Israele: demolite 47 case, sgomberati oltre 300 beduini palestinesi

10 Maggio 2024

©Oren Ziv, +972 Magazine

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La demolizione ad opera delle autorità israeliane, avvenuta l’8 maggio 2024, di 47 case a Wadi al-Khalil, un villaggio palestinese/beduino non riconosciuto nella regione del Negev/Naqab, senza un’adeguata consultazione preliminare o compensazione, sottolinea l’urgenza di smantellare il sistema di apartheid israeliano.

I primi ordini di demolizione del quartiere di Abu Assa, a Wadi al-Khalil, erano stati emessi dalle autorità di pianificazione israeliane nel 2019 per far posto all’estensione del percorso dell’autostrada 6 verso sud. Le demolizioni, le più numerose in un solo giorno dopo quelle di Al-Araqib nel 2010, hanno significato lo sgombero forzato di oltre 300 residenti di Wadi al-Khalil, uno dei nove villaggi non riconosciuti a rischio di sgombero forzato con il pretesto dello sviluppo urbano.

“Le immagini di unità di polizia iper-militarizzate, tra cui la famigerata Yoav e le unità di polizia di frontiera, che assaltano Wadi al-Khalil per demolire le case e confiscare i beni dei residenti sono l’ennesima agghiacciante dimostrazione della crudeltà e delle continue ingiustizie e violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità israeliane nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele, in particolare di quelli che vivono nel Negev/Naqab”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Invece di consultare in modo significativo le comunità locali nell’ambito di un processo decisionale inclusivo sulla pianificazione, lo sviluppo delle infrastrutture e l’accesso alla terra, le autorità israeliane, in particolare l’Autorità beduina per lo sviluppo e l’insediamento, continuano a usare lo sviluppo urbano come strumento per sfollare i beduini, privarli dei diritti e costringerli in sacche di terra sempre più piccole, in una chiara illustrazione del sistema di apartheid israeliano. Il governo israeliano deve fermare immediatamente tutti gli sgomberi forzati e garantire che le persone colpite abbiano accesso a un rimedio efficace e che a coloro che sono rimasti senza casa sia garantito un alloggio adeguato”, ha aggiunto Morayef.

Tra le unità che hanno partecipato alla demolizione c’è l’unità di polizia Yoav, istituita nel 2011 con lo scopo dichiarato di “far rispettare la legge” e fermare le costruzioni non autorizzate nelle località beduine del Negev/Naqab.

Jabr Abu Assa, un residente di Wadi al-Khalil la cui casa è stata demolita l’8 maggio, ha dichiarato ad Amnesty International:

“Non possiamo fermare questo piano; l’autostrada numero 6 passerebbe sopra i nostri corpi indipendentemente da quanto resistiamo, quindi abbiamo chiesto alle autorità un’alternativa equa e giusta per trasferirci in un luogo dove possiamo vivere in pace e dignità, nel quartiere di Mtalla a Tall al-Sabe’. Tuttavia, l’unica opzione che ci è stata data è quella di trasferirci in un quartiere del vicino villaggio di Um al-Batin, dove i residenti locali hanno già detto di non avere spazio per noi e che non siamo i benvenuti; questo significa metterci contro di loro. Significa costringere noi e loro a lottare per le scarse risorse che sono appena sufficienti per loro”.

Abu Assa ha aggiunto che né lui né gli altri residenti le cui case e altre strutture sono state demolite hanno ricevuto alcuna forma di risarcimento.

“Non sappiamo dove andare dopo”

Il 31 dicembre 2023, la Corte suprema israeliana aveva respinto l’appello dei residenti di Wadi Al-Khalil contro il loro trasferimento forzato a Umm al-Batin, permettendo all’Autorità beduina per lo sviluppo e l’insediamento del Negev, un ente governativo che da tempo serve a consolidare il dominio e l’oppressione della comunità beduina, di decidere dove trasferire i residenti.

Hussein al-Rabaya’a, un attivista della comunità del Negev/Naqab, ha dichiarato ad Amnesty International:

“Qui non hai scelta: ti negano il riconoscimento, poi decidono di spostarti, decidono dove andare e se protesti e chiedi un’alternativa equa, dicono che non spetta a te decidere il tuo destino”.

Un altro residente del quartiere, la cui casa è stata distrutta, ha raccontato all’organizzazione:

“Non sappiamo dove andare dopo; non possiamo trasferirci a Umm al-Batin perché lì siamo indesiderati; faremo quello che hanno fatto i residenti di al-Araqib: monteremo una tenda sulle rovine delle nostre case demolite, non abbiamo altra scelta”.

Le demolizioni a Wadi al-Khalil arrivano meno di un anno dopo che la Corte distrettuale israeliana aveva approvato lo sgombero forzato del villaggio non riconosciuto di Ras Jrabah, per far posto all’espansione della vicina città ebraica di Dimona. I residenti di Ras Jrabah sono tuttora impegnati in una battaglia legale contro la demolizione del loro villaggio.

“Le autorità israeliane devono porre fine alla discriminazione e all’oppressione sistematica di cui sono vittime queste comunità, anche ponendo fine agli sgomberi forzati e alla politica di demolizione delle case. Dovrebbero invece concedere il riconoscimento dei villaggi e abrogare tutte le leggi, le politiche e le pratiche volte a espropriare le comunità, anche attraverso i processi di pianificazione”, ha dichiarato Heba Morayef.

Ulteriori informazioni

Nel corso degli anni, le autorità israeliane hanno utilizzato numerosi pretesti per spingere lo spostamento e la segregazione della comunità beduina nel Negev/Naqab; dall’ampliamento delle autostrade alla costruzione di zone industriali, dalla creazione di foreste per il Fondo nazionale ebraico alla designazione di zone militari.

Il rapporto di Amnesty International del 2022 sul sistema di apartheid israeliano illustra come le leggi discriminatorie sulla pianificazione e la zonizzazione siano state concepite per massimizzare la terra e le risorse per gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati.