Arabia Saudita: attivista i diritti delle donne condannata a 11 anni

2 Maggio 2024

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Le autorità saudite devono scarcerare immediatamente e senza condizioni Manahel al-Otaibi, istruttrice fitness di 29 anni e attivista, condannata a 11 anni di carcere a causa del suo modo di vestire e della sua difesa dei diritti delle donne. È quanto hanno dichiarato oggi Amnesty International e ALQST, l’organizzazione che documenta e promuove i diritti umani in Arabia Saudita.

Questa decisione è in netto contrasto con la narrazione delle autorità saudite sulle riforme e sull’empowerment delle donne.

Manahel al-Otaibi è stata condannata il 9 gennaio 2024 durante un’udienza a porte chiuse dal Tribunale penale specializzato saudita, noto per trattare casi legati al terrorismo. Tuttavia, la decisione del Tribunale è stata resa nota solo dopo alcune settimane, come risposta formale a una richiesta di informazioni sul caso da parte del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite.

Manahel è stata accusata per aver semplicemente pubblicato online le sue opinioni e per il suo modo di vestire, in particolare per aver postato sui social media un appello per l’annullamento delle oppressive leggi sul tutore di sesso maschile e un video in cui indossava “abiti indecenti” e “andava in giro per negozi senza l’abaya (l’abito tradizionale saudita)”. Anche sua sorella Fawzia al-Otaibi è stata accusata per reati simili, ma è fuggita dall’Arabia Saudita per timore di essere arrestata dopo che, nel 2022, era stata convocata per un interrogatorio nel 2022.

Secondo la Rappresentanza permanente dell’Arabia Saudita a Ginevra, Manahel al-Otaibi è stata giudicata colpevole di assurde “reati di terrorismo” ai sensi degli articoli 43 e 44 della draconiana legge antiterrorismo saudita, che criminalizza “ogni persona che crea, avvia o utilizza un sito web o un programma su un computer o su un dispositivo elettronico… o pubblica informazioni sulla fabbricazione di ordigni incendiari, esplosivi o di qualsiasi altro dispositivo utilizzato per crimini terroristici”, nonché “ogni persona che, con qualsiasi mezzo, diffonde o pubblica notizie, dichiarazioni false, calunnie o simili per commettere crimini terroristici”.

La famiglia di al-Otaibi non ha avuto accesso ai documenti del tribunale né alle prove presentate contro di lei.

“La condanna di Manahel a 11 anni di prigione è un’ingiustizia estremamente grave e crudele. Sin dal suo arresto, le autorità saudite l’hanno sottoposta a un’implacabile serie di violazioni, dalla detenzione illegale per il suo impegno per i diritti delle donne alla sparizione forzata per oltre cinque mesi; il tutto mentre veniva interrogata, processata e condannata in gran segreto, nonché picchiata da altre detenute in carcere. Con questa sentenza, le autorità saudite hanno dimostrato la vanezza delle loro tanto pubblicizzate riforme sui diritti delle donne degli ultimi anni e hanno messo in luce il loro inquietante impegno nel sopprimere la dissidenza pacifica”, ha dichiarato Bissan Fakih, dell’Ufficio campagne di Amnesty International per l’Arabia Saudita.

“La fiducia di Manahel di poter agire con libertà avrebbe potuto rappresentare un segno positivo della tanto propagandata narrazione di Mohammed bin Salman sulle riforme dei diritti delle donne nel paese. Invece, arrestandola e ora infliggendole questa scandalosa condanna, le autorità saudite hanno nuovamente dimostrato la natura arbitraria e contraddittoria delle loro cosiddette riforme e la loro continua determinazione nel voler controllare le donne dell’Arabia Saudita”, ha dichiarato Lina Alhathloul, responsabile del monitoraggio e della difesa di ALQST.

Sebbene le autorità abbiano allentato alcune restrizioni circa il sistema del tutore maschile, molti aspetti discriminatori rimangono ancora in vigore. La tanto attesa Legge sullo status della persona del 2022, che doveva rappresentare una riforma importante, in realtà serve a codificare anziché abolire molti elementi restrittivi del sistema, tra cui questioni di matrimonio, divorzio, custodia dei figli e eredità.

Manahel al-Otaibi era stata, ironicamente, una delle prime a credere nelle promesse di riforma fatte dal Principe ereditario Mohammed bin Salman. In un’intervista tv del 2019 con l’emittente tedesco Deutsche Welle aveva raccontato dei “cambiamenti radicali” in corso nel regno saudita, come le riforme del codice di abbigliamento e dicendo di sentirsi libera di esprimere le sue opinioni e di vestirsi come desiderava, in base alle dichiarazioni del Principe ereditario. Tuttavia, è stata arrestata il 16 novembre 2022 proprio per aver espresso queste libertà.

Dopo il suo arresto, Manahel al-Otaibi ha subito violenze fisiche e psicologiche nel carcere di Malaz, nella capitale Riad, ed è stata vittima di sparizione forzata per cinque mesi, dal 5 novembre 2023 fino ad aprile 2024. Il 14 aprile 2024, quando è finalmente riuscita a contattare di nuovo la sua famiglia, ha raccontato loro di essere stata in isolamento e di avere una gamba rotta a causa di violenze fisiche. Ha anche detto di essere stata privata delle cure mediche.

“Le autorità saudite devono scarcerare immediatamente e incondizionatamente Manahel al-Otaibi e tutti coloro che sono in carcere per aver pacificamente difeso i propri diritti umani. Nel frattempo, le autorità devono assicurare a Manhel sicurezza e accesso a cure mediche adeguate”, ha aggiunto Lina Alhathloul.

“Bisogna che le autorità saudite modifichino le disposizioni discriminatorie della Legge sullo status della persona e aboliscano completamente le leggi sul tutore di sesso maschile“, ha concluso Bissan Fakih.

Secondo la risposta del governo saudita all’Onu, al 25 gennaio 2024 la condanna di Manahel al-Otaibi era soggetta a ricorso e il suo caso rimaneva “in esame davanti ai tribunali”.

La condanna di al-Otaibi arriva in un periodo di crescente repressione della libertà di espressione in Arabia Saudita, sia online che offline. Negli ultimi due anni, i tribunali sauditi hanno condannato e inflitto lunghe pene detentive a molte persone per le loro opinioni sui social media, incluse diverse donne, fra le quali Salma al-Shehab (27 anni), Fatima al-Shawarbi (30 anni), Sukaynah al-Aithan (40 anni) e Nourah al-Qahtani (45 anni).

Nel 2019, nell’ambito di un’iniziativa per aprire il paese al turismo, le autorità hanno annunciato una maggiore flessibilità nei codici di abbigliamento per le donne straniere in visita al paese. Tuttavia, questa concessione non è stata estesa alle cittadine saudite, che invece si trovano di fonte all’incertezza giuridica nel vestirsi liberamente in pubblico. Più avanti, sempre nel 2019, in un video promozionale pubblicato dall’agenzia di sicurezza statale, le autorità hanno addirittura classificato il femminismo come una forma di pensiero “estremista”, ma sono state costrette a ritrattare rapidamente e la Commissione saudita per i diritti umani ha dovuto chiarire che il femminismo non era “un crimine”.