Lo scenario dei diritti umani nella regione dell’Asia e Pacifico è stato in gran parte caratterizzato dai fallimenti dei governi. A questi si è tuttavia contrapposta la crescita di un movimento di difensori e attivisti per i diritti umani, che è stato di grande ispirazione.

Molti paesi hanno visto una riduzione dello spazio per la società civile. Difensori dei diritti umani, avvocati, giornalisti e altri si sono trovati a essere il bersaglio della repressione da parte dello stato: da un giro di vite senza precedenti sulla libertà d’espressione in Cina, all’indiscriminata intolleranza del dissenso in Cambogia e Thailandia, fino alle sparizioni forzate in Bangladesh e Pakistan.

L’impunità è stata diffusa e ha generato e sostenuto violazioni, tra cui uccisioni illegali e tortura, ha negato giustizia e riparazione a milioni di persone e ha alimentato crimini contro l’umanità o crimini di guerra in paesi come Myanmar e Afghanistan.

La crisi globale dei rifugiati è peggiorata. Centinaia di migliaia di persone nella regione sono state costrette a fuggire dalle loro case e hanno affrontato un futuro incerto, spesso violento. Il loro numero è cresciuto a causa dei crimini contro l’umanità commessi dall’esercito di Myanmar nel nord dello stato di Rakhine, dove i militari hanno bruciato interi villaggi rohingya, ucciso adulti e bambini e stuprato donne e ragazze. Le violazioni di massa hanno costretto più di 655.000 rohingya a fuggire dalle persecuzioni, scappando in Bangladesh. Coloro che sono rimasti hanno continuato a vivere sotto un regime sistematicamente discriminatorio, equiparabile all’apartheid, che ha di fatto gravemente limitato ogni aspetto della loro vita e li ha tenuti segregati dal resto della società.

L’Asean, presieduto nel 2017 dalle Filippine, ha celebrato il suo 50° anniversario. I governi e le istituzioni dell’Asean sono rimasti in silenzio di fronte alle massicce violazioni nelle Filippine, in Myanmar e altrove nella regione.

In questo contesto, le crescenti richieste di rispetto e protezione dei diritti umani nella regione dell’Asia e Pacifico, sempre più spesso espresse dai giovani, hanno portato alcuni progressi e un po’ di speranza. Ci sono stati passi avanti nella gestione dell’ordine pubblico e decisioni giudiziarie positive sulla responsabilità delle imprese nella Repubblica di Corea (Corea del Sud), sull’uguaglianza dei matrimoni in Australia e a Taiwan e sul diritto alla riservatezza in India.

ASIA ORIENTALE

Le autorità di Giappone, Mongolia e Corea del Sud non sono riuscite a proteggere adeguatamente i difensori dei diritti umani. In Cina, questi sono stati specificamente presi di mira e perseguitati. Una notevole riduzione dello spazio per la società civile è stata particolarmente evidente in Cina ed è stata motivo di crescente preoccupazione a Hong Kong e in Giappone.

In Giappone, il parlamento ha adottato una legge contro il “terrorismo” e altri reati gravi, dalla definizione eccessivamente ampia, nonostante le dure critiche da parte della società civile e degli accademici, indebolendo così la tutela dei diritti umani. Questa legge ha conferito alle autorità ampi poteri di sorveglianza, che potrebbero essere utilizzati impropriamente per limitare i diritti umani.

A seguito del cambio di governo nella Corea del Sud, la polizia nazionale ha accettato le raccomandazioni per un rinnovamento nell’approccio generale al mantenimento dell’ordine pubblico, al fine di consentire il pieno e libero esercizio del diritto alla libertà di riunione pacifica. Sempre in Corea del Sud, mentre centinaia di obiettori di coscienza erano in carcere, un numero crescente di tribunali di grado inferiore ha emesso sentenze che riconoscevano il diritto all’obiezione di coscienza e altri tribunali hanno riconosciuto la responsabilità delle imprese multinazionali per la morte o la malattia dei dipendenti causate dal lavoro.

La consacrazione del presidente Xi Jinping come il leader più potente della Cina da molti anni a questa parte ha avuto luogo in un contesto di repressione della libertà d’espressione e d’informazione. Le autorità hanno sempre più spesso utilizzato la “sicurezza nazionale” come giustificazione per limitare i diritti umani e arrestare gli attivisti; la tattica si è intensificata significativamente nella Regione autonoma dello Xinjiang uiguro (Xinjiang Uighur Autonomous Region – Xuar) dove, sotto la guida del nuovo segretario del partito comunista regionale Chen Quanguo, le autorità hanno posto nuova enfasi sulla “stabilità sociale” e hanno aumentato il ricorso a sorveglianza tecnologica, pattuglie armate nelle strade, posti di controllo e sicurezza e hanno messo in atto una serie di politiche intrusive che violavano i diritti umani. Le autorità hanno istituito strutture di detenzione all’interno della Xuar, chiamate “centri contro l’estremismo”, “centri di studi politici” o “centri di educazione e trasformazione”, in cui le persone sono state arbitrariamente detenute per periodi imprecisati e costrette a studiare le leggi e le politiche cinesi.

