Perché non prenderemo parte al processo di consultazione della società civile del G20 nel 2020

14 Gennaio 2020

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Il summit annuale G20 può sembrare un posto in cui i governi più potenti del mondo, i leader di 19 tra le più grandi economie nazionali, più l’Unione europea, si riuniscono, si stringono la mano davanti alle telecamere e concludono accordi vaghi, molti dei quali non saranno attuati.

I summit attirano l’attenzione della stampa mondiale, e, spesso, di manifestanti provenienti da tutto il mondo per chiedere che questi governi si assumano le proprie responsabilità.

Meno noto è il lungo ciclo di incontri preparatori che porta al summit dei leader del G20.

Nonostante le tante limitazioni e le difficoltà del processo che affrontano per molte voci non governative, soprattutto sindacati, gruppi di attivisti e società civile, si tratta di una opportunità rara per esprimere raccomandazioni politiche direttamente alle autorità nazionali e influenzare l’agenda globale su temi che interessano miliardi di persone.

Negli ultimi anni all’interno del G20 si tiene un ciclo di incontri dedicati alla società civile, conosciuto come Civil 20 (C20).

Tuttavia, nel 2020, noi, organizzazioni della società civile, manterremo la distanza dal processo di consultazione ufficiale del C20, che sarà ospitato dall’Arabia Saudita.

Con questo G20 l’Arabia Saudita ha tentato di promuovere l’immagine di paese moderno attraente per gli investitori stranieri. Il governo ha reclutato prestigiosi consulenti di comunicazione occidentali e speso milioni di dollari per ripulire la sua immagine e mettere a tacere le critiche della stampa internazionale.

Intanto, internamente, il Regno dell’Arabia Saudita, arresta e persegue difensori dei diritti umani, censura la libertà di parola, limita gli spostamenti e tortura e maltratta giornalisti e attivisti detenuti. Leggi antiterrorismo formulate in modo vago sono utilizzate per mettere a tacere le voci critiche, anche attraverso l’imposizione della pena di morte.

Nell’ottobre 2018 il brutale assassinio del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul ha scioccato il mondo. Le donne sono sistematicamente discriminate nella legge e nella prassi. Inoltre, le difensore dei diritti delle donne sono sottoposte a persecuzione giudiziaria, arresti arbitrari e detenzione.

Invece di realizzare una vera riforma, il governo saudita cerca di ripulire i tragici dati sui diritti umani ospitando grandi eventi internazionali. Tra questi, il G20 e – tramite una Ong autorizzata dal governo, il C20. In quanto importanti organizzazioni della società civile presenti nella maggior parte del mondo (ma significativamente non in Arabia Saudita), non possiamo prendere parte a un processo che cerca di legittimare a livello internazionale uno stato che non offre alcuno spazio alla società civile e in cui non sono tollerate le voci indipendenti.

A giugno 2019, il C20 ha stabilito una serie di principi, tra cui una struttura di base e dei meccanismi operativi al fine di assicurarne sostenibilità ed efficacia. I principi del C20 danno enfasi all’inclusione degli esponenti della società civile a livello locale e globale, alla trasparenza nel processo decisionale, alla libertà e all’indipendenza da influenze improprie ad opera di qualsiasi soggetto che non faccia parte della società civile, all’apertura e alla diversità; al ruolo cardine dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere ed dell’empowerment delle donne. La maggior parte di questi principi saranno assenti: la presidenza saudita del G20, piuttosto, ha già iniziato a porli sotto attacco.

Praticamente, nessun esponente della società civile del paese potrà partecipare all’imminente C20 in Arabia Saudita, se non un numero simbolico di organizzazioni che lavorano su temi considerati innocui da parte del governo, poiché le autorità non permettono l’esistenza di partiti politici, sindacati o gruppi indipendenti per i diritti umani.

La maggior parte degli attivisti progressisti della società civile sono sotto processo o stanno scontando lunghe pene detentive per aver preso la parola apertamente o sono stati costretti all’esilio al fine di evitare la prigione o anche di peggio. Il rientro nella nazione non è un’opzione, perché li metterebbe a rischio. Senza il contributo di queste voci fondamentali e indipendenti la credibilità della C20 è fortemente compromessa.

Esponenti della società civile internazionale dovrebbero affrontare anche serie difficoltà per partecipare liberamente all’evento.

Le normative e le politiche attualmente in vigore in Arabia Saudita non solo colpiscono direttamente i diritti alla libertà di associazione, espressione e riunione pacifica. Hanno anche un effetto paralizzante che ha lo scopo di far tacere alcune categorie di attivisti che, in caso di denuncia, metterebbero in pericolo la loro stessa sicurezza.

Inoltre, nel novembre del 2019, il Dipartimento saudita per la lotta all’estremismo ha definito reati femminismo e omosessualità. La dichiarazione è stata corretta ma le principali difensore dei diritti umani delle donne del paese sono ancora sotto processo per il loro lavoro a favore dei diritti umani.

Queste leggi e queste pratiche si scontrano con i principi del C20 di diversità, uguaglianza di genere ed empowerment delle donne, e soffocherebbero la libera espressione nelle discussioni sui diritti delle donne, i diritti sessuali e riproduttivi e i diritti delle persone Lgbti.

Ad aggravare la situazione concorre la mancanza di libertà di stampa in Arabia Saudita. Severi controlli sulla stampa, censura e controllo dei social media impedirebbero a qualsiasi discussione tenuta nel C20, se non a una versione controllata dalle autorità, di estendersi a una popolazione saudita allargata. E qualora si riuscisse a realizzare discussioni simili, la mancanza di stampa libera farebbe sì che qualsiasi discussione importante del C20 potrebbe raggiungere solo un pubblico limitato. Ciò è incoerente con i principi guida del C20 di inclusione, apertura, trasparenza e partecipazione.

Nei precedenti G20 hanno avuto luogo proteste di attivisti degli stati ospitanti e di altri paesi. La libertà di riunione pacifica è un diritto, ma in un paese in cui qualsiasi riunione, anche le dimostrazioni pacifiche, sono proibite, non vi è alcuna possibilità che questo diritto fondamentale venga rispettato.

Sono molti gli aspetti carenti del processo C20 guidato dall’Arabia Saudita, in particolar modo non vi è alcuna garanzia che ne vengano rispettati i principi fondamentali.

Persino all’inizio del processo del C20 del 2020 abbiamo potuto constatare una chiara mancanza di trasparenza dal paese ospitante. La nomina dei presidenti dei gruppi di lavoro e delle commissioni è avvenuta in maniera poco trasparente e senza concertazione, con l’esclusione arbitraria di gruppi internazionali di grande esperienza. Il processo C20 guidato dalla Fondazione Re Khalid, legata alla Famiglia Reale saudita, non può essere considerato trasparente, inclusivo e partecipativo, come stabilito dai Principi C20.

In un momento in cui il mondo sta affrontando un’ampia gamma di sfide, c’è quanto mai bisogno di voci indipendenti. Uno stato che chiude lo spazio civile fino a renderlo praticamente inesistente come può garantire alla società civile internazionale le condizioni fondamentali per scambiare idee e collaborare liberamente su un qualsiasi tema? Figuriamoci se tali temi sono ritenuti sensibili o offensivi.
Pur non partecipando al C20, lavoreremo insieme per assicurare che quelle voci indipendenti nel 2020 trovino spazio.