Rapporto annuale 2017 – 2018

Introduzione al Rapporto Annuale 2017/18

Siamo entrati nel 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, eppure è fuori di dubbio che i diritti umani non possano essere dati per scontati da nessuno di noi“. Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International

Durante tutto il 2017, milioni di persone nel mondo hanno sperimentato i frutti amari delle sempre più diffuse politiche di demonizzazione.

L’esodo dei rohingya perseguitati in Myanmar

Le estreme conseguenze di queste politiche sono state messe a nudo dall’orribile campagna militare di pulizia etnica contro la popolazione rohingya in Myanmar, che in poche settimane ha causato un esodo di circa 655.000 persone verso il vicino Bangladesh, la crisi dei rifugiati esplosa più velocemente del 2017. A fine anno, le prospettive per il futuro rimanevano decisamente oscure e la persistente incapacità dei leader mondiali di fornire una soluzione concreta per i rifugiati ha lasciato poche ragioni per essere ottimisti. Questo evento rimarrà nella storia come un’ulteriore prova del fallimento catastrofico del mondo nell’affrontare situazioni che possono offrire terreno fertile per atrocità di massa.

I segnali d’allarme erano evidenti da tempo in Myanmar: discriminazione e segregazione su larga scala erano diventate la normalità, in un regime equiparabile all’apartheid, e per molti anni la popolazione rohingya è stata demonizzata e privata delle condizioni basilari per vivere in dignità. La trasformazione della discriminazione e della demonizzazione in violenze di massa è qualcosa di tragicamente familiare e le sue conseguenze disastrose non possono essere facilmente cancellate.

I diritti umani non possono essere dati per scontati da nessuno di noi

Se le terribili ingiustizie inflitte ai rohingya sono state particolarmente in evidenza nel 2017, la tendenza di leader e politici a demonizzare interi gruppi sulla base della loro identità ha attraversato tutto il pianeta. Il 2017 ci ha mostrato ancora una volta cosa accade quando le politiche di demonizzazione diventano la tendenza dominante, con pessime conseguenze per i diritti umani.

Siamo entrati nel 2018, 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, eppure è fuori di dubbio che i diritti umani non possono essere dati per scontati da nessuno di noi. Di certo non possiamo dare per scontato il fatto di poterci riunire per protestare o per criticare i nostri governi. Né possiamo dare per scontato che avremmo a disposizione un sistema previdenziale quando saremo vecchi o invalidi; che i nostri bambini potranno crescere in città con un’aria pulita e respirabile; o che, in quanto giovani, lasceremo la scuola per trovare lavori che ci permetteranno di comprare una casa.

Diritti umani in pericolo: le nostre sfide

La battaglia per i diritti umani non è mai vinta definitivamente, in nessun luogo e in nessun momento storico. I confini si spostano di continuo, per cui non c’è spazio per il compiacimento. Nella storia dei diritti umani, questo non è mai stato più chiaro di ora. Ma, dovendo far fronte a sfide senza precedenti in tutto il mondo, le persone hanno continuato a dimostrare che la loro sete di giustizia, dignità, uguaglianza non verrà spenta, trovando ancora modi nuovi e coraggiosi per esprimere questo bisogno, spesso a caro prezzo. Nel 2017, questa battaglia globale per i valori ha raggiunto un nuovo livello d’intensità.

Gli attacchi ai valori su cui si basano i diritti umani, che affermano la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone, hanno assunto vaste proporzioni.

I conflitti

I conflitti, alimentati dal commercio internazionale di armi, continuano ad avere effetti devastanti sui civili, spesso secondo un piano prestabilito. Che sia nella catastrofe umanitaria dello Yemen, esacerbata dal blocco imposto dall’Arabia Saudita, o nelle uccisioni indiscriminate di civili compiute dalle forze governative e internazionali, nell’uso dei civili come scudi umani da parte del gruppo armato autoproclamatosi Stato islamico in Iraq e Siria o nei crimini di diritto internazionale che portano a enormi flussi di rifugiati dal Sud Sudan, talvolta le parti coinvolte nei numerosi conflitti del mondo hanno rinunciato anche a fingere di rispettare i loro obblighi di protezione dei civili.

La crisi globale dei rifugiati

I leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare la crisi globale dei rifugiati con una miscela di elusione e totale insensibilità, riferendosi ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare. Il tentativo del presidente statunitense Donald Trump di vietare l’ingresso a tutti i cittadini di diversi paesi a maggioranza musulmana, sulla base della loro nazionalità, è stato evidentemente una mossa dettata dall’odio. La maggior parte dei leader europei è stata riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale e ha deciso che, in pratica, niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente. Le conseguenze inevitabili di questo approccio sono state evidenti negli scioccanti abusi subiti dai rifugiati in Libia, con la piena consapevolezza dei leader europei.