I cittadini della Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord) hanno continuato a subire una serie di gravi violazioni dei diritti umani, alcune delle quali equivalevano a crimini contro l’umanità. I diritti alla libertà d’espressione e di movimento sono stati fortemente limitati e fino a 120.000 persone hanno continuato a essere arbitrariamente detenute nei campi di prigionia politica, dove sono state sottoposte a lavoro forzato, tortura e altri maltrattamenti.

Difensori dei diritti umani

Le autorità cinesi hanno proseguito il loro giro di vite senza precedenti contro il dissenso, con una spietata campagna di arresti arbitrari, detenzione, incarcerazione, tortura e altri maltrattamenti di avvocati e attivisti per i diritti umani. Le autorità hanno continuato a ricorrere alla “sorveglianza residenziale in una località designata”, una forma di detenzione segreta in incomunicado, che ha permesso alla polizia di trattenere persone per un periodo massimo di sei mesi al di fuori del sistema carcerario ufficiale, senza accesso a consulenti legali di loro scelta, alle famiglie o ad altri e che ha esposto i sospettati al rischio di tortura e altri maltrattamenti. Questa forma di detenzione è stata utilizzata per limitare le attività dei difensori dei diritti umani, compresi avvocati, attivisti e praticanti religiosi.

Il governo ha anche continuato a imprigionare coloro che cercavano di commemorare pacificamente la repressione di piazza Tiananmen del 3-4 giugno 1989, nella capitale Pechino, in cui centinaia, se non migliaia di manifestanti furono uccisi o feriti dopo che l’esercito di liberazione del popolo aprì il fuoco su civili disarmati. A luglio è morto in custodia Liu Xiabo, premio Nobel per la pace.

A Hong Kong, l’uso ripetuto di accuse vaghe contro figure di spicco del movimento democratico è sembrato essere una campagna di ritorsione orchestrata da parte delle autorità, per punire e intimidire coloro che difendevano la democrazia o sfidavano il potere.

Persone in movimento

In Giappone, mentre le domande di asilo hanno continuato ad aumentare, a febbraio il governo ha riferito di aver approvato 28 su 10.901 richieste ricevute nel 2016, con un aumento del 44 per cento delle richieste rispetto all’anno precedente. Nel frattempo, per affrontare la carenza di manodopera del paese, il Giappone ha iniziato ad accettare i primi cittadini vietnamiti dei 10.000 ammessi nel corso di tre anni, nell’ambito di un programma di migrazione di manodopera duramente criticato dai difensori dei diritti umani perché facilitava una vasta gamma di abusi.

In Corea del Sud, le morti di lavoratori migranti hanno sollevato preoccupazioni in merito alla sicurezza sul posto di lavoro. Le autorità della Corea del Nord hanno continuato a inviare lavoratori in altri stati, tra cui Cina e Russia, malgrado alcuni paesi avessero interrotto i rinnovi e i rilasci di ulteriori visti di lavoro ai nordcoreani, per adeguarsi alle nuove sanzioni delle Nazioni Unite imposte sulle attività economiche della Corea del Nord all’estero, in risposta ai test missilistici del paese.

Discriminazione

In Cina, la repressione religiosa è rimasta particolarmente grave nella Xuar e nelle aree abitate dai tibetani.

In Corea del Sud, la discriminazione contro le persone Lgbti è rimasta diffusa nella vita pubblica. Gli uomini gay hanno subìto violenze, bullismo e abusi verbali durante il servizio militare obbligatorio. Un soldato in servizio è stato condannato per attività sessuale con persone dello stesso sesso.
Sebbene in Giappone sia proseguita la discriminazione dilagante basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, reali o percepiti, si sono registrati dei progressi in alcuni comuni. Per la prima volta, nella città di Osaka, le autorità hanno approvato un’adozione da parte di una coppia omosessuale e altri due comuni hanno compiuto passi positivi verso il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso.

Con una sentenza storica emessa dalla sua più alta corte, Taiwan stava per diventare il primo paese asiatico a legalizzare il matrimonio omosessuale, compiendo un importante passo avanti per i diritti Lgbti. I giudici hanno stabilito che la legge sul matrimonio in vigore nel paese era incostituzionale poiché discriminava le coppie omosessuali e hanno concesso due anni di tempo ai legislatori per emendare o emanare leggi in materia. Il parlamento di Taiwan stava esaminando una proposta di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Pena di morte

La Cina è rimasta il primo paese al mondo per numero di esecuzioni, nonostante i dati sulla pena capitale abbiano continuato a essere classificati come segreti di stato.
La Corte suprema di Taiwan ha respinto l’appello straordinario del procuratore generale per un nuovo processo al detenuto rimasto per più tempo nel braccio della morte nella storia moderna di Taiwan; Chiou Ho-shun, nel braccio della morte dal 1989, ha affermato di essere stato torturato e costretto a “confessare” durante gli interrogatori di polizia.
A luglio, la Mongolia è diventata il 105° paese al mondo ad abolire la pena di morte per tutti i reati ma, a novembre, il presidente ha proposto al ministero della Giustizia la sua reintroduzione, in seguito a due casi violenti di stupro e omicidio.

