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Discriminazione e disuguaglianza sono rimaste la norma nell’intero continente. La regione ha continuato a essere devastata da elevati livelli di violenza, con ondate di uccisioni, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie. I difensori dei diritti umani hanno affrontato un aumento del grado di violenza nei loro confronti. L’impunità è rimasta dilagante. Si è fatta strada una retorica politica volta a demonizzare e a dividere.

Le popolazioni native hanno affrontato discriminazioni e hanno continuato a vedersi negare i diritti economici, sociali e culturali, compresi i loro diritti alla terra e a un consenso libero, anticipato e informato in merito alla realizzazione di progetti che avevano ripercussioni sulle loro vite.

I governi della regione hanno fatto scarsi progressi nella tutela dei diritti di donne e ragazze e delle persone Lgbti.

In tutte le Americhe, moltissime persone hanno dovuto affrontare una crisi dei diritti umani sempre più profonda, alimentata da una regressione dei diritti umani nelle leggi, nelle politiche e nelle prassi, insieme a un crescente ricorso a una retorica politica volta a demonizzare e a dividere. Questa regressione ha rischiato di diventare endemica in molti paesi. Ha aggravato la mancanza di fiducia nelle autorità, che si è manifestata in percentuali sempre più basse di affluenza alle elezioni e ai referendum, e in generale nelle istituzioni, come i sistemi giudiziari nazionali.

Invece di guardare al rispetto dei diritti umani come un modo per costruire un futuro più equo e sostenibile, molti governi hanno preferito ripiegare sulla tattica della repressione, utilizzando le forze di sicurezza e i sistemi giudiziari per mettere a tacere il dissenso e le critiche; lasciando che i frequenti casi di tortura e altri maltrattamenti restassero impuniti e cavalcando la diffusa disuguaglianza, povertà e discriminazione, alimentate dalla corruzione e da una costante incapacità di garantire l’accertamento delle responsabilità e la giustizia.

Un duro colpo ai diritti umani è stato segnato dall’adozione di una serie di ordini esecutivi emanati dal presidente americano Donald Trump, compresi quello divenuto poi noto come “Muslim ban” e quello relativo al piano per la costruzione di un muro lungo il confine degli Usa con il Messico.

In vari paesi della regione, tra cui Brasile, El Salvador, Honduras, Messico e Venezuela, continui episodi di violenza efferata sono stati la norma. La violenza che ha caratterizzato durante l’anno la regione è stata spesso alimentata dalla proliferazione di armi di piccolo calibro illegali e dalla crescita della criminalità organizzata. Sono stati diffusi anche gli episodi di violenza contro persone Lgbti, donne e ragazze e popolazioni native.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la regione dell’America Latina e dei Caraibi continuava a essere la più violenta del mondo per le donne, nonostante la presenza di rigide normative che miravano a contrastare questa crisi. A livello globale, la regione deteneva anche la più alta percentuale di violenza contro le donne per mano di individui senza legami intimi con la vittima ed era al secondo posto per episodi di violenza per mano del partner.

Il Messico è stato testimone di un’ondata di uccisioni di giornalisti e difensori dei diritti umani. Il Venezuela ha affrontato la peggiore crisi dei diritti umani della sua storia moderna. In Colombia, l’uccisione di nativi e di leader afroamericani ha fatto emergere una serie di limiti nell’implementazione del processo di pace nel paese.

Attivisti per i diritti della terra sono stati vittime di episodi di violenza e altri abusi in molti paesi. La regione ha continuato a registrare un allarmante aumento delle minacce e degli attacchi contro i difensori dei diritti umani, i leader comunitari e i giornalisti, anche attraverso un uso improprio del sistema giudiziario.

Moltissime persone hanno abbandonato le loro case per sfuggire alla repressione, alla violenza, alla discriminazione e alla povertà. Molte hanno subìto ulteriori abusi mentre erano in viaggio o tentavano di raggiungere altri paesi della regione.

La grazia concessa all’ex presidente peruviano Alberto Fujimori, che nel 2009 era stato condannato per crimini contro l’umanità, ha lanciato un preoccupante segnale d’allarme rispetto alla reale volontà del Perù di combattere l’impunità e rispettare i diritti delle vittime.

A causa dell’incapacità degli stati di tutelare i diritti umani, gli attori non statali si sono sentiti più liberi di compiere crimini di diritto internazionale e altri abusi. Un esempio fra tutti è quello dei vari gruppi della criminalità organizzata, che in alcuni casi avevano il controllo su interi territori, potendo spesso contare sull’acquiescenza o sulla complicità delle forze di sicurezza. Società nazionali e multinazionali hanno cercato di ottenere il controllo sulla terra e sul territorio delle comunità locali, tra cui le popolazioni native e, in alcuni paesi come Perù e Nicaragua, anche dei contadini.

