna e carcere.
Se qualcuno degli 11 difensori dei diritti umani fosse condannato, anche se evitasse il carcere per il periodo di custodia cautelare già trascorso in prigione, sarebbe comunque un duro colpo per le persone coinvolte e per la società civile indipendente in Turchia.
Quattro degli 11 attivisti sono avvocati. In caso di condanna e di ulteriore conferma di condanna in appello, perderebbero l’abilitazione e non potrebbero più esercitare l’attività forense.
Indipendentemente dalla sentenza, è probabile un ricorso in appello.
Fino a quando tutti gli imputati non verranno assolti dalla corte d’appello, che potrebbe pronunciarsi anni dopo la decisione del tribunale di primo grado, vi saranno ancora rischi.
Il caso ha avuto risonanza in tutto il mondo e ha prodotto una grande ondata di solidarietà per gli 11 difensori dei diritti umani. Oltre 2.000.000 di persone hanno firmato una petizione per il loro rilascio e perché cadano le assurde accuse nei loro confronti.
Governi, istituzioni e rappresentanti politici di tutto il mondo insieme a numerosi artisti e celebrità tra i quali Zoë Kravitz, Ben Stiller, Mark Ruffalo, Whoopi Goldberg, Zach Galifianakis, Annie Lennox, Bono, Peter Gabriel, Juliette Binoche, Jane Birkin, Angélique Kidjo, Patrick Stewart, Sting, Catherine Deneuve e Ai Weiwei all’epoca della custodia cautelare chiesero il rilascio dei difensori e l’abbandono delle assurde accuse nei loro confronti.