ASIA MERIDIONALE

In tutta l’Asia Meridionale, i governi hanno attaccato le minoranze religiose, criminalizzato la libertà d’espressione, effettuato sparizioni forzate, usato ampiamente la pena di morte e violato i diritti dei rifugiati, invocando la legge e l’ordine, la sicurezza nazionale e la religione. L’impunità è stata diffusa.

La libertà d’espressione è stata sotto attacco in tutta l’Asia Meridionale. Usando concetti vaghi quali “l’interesse nazionale” come giustificazione per mettere a tacere le persone, i governi hanno preso di mira giornalisti, difensori dei diritti umani e altri per aver espresso pacificamente le loro opinioni.

La criminalizzazione della libertà d’espressione online ha segnato una nuova tendenza. In Pakistan, cinque blogger critici verso il governo sono stati vittime di sparizione forzata. Altri blogger sono stati arrestati per commenti che criticavano l’esercito o che, secondo le accuse, esprimevano concetti considerati “anti-islamici”.

Anche le critiche al governo del Bangladesh o alla famiglia della prima ministra hanno innescato procedimenti penali. Il governo ha proposto una nuova legge sulla sicurezza digitale, che imporrebbe maggiori limitazioni al diritto alla libertà d’espressione e pene più pesanti. In Afghanistan, dove la diffusione di Internet è tra le più basse di tutta la regione dell’Asia e del Pacifico, è stata approvata una nuova legge sui reati informatici che criminalizzava la libertà d’espressione.

L’incapacità di garantire i diritti economici, culturali e sociali ha avuto conseguenze importanti. In Pakistan, a causa del mancato adeguamento delle leggi nazionali agli standard internazionali, la popolazione ha subìto una diffusa discriminazione, una riduzione dei diritti dei lavoratori e della sicurezza sociale. L’India ha ratificato due convenzioni fondamentali dell’Ilo sul lavoro minorile ma gli attivisti sono rimasti critici verso le modifiche alle leggi nazionali in materia, che permettevano il lavoro minorile nelle imprese familiari. Due anni dopo il violento terremoto che ha colpito il Nepal, il governo non è stato in grado di soddisfare i bisogni di migliaia di persone marginalizzate sopravvissute al sisma, rimaste abbandonate in rifugi temporanei scadenti.

A ottobre, il Pakistan è stato eletto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e ha promesso d’impegnarsi a favore dei diritti umani. Ciò nonostante, non ha affrontato direttamente le gravi questioni dei diritti umani al suo interno, comprese sparizioni forzate, pena di morte, leggi sulla blasfemia, uso di tribunali militari per processare i civili, diritti delle donne e minacce al lavoro dei difensori dei diritti umani.

Uccisioni, rapimenti e altri abusi sono stati commessi da gruppi armati in Afghanistan, Bangladesh, India e Pakistan, tra gli altri. In Afghanistan sono aumentate le vittime civili, in particolare tra le minoranze religiose. In Pakistan, gruppi armati hanno preso di mira i musulmani sciiti, anche con un attentato dinamitardo in una moschea sciita a Quetta, che ha provocato la morte di almeno 18 persone.
In Nepal, tra le violazioni avvenute nel contesto delle importanti elezioni locali, sono stati compiuti arresti e detenzioni arbitrari e le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti durante un comizio elettorale.

Nello stato indiano di Jammu e Kashmir, le forze di sicurezza hanno ucciso otto persone a seguito di proteste durante le elezioni suppletive per un seggio parlamentare; un votante è stato picchiato dai militari, legato alla parte anteriore di una jeep dell’esercito e portato in giro per più di cinque ore, a quanto pare come avvertimento per gli altri manifestanti. Le forze di sicurezza hanno anche continuato a impiegare fucili ad aria compressa, armi di per sé imprecise, durante le proteste, accecando e ferendo numerose persone.

Difensori dei diritti umani

In India, le autorità sono state apertamente critiche nei confronti dei difensori dei diritti umani, contribuendo a creare un clima di ostilità e violenza nei loro confronti. Leggi repressive sono state usate per soffocare la libertà d’espressione e sono aumentati gli attacchi ai giornalisti e alla libertà di stampa.
In Afghanistan, i difensori dei diritti umani hanno subìto continue minacce alla loro vita e alla loro sicurezza da parte di gruppi armati e attori statali e i giornalisti sono stati vittime di violenze e censure.

Le autorità pakistane non sono state in grado di proteggere giornalisti, blogger, società civile e attivisti, che hanno subìto costanti vessazioni, intimidazioni, minacce, campagne diffamatorie e attacchi da parte di attori non statali. Al contrario, le autorità hanno aumentato le limitazioni al lavoro di decine di Ngo e hanno attaccato molti attivisti, ricorrendo tra l’altro a tortura e sparizioni forzate.

In Bangladesh, il governo ha intensificato la repressione sul dibattito pubblico e sulle critiche. Gli operatori dell’informazione sono stati vessati e perseguiti in base a leggi draconiane. Il governo non è riuscito a portare davanti alla giustizia i gruppi armati responsabili di una serie di uccisioni di alto profilo di blogger laici. Gli attivisti hanno regolarmente ricevuto minacce di morte, che hanno costretto alcuni a lasciare il paese.

Nelle Maldive sono state rafforzate le limitazioni al dibattito pubblico. Le autorità hanno vessato giornalisti, attivisti e organi d’informazione. A quanto pare, il governo si è impegnato in un implacabile assalto allo stato di diritto, che ha compromesso l’indipendenza della magistratura.

Impunità

L’impunità è stata diffusa e radicata in tutta l’Asia Meridionale. Tuttavia, in Nepal, un tribunale distrettuale ha condannato all’ergastolo tre ufficiali dell’esercito per l’omicidio, avvenuto nel 2004, di Maina Sunuwar, una ragazza di 15 anni morta dopo essere stata torturata mentre era in custodia dell’esercito, durante il conflitto armato decennale tra i maoisti e le forze governative, conclusosi nel 2006. Le condanne sono state un importante passo avanti nella capacità del sistema giudiziario di affrontare i gravi abusi commessi all’epoca del conflitto e hanno dato il primo segnale di giustizia per le vittime.

In India, la Corte suprema ha ordinato all’ufficio investigativo centrale d’indagare su oltre 80 sospette esecuzioni extragiudiziali compiute da polizia e forze di sicurezza nello stato di Manipur, tra il 1979 e il 2012, stabilendo che i casi non dovevano essere chiusi soltanto perché era passato del tempo.

Sparizioni forzate

In Pakistan sono proseguite le sparizioni forzate; le vittime erano sottoposte a un rischio considerevole di subire tortura e altri maltrattamenti, oltre che di essere uccise. Non risulta che alcun perpetratore sia stato assicurato alla giustizia per le centinaia o migliaia di casi segnalati in tutto il paese negli ultimi anni.

Nonostante nel 2015 il governo dello Sri Lanka si fosse impegnato a garantire verità, giustizia e risarcimento alle vittime del conflitto armato nel paese e a effettuare riforme per prevenire le violazioni, i progressi sono stati lenti. L’impunità per le sparizioni forzate è perdurata. Il governo ha rimandato il suo impegno di abrogare la legge draconiana sulla prevenzione del terrorismo, che ha permesso la detenzione in incommunicado e segreta. Tuttavia, il parlamento ha approvato una modifica alla legge sulle persone scomparse, concepita per aiutare le famiglie a cercare i parenti scomparsi.

Sparizioni forzate si sono verificate in Bangladesh; le vittime spesso appartenevano a partiti politici d’opposizione.

Persone in movimento

In diverse parti dell’Asia Meridionale, rifugiati e migranti si sono visti negare i loro diritti.
Il Bangladesh ha aperto i propri confini a oltre 655.000 persone della comunità rohingya, in fuga da una campagna di pulizia etnica in Myanmar. Tuttavia, se i rifugiati rohingya fossero costretti a tornare in Myanmar, sarebbero in balìa degli stessi militari che li hanno costretti a scappare e continuerebbero a subire il radicato sistema di discriminazione e segregazione, equivalente all’apartheid, che li ha resi così vulnerabili.

Il numero di sfollati interni in Afghanistan è salito a oltre due milioni, mentre circa 2,6 milioni di rifugiati afgani vivevano fuori dal paese.

Discriminazione

In tutta l’Asia Meridionale, le voci di dissenso e i membri di minoranze religiose sono stati sempre più esposti ad attacchi della folla. In India sono stati segnalati diversi casi di linciaggio di musulmani, suscitando indignazione contro l’ondata di crescente islamofobia sotto il governo nazionalista indù. In diverse città si sono svolte manifestazioni contro le aggressioni verso i musulmani ma il governo ha fatto ben poco per dimostrare che disapprovava la violenza. Le comunità indigene adivasi in India hanno continuato a essere sfollate a causa di progetti industriali.

In Bangladesh, gli attacchi contro le minoranze religiose sono stati accolti dal governo quasi con indifferenza. Coloro che hanno cercato l’aiuto dalle autorità spesso sono stati mandati via, dopo aver ricevuto minacce.

