Nigeria: dieci anni dopo le donne di Chibok fanno sentire la loro voce

11 Aprile 2024

Ritratto di Rose Musa

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Dieci anni fa, 276 studentesse vennero rapite dalla scuola superiore governativa di Chibok, una città nello stato di Borno in Nigeria. Alcune delle ragazze riuscirono a fuggire, altre tornarono in libertà in seguito a numerose campagne condotte dalle organizzazioni della società civile, fra le quali Amnesty International.

Tuttavia, 82 ragazze sono ancora prigioniere, insieme a oltre 1400 minori rapiti in successivi attacchi.

Amnesty International ha intervistato alcune delle giovani donne che sono riuscite a scappare e le madri di alcune tra coloro che risultano ancora scomparse.

Le ragazze che sono riuscite a ricostruire la propria vita

Glory Mainta è stata rapita dieci anni fa. Adesso è libera, ha terminato il liceo e si sta ricostruendo una vita.

Sono una delle ragazze rapite a Chibok. È stato doloroso essere separata dai miei genitori. I rapitori ci hanno inflitto molte sofferenze: siamo state picchiate, ci hanno urlato contro, non c’è nulla che non ci abbiano fatto. Anche se non ci hanno costrette a sposarli, ciò che abbiamo subito è stato ancora più terribile. Abbiamo semplicemente resistito fino a quando Dio ci ha salvate.

Mi costringevano ad andare a prendere l’acqua, pulire il terreno e svolgere molte mansioni non adatte a una donna. Mi sentivo male.

Non riesco nemmeno a descrivere la gioia che ho provato il giorno che ho scoperto che sarei stata liberata. Mi sono sentita come in paradiso. Subito dopo essere stata liberata, sono tornata a scuola. È stato spaventoso all’inizio, così ho cambiato scuola per stare il più vicino possibile ai miei genitori: non voglio passare nemmeno un altro minuto senza di loro. Mi sono diplomata al liceo.

Quando ero nelle mani di Boko Haram, mi mancava tutto. Mi sento molto triste per le ragazze che sono ancora prigioniere. La mia speranza è che possano essere liberate come noi. So come vanno le cose lì ed è per questo che voglio che siano libere, così che possano tornare anche loro dai propri genitori.

"Ricordo il giorno in cui sono stata rapita. È stato bruttissimo, piangevo, è ancora molto doloroso. Il posto dove mi tenevano prigioniera era orrendo. È qualcosa di inimmaginabile.", Mary Dauda

 

Mary Dauda è stata rapita da Boko Haram. Ha raccontato ad Amnesty International com’era la sua vita da prigioniera.

Abbiamo sofferto. Avevamo fame. Continuavamo a pensare ai nostri genitori a casa, chiedendoci se li avremmo mai rivisti. Ci chiedevamo come fosse possibile rimanere con i nostri rapitori, visto che non li conoscevamo nemmeno.

Avevamo sentito tante storie su Boko Haram e ora eravamo nelle loro mani; non sapevamo come sarebbe finita. Tutti questi pensieri continuavano a correre nella mia mente.

Quando ci hanno prese, i nostri rapitori ci hanno detto che avremmo dovuto sposarli, altrimenti non ci avrebbero dato cibo. Siamo state costrette a costruire delle stanze per loro e a pulirle, affinché potessero sposarsi e dormirci dentro. Ci hanno detto che se li avessimo sposati, quella sarebbe stata la nostra vita; se non l’avessimo fatto, saremmo diventate loro schiave. Chi si è rifiutata di sposarli è ancora prigioniera.

Sono stata liberata nel 2016; ero felicissima. Mi sono sentita rinascere. Dopo la mia liberazione sono andata a scuola per tre anni e poi mi sono sposata. Ora vivo con mio marito e i nostri due figli. Vorrei tornare a studiare prima o poi; ma voglio assicurarmi che i miei figli vadano a scuola e diventino autosufficienti. In merito alle altre ragazze di Chibok, spero vengano liberate.

Una madre che ha riavuto sua figlia

Quando la figlia di Rose Musa è tornata a casa, non voleva mangiare né parlare. Ora, da quando è rientrata a scuola e ha riacquistato la sua voce, si sta riprendendo.

Quando mia figlia è stata rapita ho vissuto una duplice tragedia. Nel corso dello stesso mese la mia città è stata attaccata e mio marito è stato ucciso. Ero circa al terzo mese di gravidanza all’epoca e sono rimasta sola in casa. Dio mi ha dato la forza di andare avanti ed è grazie a lui se sono ancora viva.

Quando ho saputo che mia figlia Junmai Miutah era stata liberata, sono stata così felice e fiera. Tuttavia, venire a conoscenza di quello che aveva passato non è stato facile. Ciò che ha subito non va bene e ne è rimasta profondamente colpita. Quando è tornata a casa, non voleva mangiare. Non voleva parlare con gli altri bambini e bambine. Fortunatamente adesso è tornata a scuola e sta bene. Sta vivendo una vita serena, mi aiuta con gli altri miei figli e a risolvere i problemi che insorgono. Vuole continuare a studiare.

Non dimentico coloro che sono ancora prigioniere. Stiamo pregando per il loro ritorno. Vorrei che il governo collaborasse con altri per garantire il ritorno a casa delle altre ragazze. Desidero che i loro genitori provino lo stesso orgoglio che sento guardando mia figlia.

Le madri di coloro che sono ancora disperse

La figlia di Mary Abdullahi, Bilkis, è ancora dispersa.

Da quando mia figlia è stata rapita, non ho più avuto sue notizie. Non so come sta. Non l’ho più vista. Mi sento male ogni volta che sento il suo nome. Vorrei che il governo facesse qualcosa a riguardo. Le nostre ragazze non sono state portate via da casa, ma dalla scuola. È il governo che deve intervenire. Alcune ragazze sono state liberate, quindi spero che, se continuerò a supplicare il governo, anche mia figlia tornerà a casa.

Mary Abdullahi

Sarei così felice se potessi rivedere mia figlia o parlare con lei. Sono passati dieci anni ormai. Spero davvero che le organizzazioni della società civile continuino a portare avanti campagne per la liberazione delle ragazze ancora in stato di prigionia. Voglio solo vedere mia figlia. Questa è la mia speranza.

La figlia di Comfort Ishaya, Hauwa, è stata rapita dieci anni fa. È ancora dispersa.

Mia figlia, Hauwa, è stata rapita a Chibok dieci anni fa. Quando è successo, mi sono sentita malissimo. Non c’era nulla che potessi fare. Sembrava che il sangue avesse smesso di scorrere nel mio corpo. Come madre, non è facile partorire un bambino. L’ho allattata per nove mesi. Poi, pochi giorni prima dei suoi esami scolastici finali, è stata rapita. Sembrava che non avessimo più un rapporto.

Quando abbiamo saputo che alcune ragazze erano state liberate, ho sperato che mia figlia fosse tra quelle, ma non era così. Ogni volta che qualcuna viene liberata, è doloroso scoprire che non è tua figlia.

Mi chiedo se mia figlia sia ancora viva. Spero davvero di sì. È quello che desidero. Quando mangio, penso a lei e mi chiedo se ha cibo. Penso sempre a lei. Spero davvero di poter rivedere mia figlia, non importa quanto grande sarà.

Non possiamo dimenticare le ragazze che sono ancora disperse. Penso sempre a loro. Sto ancora cercando mia figlia. Voglio che il governo continui ad aiutarmi. Spero e prego di rivederle di nuovo.