Il mancato rispetto dei diritti economici, sociali e culturali ha provocato diffuse sofferenze. Ribaltando la linea politica degli Usa, l’amministrazione del presidente Trump ha ridotto le possibilità che il congresso degli Usa approvasse la legge per revocare l’embargo economico su Cuba, perpetuando così le conseguenze negative sulla vita dei cubani generate dalle sanzioni economiche. Le autorità del Paraguay non hanno provveduto a garantire il diritto a un alloggio adeguato in seguito agli sgomberi forzati. Haiti ha registrato migliaia di nuovi casi di colera.
Decine di migliaia di persone sono state sfollate dalle loro abitazioni e hanno avuto difficoltà a causa degli ingenti danni alle infrastrutture nell’area dei Caraibi, tra cui nella Repubblica Dominicana e a Portorico, causati da due imponenti uragani, tra le varie calamità naturali verificatesi durante l’anno. In Messico, due devastanti terremoti sono costati la vita a centinaia di persone, compromettendo anche i diritti della popolazione a un alloggio adeguato e all’istruzione.

Durante l’Assemblea generale dell’Oas, tenutasi a giugno a Cancún, in Messico, è emersa con chiarezza l’assenza di una leadership politica in grado di affrontare alcune delle problematiche relative ai diritti umani più pressanti nella regione. Un gruppo di paesi ha cercato di condannare la crisi in Venezuela, senza tuttavia riconoscere i propri fallimenti nel garantire il rispetto e la tutela dei diritti umani. Dopo la crisi finanziaria dell’anno precedente, l’Oas ha fatto un passo avanti raddoppiando il bilancio destinato al finanziamento del sistema interamericano dei diritti umani, sebbene questi fondi siano stati stanziati a fronte di determinate condizioni, che potrebbero limitare la capacità della Commissione interamericana dei diritti umani e della Corte interamericana dei diritti umani di accertare le responsabilità per le violazioni dei diritti umani.

Negli Usa, il presidente Trump non ha perso tempo a mettere in atto la sua retorica contraria ai diritti, intrisa di discriminazione e xenofobia, minacciando gravi passi indietro in tema di libertà civili e giustizia, tra l’altro con la firma di una serie di ordini esecutivi repressivi, che hanno indebolito i diritti umani di milioni di persone, sia all’interno degli Usa sia all’estero.
Questa tendenza ha portato tra l’altro all’adozione di prassi violente al confine tra Usa e Messico, come un maggiore ricorso alla detenzione dei richiedenti asilo e d’interi nuclei familiari; drastiche restrizioni d’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva per le donne e le ragazze sia negli Usa che in altri paesi; l’abrogazione delle tutele che garantivano i diritti dei lavoratori Lgbti e degli studenti transgender e l’autorizzazione al completamento del Dakota Access Pipeline, un oleodotto che minacciava l’unica fonte di approvvigionamento d’acqua della tribù sioux di Standing Rock e di altri popoli nativi, oltre che violare il loro diritto a un consenso libero, anticipato e informato.
Tuttavia, a questa progressiva privazione dei diritti non è corrisposto il disimpegno. Un crescente malcontento sociale ha spinto la gente a scendere per le strade, a difendere i diritti e a chiedere la fine della repressione, dell’emarginazione e dell’ingiustizia. Tra i vari esempi, ci sono state le manifestazioni di massa a sostegno dell’attivista Santiago Maldonado, trovato morto dopo essere scomparso nel contesto di una manifestazione segnata dalla violenza della polizia in una comunità mapuche in Argentina, e l’imponente mobilitazione sociale di “Ni una menos” (Non una di meno), un movimento di denuncia del fenomeno dei femminicidi e della violenza contro donne e ragazze, attivo in varie parti della regione.
Negli Usa, una gran parte della società civile e l’opposizione politica si sono mobilitate contro alcune delle decisioni e delle politiche che minacciavano i diritti umani, adottate dall’amministrazione Trump, come i tentativi di vietare l’ingresso negli Usa alle persone provenienti da diversi paesi a maggioranza musulmana e di ridurre il numero dei rifugiati aventi i requisiti richiesti per l’ammissione negli Usa, le ripetute minacce di aumentare il numero dei detenuti nel centro di detenzione statunitense di Guantánamo Bay e il tentativo di privare milioni di cittadini statunitensi della copertura assicurativa sanitaria.

PUBBLICA SICUREZZA E DIRITTI UMANI

La crisi del Venezuela

Il Venezuela ha affrontato una delle peggiori crisi dei diritti umani nella sua storia recente, alimentata da un’escalation di violenza spesso sostenuta dal governo. Sono aumentate le proteste a causa di un’impennata dell’inflazione e di una crisi umanitaria dovuta alla difficoltà di reperire generi alimentari, farmaci e altro materiale sanitario. Invece di affrontare la crisi alimentare e sanitaria, le autorità hanno messo in atto una premeditata politica di violenta repressione contro qualsiasi forma di dissenso. Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso all’uso eccessivo e illegale della forza contro i manifestanti, anche lanciando gas lacrimogeni e sparando proiettili di gomma, provocando la morte di almeno 120 persone. Altre migliaia sono state arbitrariamente detenute e sono state segnalati numerosi episodi di tortura e altri maltrattamenti. Il sistema giudiziario è stato utilizzato per imbavagliare il dissenso, anche tramite il ricorso ai tribunali militare per perseguire i civili e per prendere di mira e vessare i difensori dei diritti umani.

Violenza e impunità in Messico

La crisi dei diritti umani è proseguita anche in Messico, esacerbata dall’aumento dei tassi di violenza e di omicidi, compreso un numero record di uccisioni di giornalisti. Gli arresti e le detenzioni arbitrari sono rimasti diffusi, in molti casi con l’effetto di determinare ulteriori violazioni dei diritti umani, che nella maggior parte dei casi non sono state adeguatamente indagate. Oltre 34.000 persone sono state vittime di sparizioni forzate e le esecuzioni extragiudiziali sono state frequenti. Tortura e altri maltrattamenti sono rimasti prassi diffuse e sono stati compiuti impunemente dalle forze di sicurezza, con persone regolarmente costrette a firmare false “confessioni”. Tuttavia, l’approvazione da parte del senato di una legge sulle sparizioni forzate, a seguito dell’indignazione generata nell’opinione pubblica dal caso dei 43 studenti vittime di sparizione forzata, dei quali non si conosceva ancora la sorte né la localizzazione dei cadaveri, ha rappresentato un potenziale passo in avanti, benché la sua concreta implementazione richiederà un serio impegno politico nell’assicurare giustizia, verità e riparazione. Il congresso ha inoltre finalmente approvato una nuova legge generale sulla tortura. Ha destato invece preoccupazioni l’adozione di una normativa sulla sicurezza interna, che avrebbe permesso una prolungata presenza delle forze armate sul territorio con normali funzioni di ordine pubblico, una strategia che è stata associata a un aumento delle violazioni dei diritti umani.

Uccisioni illegali

Le autorità brasiliane hanno ignorato una sempre più acuta crisi dei diritti umani di cui loro stesse sono state artefici. Nella città di Rio de Janeiro, l’impennata di violenza ha portato a un’ondata di uccisioni illegali compiute dalla polizia, con percentuali sempre più alte di uccisioni e altre violazioni dei diritti umani anche in altre località del paese. Poco è stato fatto per ridurre il numero degli omicidi, limitare l’uso della forza da parte della polizia o garantire i diritti delle popolazioni native. Nel caotico, sovraffollato e pericoloso sistema penitenziario del Brasile sono morti almeno 120 reclusi, nel contesto dei disordini verificatisi a gennaio.
Nonostante una diminuzione della percentuale di omicidi in Honduras, hanno destato notevole preoccupazione gli elevati livelli di violenza e insicurezza; la diffusa impunità ha indebolito la fiducia dell’opinione pubblica nelle autorità e nel sistema giudiziario. L’intero territorio nazionale è stato attraversato da proteste di massa per denunciare la mancanza di trasparenza nell’elezione presidenziale di novembre, che sono state represse con violenza dalle forze di sicurezza, con almeno 31 persone uccise, decine detenute arbitrariamente e altre ferite.
Nella Repubblica Dominicana, dove persisteva un elevato tasso di omicidi, sono state documentate decine di uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza. In Giamaica, ci sono stati nuovi casi di uccisioni illegali, compiute impunemente dalla polizia, che in alcuni casi potrebbero configurarsi come esecuzioni extragiudiziali.