Lo Sri Lanka ha visto un aumento del sentimento nazionalista buddista, anche con attacchi contro cristiani e musulmani. Il governo delle Maldive ha usato la religione per mascherare le sue pratiche repressive, inclusi gli attacchi contro membri dell’opposizione e i progetti per reintrodurre la pena di morte.

Le comunità emarginate in Pakistan hanno subìto discriminazioni nel diritto, nelle politiche e nella prassi, a causa del loro genere, religione, nazionalità, orientamento sessuale o identità di genere. Le leggi sulla blasfemia del Pakistan, che comportano la pena di morte obbligatoria per “blasfemia contro il profeta Maometto”, sono rimaste incompatibili con una serie di diritti. Le leggi, spesso usate impropriamente, sono state applicate in modo sproporzionato nei confronti delle minoranze, tra cui quelle religiose, al centro di accuse che erano spesso false e violavano il diritto internazionale dei diritti umani. Un uomo è stato condannato a morte per la presunta pubblicazione su Facebook di contenuti ritenuti “blasfemi”, in quella che è stata la condanna più dura inflitta a tutt’oggi in Pakistan per un reato informatico.

Discriminazione di genere

Sebbene la Corte suprema dell’India abbia vietato la pratica del triplo talaq (divorzio istantaneo islamico), altre sentenze di tribunali hanno minato l’autonomia delle donne. La Corte suprema ha indebolito una legge emanata per proteggere le donne dalla violenza nel matrimonio. Diverse sopravvissute allo stupro, tra cui ragazze, si sono rivolte ai tribunali per ottenere il permesso d’interrompere la gravidanza oltre la ventesima settimana di gestazione, come previsto dalla legge indiana; i tribunali hanno approvato alcuni aborti ma in altri casi li hanno rifiutati. Il governo centrale ha imposto agli stati d’istituire consigli medici permanenti per decidere rapidamente su tali casi.

In Pakistan, lo stupro di una ragazza adolescente, ordinato da un cosiddetto consiglio di villaggio come “vendetta” per uno stupro presumibilmente commesso da suo fratello, è stato soltanto uno di una lunga serie di casi raccapriccianti. Sebbene i membri del consiglio siano stati arrestati per aver ordinato lo stupro, le autorità non sono riuscite a porre fine all’impunità per le violenze sessuali e ad abolire i cosiddetti consigli di villaggio, che ordinavano crimini di violenza sessuale come forma di vendetta. Il Pakistan ha anche continuato a condannare le relazioni consensuali tra persone dello stesso sesso.
La violenza contro donne e ragazze è perdurata in Afghanistan, dove è stato segnalato un aumento del numero di donne punite pubblicamente da gruppi armati in nome della legge della sharia.

Pena di morte

Sullo sfondo di un peggioramento della crisi politica, le autorità delle Maldive hanno annunciato che avrebbero ripreso le esecuzioni, dopo più di 60 anni. A fine anno non erano state effettuate esecuzioni.
Il Pakistan ha messo a morte centinaia di persone da quando, nel 2014, ha revocato la moratoria di fatto sulle esecuzioni, spesso con gravi timori che alle vittime fosse stato negato il diritto a un processo equo. In violazione della legge internazionale, i tribunali hanno imposto la pena di morte a persone con disabilità mentali, minori di 18 anni all’epoca del reato e persone le cui condanne erano basate su “confessioni” estorte attraverso tortura o altri maltrattamenti.

Conflitto armato

La situazione in Afghanistan ha continuato a deteriorarsi, con un numero ancora alto di vittime civili, una crescente crisi degli sfollati interni e un controllo sul territorio da parte dei talebani, che non è mai stato così forte dal 2001 a oggi. Dal 2014, decine di migliaia di rifugiati afgani sono stati rimpatriati contro la loro volontà dal Pakistan, dall’Iran e da paesi dell’Eu.

Il governo dell’Afghanistan e la comunità internazionale hanno mostrato troppo poca preoccupazione per la difficile situazione dei civili. Quando la folla è scesa in piazza per protestare contro la violenza e l’insicurezza, in seguito a uno degli attacchi più letali, quello avvenuto a Kabul il 31 maggio, che ha causato più di 150 morti e centinaia di feriti, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco, uccidendo diversi manifestanti.

Uno sviluppo positivo è stata la richiesta del procuratore dell’Icc di aprire un’indagine preliminare sui reati che sarebbero stati commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto armato in corso in Afghanistan. La decisione è stata un passo importante per assicurare l’accertamento delle responsabilità per i crimini di diritto internazionale commessi dal 2003 e fornire verità, giustizia e riparazione alle vittime.