PROTESTE

In vari paesi, come Colombia, Paraguay e Portorico, le autorità hanno risposto agli eventi di protesta ricorrendo all’uso non necessario ed eccessivo della forza.
In Paraguay, sono scoppiate le proteste dopo la diffusione della notizia di un tentativo segreto da parte dei senatori di emendare la costituzione per permettere la rielezione del presidente. L’edificio del congresso è stato dato alle fiamme da alcuni manifestanti e l’attivista d’opposizione Rodrigo Quintana è stato ucciso dalla polizia. Decine di persone sono rimaste ferite, almeno 200 sono state arrestate e organizzazioni locali hanno denunciato tortura e altri maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza.
In Nicaragua, poliziotti hanno impedito alle comunità contadine e alle popolazioni native di partecipare alle manifestazioni pacifiche organizzate contro la costruzione del Gran canal interoceánico.
In Argentina, oltre 30 persone sono state arbitrariamente detenute dalla polizia nella capitale Buenos Aires, per avere partecipato a una manifestazione che era stata organizzata in seguito alla morte dell’attivista Santiago Maldonado. A dicembre, a Buenos Aires, le forze di sicurezza sono intervenute facendo uso eccessivo della forza contro i manifestanti che avevano aderito a una serie d’imponenti manifestazioni contro le riforme del governo.

ACCESSO ALLA GIUSTIZIA E LOTTA PER PORRE FINE ALL’IMPUNITÀ

In molti paesi della regione, l’impunità è rimasta pervasiva e ha spesso portato a ulteriori violazioni dei diritti umani.
In Guatemala, l’impunità e la corruzione dilaganti hanno eroso la fiducia della popolazione nelle autorità e ostacolato l’accesso alla giustizia. Ad agosto e settembre, il paese è stato attraversato da vaste proteste e ha dovuto affrontare una crisi politica, quando esponenti del governo si sono dimessi in risposta al tentativo del presidente Jimmy Morales di espellere il presidente della Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala, un organismo indipendente istituito nel 2006 dal governo e dalle Nazioni Unite per rafforzare il principio di legalità nell’era post-conflitto.
L’impunità per le violazioni dei diritti umani compiute in passato e quelle attuali ha continuato a essere motivo di preoccupazione in Cile. L’archiviazione da parte delle autorità di un’indagine sul presunto rapimento e tortura denunciato dal leader mapuche Víctor Queipul Hueiquil è suonata come un agghiacciante monito per i difensori dei diritti umani di tutto il paese; a quanto pare sul caso non è mai stata condotta un’indagine approfondita e imparziale. La machi e leader comunitaria Francisca Linconao e altri 10 nativi mapuche sono stati prosciolti dalle imputazioni di terrorismo, per l’assenza di prove in grado d’implicarli nella morte di due persone, in un caso risalente a gennaio 2013. Tuttavia, a dicembre la corte d’appello ha invalidato la sentenza. L’inizio del nuovo processo era previsto nel 2018.

AFFRONTARE LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI DEL PASSATO

Gli sforzi per affrontare le violazioni dei diritti umani rimaste ancora irrisolte hanno continuato a dimostrarsi lenti e poco incisivi, oltre a essere spesso ostacolati da una reale mancanza di volontà politica.
In Perù, il presidente Pedro Pablo Kuczynski ha concesso la grazia per motivi di salute all’ex presidente Alberto Fujimori, il quale era stato condannato nel 2009 a 25 anni di carcere per la sua responsabilità nei crimini contro l’umanità compiuti dai suoi subordinati e doveva rispondere di ulteriori imputazioni per la sua presunta responsabilità in altre violazioni dei diritti umani, che potrebbero configurarsi come crimini contro l’umanità. Migliaia di persone sono scese per le strade per protestare contro la decisione.
In Uruguay, difensori dei diritti umani che indagavano sulle violazioni dei diritti umani che si erano verificate durante il regime militare (1973-1985) hanno denunciato di avere ricevuto minacce di morte, la cui provenienza non è stata indagata dalle autorità. A novembre, la Corte suprema ha stabilito che i crimini compiuti durante il regime non costituivano crimini contro l’umanità e, pertanto, erano da ritenersi soggetti a prescrizione.
Nonostante queste battute d’arresto, nella regione sono stati compiuti anche alcuni passi in avanti. In Argentina, 29 persone sono state condannate all’ergastolo per crimini contro l’umanità compiuti all’epoca della giunta militare (1976-1983) e un tribunale federale ha emesso una sentenza storica che ha condannato all’ergastolo quattro membri della magistratura per avere contribuito al verificarsi dei crimini contro l’umanità compiuti in quegli anni.
In Bolivia è stata creata una commissione di verità, con l’incarico d’indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani compiute durante le giunte militari dal 1964 al 1982.
Sono stati compiuti progressi anche nel perseguimento di alcuni crimini contro l’umanità compiuti durante il conflitto armato interno in Guatemala (1960-1996), con cinque ex membri dell’esercito rinviati a giudizio per accuse di crimini contro l’umanità, stupro e sparizione forzata. Dopo diversi falliti tentativi registrati dal 2015, sono finalmente ripresi a ottobre i processi a carico dell’ex capo di stato José Efraín Ríos Montt e dell’ex capo dell’intelligence José Rodríguez Sánchez.