SUD-EST ASIATICO E PACIFICO

Molti di coloro che si sono attivati per chiedere il rispetto dei diritti umani e l’accertamento delle responsabilità per le violazioni sono stati demonizzati e criminalizzati; di conseguenza, lo spazio della società civile si è ridotto. La polizia e le forze di sicurezza hanno perseguitato i difensori dei diritti umani. Uccisioni extragiudiziali, tortura e altri maltrattamenti e sparizioni forzate sono perdurati nell’impunità.
La campagna di violenze delle forze di sicurezza di Myanmar contro il popolo rohingya nel nord dello stato di Rakhine, che equivaleva un crimine contro l’umanità, ha creato una crisi umanitaria e dei diritti umani nel paese e nel vicino Bangladesh.

L’illegalità e la violenza sono aumentate ulteriormente nelle Filippine. L’attacco ai diritti umani del presidente, nel contesto della “guerra alla droga” ha portato a uccisioni di massa, soprattutto di persone appartenenti a gruppi poveri ed emarginati, inclusi minori. L’elevato numero di uccisioni e l’impunità dilagante hanno dato origine a sempre più frequenti richieste di un’indagine a livello internazionale. L’estensione della legge marziale nell’isola di Mindanao, proclamata a dicembre, ha fatto sorgere il timore che il governo militare potesse essere usato per giustificare ulteriori violazioni dei diritti umani. Il governo ha tenatato di reintrodurre la pena di morte.

In Indonesia sono aumentate drasticamente le uccisioni di sospetti spacciatori di droga da parte della polizia.

L’Australia ha continuato a rispettare i diritti umani solo sulla carta, mentre sottoponeva richiedenti asilo e rifugiati a trattamenti crudeli, disumani e degradanti.

Nel Sud-est asiatico e nel Pacifico, i governi non hanno tutelato i diritti economici, sociali e culturali. In Laos, gli abitanti di molti villaggi sono stati costretti a trasferirsi a causa di progetti di sviluppo; in Cambogia, il diritto a un alloggio adeguato è stato compromesso dall’accaparramento delle terre; a Singapore, le condizioni abitative per i lavoratori stranieri sono state definite mediocri dalle Ngo.
A Papua Nuova Guinea si sono tenute le elezioni nazionali, tra accuse di corruzione e pesanti interventi da parte delle autorità, tra cui violenze e arresti arbitrari.

Difensori dei diritti umani

Difensori dei diritti umani, attivisti politici pacifici e seguaci religiosi hanno subìto violazioni, compresa la detenzione arbitraria, sono stati incriminati con accuse formulate in modo vago e giudicati in processi che non rispettavano gli standard di equità stabiliti a livello internazionale. Prigionieri di coscienza sono stati torturati e altrimenti maltrattati.

In Cambogia, l’implacabile repressione del governo nei confronti della società civile e degli attivisti politici si è intensificata in vista delle elezioni generali, previste per il 2018. I difensori dei diritti umani sono stati tenuti sotto controllo, arrestati e incarcerati; alcuni organi d’informazione sono stati chiusi; è aumentata la persecuzione ai danni della società civile attraverso l’abuso del sistema di giustizia penale ed emendamenti alle leggi vigenti hanno fornito alle autorità ulteriori poteri sui partiti politici. La magistratura è stata usata come strumento politico per mettere a tacere il dissenso e, in un palese atto di repressione politica, la Corte suprema ha emesso una sentenza di scioglimento del principale partito d’opposizione in vista delle elezioni.

Il governo militare thailandese ha continuato a reprimere sistematicamente il dissenso, impedendo alla gente di parlare o di riunirsi pacificamente, criminalizzando e prendendo di mira la società civile. Decine di difensori dei diritti umani, attivisti filodemocratici e altri hanno subìto inchieste e azioni giudiziarie in base a leggi e decreti draconiani, molti affrontando procedimenti lunghi e iniqui dinanzi a tribunali militari.

Nel contesto della continua repressione dei diritti civili e politici da parte del governo della Malesia, le voci critiche hanno subìto vessazioni, detenzioni e azioni giudiziarie, attraverso l’uso di leggi restrittive; sono aumentati i divieti arbitrari di viaggio a tempo indeterminato, che violavano la libertà di movimento dei difensori dei diritti umani; gli attivisti per i diritti dei nativi e i giornalisti che avevano manifestato pacificamente contro gli abusi sono stati arrestati e indagati.

Il governo delle Figi ha impiegato leggi restrittive per soffocare la stampa e ridurre la libertà d’espressione e di riunione pacifica. Le accuse contro il personale del Fiji Times sono state trasformate in accuse di sedizione, con una mossa politicamente motivata, studiata per mettere a tacere uno dei pochi organi di stampa ancora indipendenti nel paese.