RIFUGIATI, MIGRANTI E PERSONE APOLIDI

Negata protezione negli Usa

Nel contesto di una crisi globale dei rifugiati in cui oltre 21 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni a causa di guerre e persecuzioni, gli Usa hanno adottato drastiche iniziative per negare la protezione a persone che ne avevano bisogno. Nelle primissime settimane della sua amministrazione, il presidente Trump ha emanato una serie di ordini esecutivi con l’obiettivo di sospendere per 120 giorni il programma di reinsediamento dei rifugiati del suo paese, vietare a tempo indeterminato il reinsediamento dei rifugiati siriani e ridurre a 50.000 il tetto annuale di rifugiati ammessi negli Usa.
Il presidente Trump ha inoltre firmato un ordine esecutivo, promettendo di costruire un muro lungo il confine tra gli Usa e il Messico. L’ordine, con cui s’impegnava a schierare ulteriori 5.000 agenti per pattugliare il confine, comportava il rischio che un numero maggiore di migranti, compresi molti che necessitavano di protezione internazionale, fossero rimandati illegalmente indietro al confine o espulsi verso luoghi in cui la loro vita era a rischio. L’ingiustizia insita nelle azioni intraprese dal presidente Trump è risultata più che mai evidente nel contesto della crisi dei rifugiati in corso nell’intera area centramericana e della spaventosa situazione in Venezuela, che ha spinto un numero crescente di venezuelani a chiedere asilo all’estero. In seguito al peggioramento delle condizioni per i rifugiati e i migranti negli Usa, c’è stato un significativo aumentato del numero di richiedenti asilo che hanno attraversato irregolarmente il confine settentrionale degli Usa per raggiungere il Canada.

Crisi dei rifugiati

Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, oltre 57.000 persone provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador hanno cercato asilo in altri paesi. Molte sono state rimandate con la forza nei loro paesi d’origine, dove la mancanza di un sistema efficace in grado di proteggerle significava che avrebbero dovuto affrontare gli stessi rischi e le stesse condizioni da cui avevano cercato di fuggire. Migliaia di persone, tra cui interi nuclei familiari e minori non accompagnati, provenienti da questi paesi, sono migrate verso gli Usa attraverso il Messico e sono state arrestate al confine statunitense.
Il Messico ha ricevuto un numero record di richieste d’asilo, prevalentemente da persone in fuga da El Salvador, Honduras, Guatemala e Venezuela, ma ha continuamente rifiutato di fornire protezione a coloro che ne avevano bisogno, rimandando queste persone indietro, in situazioni altamente rischiose, in cui era in pericolo anche la loro vita.
Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo dell’Argentina è rimasto lento e insufficiente e non era previsto un programma d’integrazione per aiutare i richiedenti asilo e i rifugiati ad accedere ai servizi più essenziali, come istruzione, lavoro e assistenza sanitaria.
Moltissimi cubani hanno continuato ad abbandonare il paese, spinti dai bassi salari e dalle indebite restrizioni alla libertà d’espressione.

Persone apolidi e sfollati interni

La crisi dell’apolidia nella Repubblica Dominicana ha continuato a colpire decine di migliaia di persone di origine haitiana che, pur essendo nate nel paese, erano diventate apolidi dopo essere state retroattivamente e arbitrariamente private della loro nazionalità dominicana nel 2013. A queste persone è stato negato il godimento di una serie di diritti umani e l’accesso all’istruzione superiore, a un’occupazione legale o a un’assistenza sanitaria adeguata.
Ad Haiti, quasi 38.000 persone sono rimaste sfollate a causa del terremoto che aveva devastato il paese nel 2010. È stato inoltre segnalato un aumento dei casi di espulsione al confine dominico-haitiano.

DIRITTI DELLE POPOLAZIONI NATIVE

I diritti delle popolazioni native hanno continuato a essere violati in vari paesi della regione, tra cui Argentina, Bolivia, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Honduras, Nicaragua e Perù.