A Singapore, le modifiche alla legge sull’ordine pubblico hanno conferito alle autorità maggiori poteri di limitare o vietare le riunioni pubbliche, mentre i difensori dei diritti umani sono stati indagati dalla polizia per aver partecipato a proteste pacifiche. Sono state avanzate accuse contro avvocati e accademici che avevano criticato la magistratura e sono state imposte restrizioni alla libertà di stampa.
In Laos, i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica sono rimasti gravemente limitati e le norme del codice penale sono state utilizzate per imprigionare attivisti pacifici.
Il giro di vite sul dissenso è stato intensificato in Vietnam, costringendo numerosi attivisti a fuggire dal paese.

È proseguita l’erosione dello spazio della stampa libera in Myanmar, dove giornalisti e altri operatori dell’informazione hanno subìto intimidazioni e in alcuni casi arresti, detenzione e azioni penali in relazione al loro lavoro.

Impunità

In Malesia è perdurata l’impunità per le morti in custodia, così come l’uso non necessario o eccessivo della forza e delle armi da fuoco. Ci sono stati diversi decessi in custodia, tra cui quello di S. Balamurugan che, secondo quanto riferito, è stato picchiato dalla polizia durante l’interrogatorio.
Nella provincia indonesiana di Papua non sono state accertate le responsabilità per l’uso non necessario o eccessivo della forza durante le proteste di massa o altre operazioni di sicurezza. Il governo delle Figi non è riuscito a garantire il riconoscimento delle responsabilità per le torture e altri maltrattamenti di detenuti da parte delle forze di sicurezza.

A Timor Est, le vittime di gravi violazioni dei diritti umani commesse durante l’occupazione indonesiana (1975-1999) hanno continuato a chiedere giustizia e riparazione.

La campagna di violenza contro i rohingya in Myanmar

Le forze di sicurezza hanno lanciato una campagna mirata di pulizia etnica contro i rohingya nel nord dello stato di Rakhine, tra l’altro commettendo uccisioni illegali, stupri e incendi di villaggi, che hanno costituito crimini contro l’umanità. Le atrocità sono state una risposta illegale e sproporzionata agli attacchi a postazioni di sicurezza da parte di un gruppo armato rohingya, avvenuti ad agosto, e hanno creato la peggiore crisi di rifugiati del Sud-est asiatico da decenni a questa parte. Le gravi limitazioni imposte da Myanmar ai gruppi impegnati negli aiuti umanitari che operavano nello stato di Rakhine hanno acuito le sofferenze.

Più di 655.000 rohingya sono fuggiti in Bangladesh. A fine anno, quasi un milione di rifugiati rohingya erano sfollati nel distretto di Cox’s Bazar in Bangladesh, compresi quelli che erano fuggiti dalle precedenti ondate di violenza. Coloro che sono rimasti in Myanmar hanno continuato a vivere sotto un regime che equivaleva all’apartheid, in cui i loro diritti, tra cui quelli all’uguaglianza davanti alla legge e alla libertà di movimento, così come l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e al lavoro, erano gravemente limitati.

Le forze di sicurezza di Myanmar sono state le principali responsabili della violenza contro i rohingya. Tuttavia, l’amministrazione civile guidata da Aung San Suu Kyi non ha fatto sentire la propria voce né è intervenuta altrimenti. Al contrario, ha diffamato gli operatori umanitari accusandoli di aiutare i “terroristi” e ha negato le violazioni.

Nonostante le evidenti prove delle atrocità in Myanmar, la comunità internazionale, incluso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non ha preso provvedimenti efficaci né ha detto chiaramente che sarebbero state accertate le responsabilità per i crimini contro l’umanità commessi dall’esercito.

Persone in movimento

L’Australia ha mantenuto la sua inflessibile politica nel confinare centinaia di persone in cerca di asilo nei centri di raccolta in acque extraterritoriali, a Papua Nuova Guinea e a Nauru, e respingere coloro che tentavano di raggiungere l’Australia via mare, non rispettando l’obbligo internazionale di proteggerli.
Rifugiati e richiedenti asilo sono rimasti intrappolati a Nauru, dopo esservi stati forzatamente inviati dal governo australiano, la maggior parte da più di quattro anni, nonostante le diffuse segnalazioni di abusi fisici, psicologici e sessuali.

Diverse centinaia di persone che vivevano nella struttura di raccolta sulle coste, tra cui decine di bambini, hanno subìto umiliazioni, abusi, abbandono e scarsa assistenza sanitaria fisica e psicologica. Più di 800 persone che vivevano nella comunità hanno affrontato gravi rischi per la sicurezza e un accesso inadeguato all’assistenza sanitaria, all’istruzione e alle opportunità di lavoro.

A fine ottobre, il governo australiano ha tolto i servizi nella sua struttura sull’isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, per costringere i rifugiati a spostarsi più vicino alla città, dove rifugiati e richiedenti asilo avevano timori fondati per la loro sicurezza. A novembre, i rifugiati sono stati trasferiti con la forza in strutture nuove ma non ancora terminate e hanno continuato a convivere con un’assistenza sanitaria inadeguata, con la violenza all’interno della comunità e nessuna chiara prospettiva per il futuro.
Le isole Figi hanno rimpatriato forzatamente persone in paesi in cui potevano essere a rischio di gravi violazioni.

La Cambogia ha respinto 29 richieste di status di rifugiato da parte di richiedenti asilo montagnard, rimandandoli forzatamente in Vietnam, dove rischiavano una possibile persecuzione.

Discriminazione

Il sistema giudiziario australiano ha continuato a colpire le popolazioni native, in particolare i minori, con alte percentuali di detenzione e denunce di abusi e decessi in custodia. Alcune videoregistrazioni fatte trapelare hanno mostrato i maltrattamenti ai danni dei minori nativi nel Territorio del Nord, anche con il ricorso a gas lacrimogeni, soffocamento, contenimento e isolamento.

Le persone Lgbti hanno subìto discriminazioni in Malesia, Papua Nuova Guinea e Singapore. Sono aumentate le segnalazioni di episodi d’incitamento all’odio nei confronti della comunità Lgbtiq (Lesbiche, gay, bisessuali, trangender, intersessuate e queer) australiana, nonostante l’introduzione di nuove sanzioni. Nella provincia indonesiana di Aceh, due uomini sono stati pubblicamente fustigati 83 volte ciascuno, per attività sessuale consensuale tra persone dello stesso sesso.

Molte donne attiviste per i diritti umani hanno subìto molestie, minacce, incarcerazione e violenza.

Papua Nuova Guinea è rimasta una delle nazioni più pericolose al mondo per le donne, con un aumento delle denunce di violenza contro donne o ragazze, a volte in seguito ad accuse di stregoneria.

In Indonesia, le leggi sulla blasfemia hanno portato alla condanna di persone appartenenti a minoranze religiose, che avevano praticato pacificamente il loro credo.

A dicembre, il parlamento australiano ha approvato una legge per istituire l’uguaglianza per il matrimonio. Scegliendo il metodo del sondaggio postale, il governo non ha affrontato il tema della parità di matrimonio come un diritto umano e ha generato un dibattito pubblico divisivo e dannoso.

Pena di morte

In Malesia ci sono state almeno quattro esecuzioni. A Singapore, l’impiccagione ha continuato a essere impiegata per casi di omicidio e traffico di droga; tra le persone messe a morte c’era anche il cittadino malese Prabagaran Srivijayan, la cui esecuzione è stata effettuata nonostante in Malesia fosse pendente un suo ricorso.

Conflitto armato

Sebbene abbiano ricevuto meno attenzione internazionale rispetto alla situazione nello stato di Rakhine, nel nord di Myanmar ci sono stati contesti simili di violazioni da parte dell’esercito. Crimini di guerra e violazioni dei diritti umani sono stati commessi contro i civili negli stati di Kachin e dello Shan settentrionale, tra cui esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, tortura, bombardamenti indiscriminati, lavori forzati e restrizioni all’accesso degli aiuti umanitari. Gruppi armati etnici hanno commesso abusi, tra cui rapimenti e reclutamento forzato. Sia l’esercito sia i gruppi armati hanno usato armi simili a mine antipersona che hanno ferito i civili.

Nelle Filippine, una battaglia durata cinque mesi tra l’esercito e un’alleanza di milizie collegate al gruppo armato autoproclamatosi Stato islamico (Islamic State ­– Is), a Marawi, ha causato lo sfollamento di centinaia di migliaia di civili, decine di vittime civili e la distruzione massiccia di case e infrastrutture. I militanti hanno preso di mira i civili cristiani con uccisioni extragiudiziali e rapimenti di moltissimi ostaggi, mentre le forze armate hanno detenuto e maltrattato i civili in fuga.

Responsabilità delle imprese

Le comunità che vivevano vicino alla gigantesca miniera di rame di Letpadaung, in Myanmar, hanno continuato a chiedere la fine delle sue attività. Migliaia di famiglie residenti vicino alla miniera hanno rischiato di essere sgomberate con la forza dalle loro case o terre e le autorità hanno usato leggi repressive per vessare attivisti e abitanti dei villaggi.

In Indonesia, è stata sfruttata la manodopera nelle piantagioni di proprietà di fornitori e sussidiarie della Wilmar International, la più grande venditrice di olio di palma a livello mondiale. Tra gli abusi segnalati c’erano casi di donne costrette a lavorare per molte ore sotto la minaccia di tagli al loro già scarso salario, bambini anche di otto anni che svolgevano un lavoro fisico pericoloso e lavoratori intossicati da sostanze chimiche velenose. La successiva campagna di Wilmar International per nascondere gli abusi, anche attraverso l’intimidazione del personale affinché negasse le accuse, è stata aiutata dall’incapacità del governo indonesiano d’indagare sulle accuse contro la compagnia.

Continua a leggere