Violenza contro le popolazioni native

In Argentina, i popoli nativi hanno continuato a essere criminalizzati e discriminati; le autorità sono ricorse ad azioni legali per attaccarli e sono stati segnalati episodi di aggressione da parte della polizia, tra cui pestaggi e intimidazioni. Rafael Nahuel, membro della comunità mapuche, è stato ucciso a novembre durante uno sgombero condotto dalle forze di sicurezza.
In Colombia, un’ondata di uccisioni di membri di comunità native storicamente colpite dal conflitto armato ha fatto emergere una serie di limiti nell’implementazione dell’accordo di pace. L’uccisione di Gerson Acosta, leader del consiglio nativo kite kiwe di Timbío, nel Cauca, crivellato di proiettili mentre usciva da una riunione della comunità, è stata uno dei tragici esempi dell’inefficacia delle misure adottate dalle autorità per proteggere la vita e l’incolumità dei leader comunitari e in generale delle popolazioni native.
La Commissione interamericana dei diritti umani ha documentato le varie forme di discriminazione affrontate dalle donne native nella regione delle Americhe e ha sottolineato come la loro emarginazione sul piano politico, sociale ed economico contribuisse a rendere la discriminazione un fenomeno strutturale permanente, lasciandole esposte a rischi di violenza sempre più elevati.

Diritti sulla terra

In Perù, nuove leggi hanno indebolito la tutela dei diritti delle popolazioni native alla terra e al territorio e hanno compromesso il loro diritto a un consenso libero, anticipato e informato. Il governo ha negato il diritto alla salute a centinaia di nativi, le cui uniche fonti di approvvigionamento d’acqua erano state contaminate da metalli pesanti e che non potevano accedere a un’assistenza sanitaria adeguata.
In Ecuador, le autorità hanno continuato a negare il diritto delle popolazioni native a un consenso libero, anticipato e informato, anche in seguito a interventi dello stato nei loro territori relativi a future trivellazioni petrolifere.
I popoli nativi del Paraguay hanno visto ancora una volta negati i loro diritti alla terra e a un consenso libero, anticipato e informato in merito a progetti che avrebbero avuto ripercussioni sulle loro vite. Nonostante le sentenze emesse dalla Corte interamericana dei diritti umani, il governo non ha provveduto a garantire alla comunità yakye axa il diritto di accedere alle proprie terre o a risolvere un caso giudiziario riguardante la proprietà di un terreno espropriato alla comunità sawhoyamaxa.
La Corte suprema del Guatemala ha riconosciuto che lo stato non aveva condotto alcuna consultazione anticipata con il popolo nativo xinca delle comunità di Santa Rosa e Jalapa, che avevano subìto gli effetti negativi causati dalle attività estrattive.
In Brasile, i conflitti sulla terra e l’invasione del territorio dei nativi da parte di taglialegna illegali e lavoratori delle miniere hanno provocato violenti attacchi contro le comunità native.

DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI E GIORNALISTI

Sono stati più che mai evidenti i rischi estremi e i pericoli che la difesa dei diritti umani implicava in numerosi paesi della regione, con difensori dei diritti umani sottoposti regolarmente a minacce, vessazioni e attacchi in paesi come Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Honduras, Messico, Nicaragua e Paraguay.

Uccisioni e vessazioni in Messico

In Messico, i difensori dei diritti umani sono stati al centro di minacce, aggressioni e uccisioni; sono stati particolarmente diffusi gli attacchi digitali e la sorveglianza. Durante l’anno sono stati uccisi almeno 12 giornalisti, il numero più alto mai registrato dal 2000; molti di questi episodi sono spesso accaduti in luoghi pubblici e alla luce del sole. Le autorità non hanno compiuto progressi significativi nelle indagini e nel perseguimento giudiziario dei responsabili. Tra le vittime c’era il giornalista Javier Valdez, ucciso a maggio vicino alla sede del quotidiano Ríodoce, da lui fondato. Era ormai evidente che una rete di persone stava usando Internet per vessare e minacciare i giornalisti in tutto il Messico. Sono emerse inoltre prove della sorveglianza a cui erano sottoposti giornalisti e difensori dei diritti umani, tramite l’utilizzo di software che era noto fossero stati acquistati dal governo.

Difensori dei diritti umani a rischio in Honduras

L’Honduras è rimasto uno dei paesi della regione più pericolosi per i difensori dei diritti umani e in particolare per quanti erano impegnati nella tutela della terra, del territorio e dell’ambiente. Sono stati presi di mira sia da attori statali che non statali, sottoposti a campagne diffamatorie finalizzate a screditare il loro lavoro e hanno dovuto regolarmente affrontare intimidazioni, minacce e attacchi. La maggior parte delle aggressioni registrate contro i difensori dei diritti umani è rimasta impunita. Sono stati compiuti scarsi progressi nelle indagini relative all’uccisione avvenuta a marzo 2016 della leader nativa e ambientalista Berta Cáceres. Dal suo omicidio, diversi altri attivisti impegnati nella tutela dell’ambiente e dei diritti umani sono stati al centro di vessazioni e minacce.

Aumento di attacchi in Colombia

In Colombia è stato registrato un aumento di attacchi nei confronti dei difensori dei diritti umani, specialmente contro leader comunitari, difensori della terra, del territorio e dell’ambiente e anche di persone impegnate in campagne a favore dell’accordo di pace. Secondo l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite dei diritti umani, durante l’anno sono stati uccisi quasi 100 difensori dei diritti umani. Molte minacce di morte sono state attribuite a gruppi paramilitari ma nella maggior parte dei casi le autorità non hanno saputo identificare i responsabili delle uccisioni che sono seguite alle minacce.

Detenzioni arbitrarie, minacce e vessazioni

A Cuba, moltissimi difensori dei diritti umani e attivisti politici hanno continuato a essere vessati, intimiditi, licenziati da impieghi pubblici e arbitrariamente detenuti dalle autorità, che volevano imbavagliare il dissenso. I recenti progressi ottenuti nel campo dell’istruzione sono stati vanificati da forme di censura online e offline. Tra i prigionieri di coscienza c’era il leader del gruppo filodemocratico Movimento cristiano di liberazione, Eduardo Cardet Concepción, condannato a tre anni di carcere per avere criticato pubblicamente l’ex presidente Fidel Castro.
In Guatemala, i difensori dei diritti umani, specialmente quelli impegnati in tematiche relative alla terra, al territorio e all’ambiente, hanno dovuto affrontare continue minacce e attacchi e sono stati sottoposti a campagne denigratorie. Anche il sistema giudiziario è stato impropriamente utilizzato per prendere di mira, vessare e mettere a tacere i difensori dei diritti umani.
Una sentenza della Corte suprema del Perù ha confermato l’assoluzione dell’attivista dei diritti umani Máxima Acuña Atalaya, ponendo fine a una vicenda giudiziaria durata cinque anni in relazione ad accuse infondate relative alla presunta occupazione illegale di un terreno; la sentenza ha rappresentato un’importante conquista per gli attivisti impegnati nella difesa dell’ambiente.

DIRITTI DI DONNE E RAGAZZE

In tutta la regione donne e ragazze hanno continuato a essere vittime di un’ampia gamma di violazioni e abusi, compresa violenza di genere, discriminazioni e violazioni dei loro diritti sessuali e riproduttivi.

Violenza contro donne e ragazze

La violenza contro donne e ragazze è rimasta un fenomeno dilagante. L’impunità per crimini come stupro, femminicidio e minacce è rimasta diffusa e radicata, spesso alimentata da una mancanza di volontà politica, da risorse limitate per indagare e assicurare alla giustizia i perpetratori e da una cultura patriarcale inattaccabile.
I continui episodi di violenza di genere nella Repubblica Dominicana hanno determinato un aumento del numero di uccisioni di donne e ragazze. La violenza di genere contro donne e ragazze ha assunto dimensioni preoccupanti anche in Messico ed è ulteriormente peggiorata in Nicaragua.
In Giamaica, i movimenti femminili e le donne sopravvissute a violenza di genere e sessuale hanno manifestato nelle strade del paese per protestare contro l’impunità per questi crimini.
In Colombia, c’è stato un aumento del numero di uccisioni di donne che ricoprivano ruoli di leadership e non sono stati compiuti evidenti progressi nell’assicurare l’accesso alla giustizia alle donne sopravvissute a violenza sessuale. Tuttavia, le organizzazioni delle donne sono riuscite a ottenere che l’accordo di pace stabilisse che coloro che erano sospettati di avere commesso crimini di violenza sessuale sarebbero comparsi davanti ai tribunali giudiziari transizionali.
A Cuba, le Donne in bianco, un gruppo che raccoglie le familiari dei prigionieri detenuti per motivi politici, è rimasto uno dei principali obiettivi della repressione esercitata dalle autorità.
Il governo federale del Canada ha presentato una strategia per combattere la violenza di genere e si è impegnato a porre i diritti delle donne, la parità di genere e i diritti sessuali e riproduttivi al centro della sua agenda politica estera. A dicembre è entrata in vigore in Paraguay una legge per combattere la violenza contro le donne, sebbene restasse da chiarire in che modo sarebbe stata finanziata.

DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI

La “regola del bavaglio globale” degli Usa

A gennaio, due giorni dopo le manifestazioni di massa svoltesi a livello mondiale per promuovere l’uguaglianza e protestare contro la discriminazione, il presidente americano Trump ha messo a rischio la vita e la salute di milioni di donne di tutto il mondo, ripristinando la cosiddetta “regola del bavaglio globale“, che ha bloccato i finanziamenti Usa a quelle cliniche ospedaliere od organizzazioni che fornivano informazioni o servizi relativi all’assistenza per un aborto sicuro e legale o che erano impegnate a favore della depenalizzazione dell’aborto o dell’ampliamento dei servizi per ottenere un aborto.
Nell’America Latina, dove gli esperti hanno calcolato che ogni anno 760.000 donne vengono curate per le complicanze derivanti da aborti non sicuri, la presa di posizione del presidente Trump ha messo a rischio la vita di un numero ancora maggiore di donne.

Criminalizzazione dell’aborto

Grazie a una sentenza del Tribunale costituzionale del Cile, che durante l’anno si è espresso a favore della depenalizzazione dell’aborto in determinati casi, nel mondo erano ormai soltanto sette i paesi che continuavano a vietare l’aborto in tutte le circostanze, anche in caso di rischi per la vita o la salute della donna o della ragazza. Sei di questi erano paesi della regione delle Americhe: Repubblica Dominicana, El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Suriname.
In Salvador, Evelyn Beatriz Hernández Cruz, una ragazza di 19 anni, è stata condannata a 30 anni di carcere per accuse di omicidio aggravato, in relazione ad alcune complicanze ostetriche derivanti da un aborto spontaneo. A dicembre, un tribunale ha confermato la condanna a 30 anni di carcere nei confronti di Teodora, una donna il cui feto era nato morto nel 2007.
Il senato della Repubblica Dominicana ha votato contro una proposta che avrebbe depenalizzato l’aborto in determinate circostanze. Anche il congresso dell’Honduras si è espresso in questa direzione, mantenendo il divieto d’aborto in tutte le circostanze nel testo del nuovo codice penale.
In Argentina, si sono verificati casi di donne e ragazze che hanno incontrato ostacoli nell’accesso all’aborto legale quando la gravidanza comportava un rischio per la loro vita o quando era derivante da uno stupro; la completa depenalizzazione dell’aborto era ancora all’esame del parlamento. In Uruguay, i servizi di salute sessuale e riproduttiva erano difficili da ottenere per le donne che abitavano nelle campagne e gli obiettori che si rifiutavano di praticare l’aborto hanno continuato a ostacolare l’accesso all’aborto legale.
A ottobre, il ministero dell’Istruzione e della ricerca scientifica del Paraguay ha emanato una direttiva che ha vietato d’inserire nei materiali educativi informazioni di base in materia di diritti umani, educazione alla salute sessuale e riproduttiva e alla diversità di genere, tra le varie tematiche.
In Bolivia, dove gli aborti praticati non in sicurezza costituivano una delle principali cause di mortalità materna, il codice penale è stato emendato al fine di ampliare significativamente l’accesso all’aborto legale.

DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Le persone Lgbti hanno affrontato una persistente discriminazione, vessazioni e violenza in varie parti della regione, tra cui Haiti, Honduras e Giamaica.
In Bolivia, la Corte costituzionale ha invalidato parte di una legge che garantiva il diritto alle unioni civili delle persone transgender che avevano cambiato l’indicazione del loro genere sessuale sui loro documenti d’identità. Il difensore civico del paese ha proposto un emendamento al codice penale che avrebbe reso un reato i crimini d’odio contro le persone Lgbti.
Nella Repubblica Dominicana, il cadavere di una donna transgender, Rubi Mori, è stato ritrovato smembrato in un’area abbandonata. A fine anno, nessuno era stato ancora assicurato alla giustizia per la sua uccisione.
In Uruguay, continuava a non esserci una linea politica antidiscriminatoria chiara ed esauriente per tutelare le persone Lgbti dalla violenza nelle scuole e negli spazi pubblici o assicurare loro l’accesso ai servizi di salute pubblica.

CONFLITTO ARMATO

In Colombia, nonostante le opportunità offerte dall’accordo di pace, la legislazione è rimasta inapplicata nella maggior parte dei suoi punti e permanevano gravi preoccupazioni riguardo all’impunità per i crimini commessi nel contesto del conflitto.
Il perpetuarsi delle violazioni dei diritti umani e degli abusi era anche la dimostrazione che il conflitto armato interno tra le Forze armate rivoluzionarie della Colombia e le forze di sicurezza era ben lungi dall’essersi concluso e che in alcune aree sembrava perfino essersi intensificato. I civili hanno continuato a essere le principali vittime del conflitto, specialmente i popoli nativi, le persone di origine afroamericana e le comunità contadine, oltre che i difensori dei diritti umani.
L’impennata del numero di attivisti dei diritti umani uccisi registrata agli inizi dell’anno era l’ennesima dimostrazione dei pericoli affrontati da coloro che si adoperano per far emergere i continui abusi compiuti in Colombia.

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