Elezioni: odio e paura cavalcati dalla politica

In zone dell’Europa e dell’Africa, lo spettro incombente dell’odio e della paura ha caratterizzato una serie d’importanti elezioni. In Austria, Germania e Paesi Bassi, alcuni candidati hanno cercato di trasformare le preoccupazioni sociali ed economiche in paura, attribuendo la colpa in particolar modo a migranti, rifugiati e minoranze religiose. In Kenya, le elezioni presidenziali di agosto e ottobre sono state guastate da intimidazione e violenza, anche basate sull’identità etnica.

Il coraggio di chi difende i diritti umani

Tuttavia, il 2107 ha anche dimostrato la persistente volontà delle persone di lottare per i loro diritti e per i valori che vogliono vedere affermarsi nel mondo. Nuove e gravi minacce hanno dato un’ulteriore spinta allo spirito di protesta.

In Polonia, un grave attacco all’indipendenza della magistratura ha portato in strada un gran numero di persone. In Zimbabwe, a novembre, a decine di migliaia hanno marciato con determinazione per portare a compimento la loro battaglia decennale contro le politiche autoritarie e per chiedere vere elezioni nel 2018, in cui la volontà del popolo possa essere liberamente espressa. In India, la crescente islamofobia e un’ondata di linciaggi di musulmani e dalit hanno provocato indignazione e proteste, accompagnate dallo slogan “Non nel mio nome“. Una grande marcia in occasione della Giornata internazionale delle donne, partita negli Usa ma con eventi collegati in tutto il mondo, è diventata uno dei più grandi eventi di protesta della storia. E a livello globale, il fenomeno del #MeToo ha portato un’attenzione enorme sulla spaventosa estensione degli abusi e delle molestie sessuali.

Ma il prezzo da pagare per opporsi all’ingiustizia continua a crescere. In Turchia, l’attacco spietato e arbitrario alla società civile, sull’onda del fallito colpo di stato del 2016, è continuato a ritmo serrato, colpendo il presidente e la direttrice di Amnesty International Turchia, insieme a migliaia di altri.

La Cina ha messo in atto un giro di vite senza precedenti, prendendo di mira persone e organizzazioni percepite come critiche verso il governo, in nome della “sicurezza nazionale“. A seguito delle ampie e diffuse proteste in Russia, centinaia di manifestanti pacifici, passanti e giornalisti sono stati arrestati; in molti sono andati incontro a maltrattamenti, detenzioni arbitrarie e pesanti multe, inflitte in seguito a processi iniqui. Nella maggior parte del continente africano, l’intolleranza verso le proteste pubbliche è stata palese in modo allarmante, dai divieti arbitrari in Angola e Ciad, alla pesante repressione nella Repubblica Democratica del Congo, in Sierra Leone, Togo e Uganda. In Venezuela, centinaia di persone sono state detenute arbitrariamente e molte altre hanno subìto le conseguenze dell’uso eccessivo e illegittimo della forza da parte delle forze di sicurezza, in risposta alle diffuse proteste pubbliche contro l’aumento dell’inflazione e la carenza di cibo e farmaci. In Egitto, le autorità hanno duramente limitato la libertà di criticare il governo, chiudendo o congelando i beni delle Ong, emanando leggi draconiane, che prevedevano cinque anni di carcere per la pubblicazione di un ricerca senza il permesso del governo, e condannando giornalisti e centinaia di oppositori politici a pene carcerarie. Mentre l’anno volgeva al termine, in Iran è iniziata un’ondata di manifestazioni contro l’ordine costituito, come non se ne vedevano dal 2009. Sono emerse denunce secondo cui le forze di sicurezza hanno ucciso e ferito manifestanti disarmati, facendo ricorso ad armi da fuoco e a un uso eccessivo della forza. A centinaia sono stati arrestati e detenuti in carceri note per l’uso della tortura e di altri maltrattamenti.

Nel 2018 ricorrono 20 anni da quando le Nazioni Unite hanno adottato per consenso la Dichiarazione dei difensori dei diritti umani, che fornisce loro protezione e sostegno e incoraggia chiunque a impegnarsi a favore dei diritti umani. Ancora, dopo due decenni, coloro che accettano il compito di difendere i diritti umani spesso affrontano le più gravi conseguenze. Nel 2017, la tragica morte del premio Nobel Liu Xiaobo, in Cina, è stata emblematica del disprezzo di troppi governi per i difensori dei diritti umani. È morto in custodia per un cancro al fegato, il 13 luglio, dopo che le autiorità cinesi gli avevano impedito di ottenere trattamenti medici.

Terrorismo e antiterrorismo

Nel frattempo, la retorica della sicurezza nazione e dell’antiterrorismo hanno continuato a fornire una giustificazione ai governi che cercavano di cambiare l’equilibrio tra poteri dello stato e libertà personali. I governi hanno l’evidente responsabilità di proteggere le persone dalla violenza pianificata per diffondere terrore ma, sempre più spesso, l’hanno fatto a spese dei diritti piuttosto che per tutelarli. L’Europa ha continuato a scivolare verso un stato caratterizzato da misure di sicurezza semipermanenti. La Francia, ad esempio, ha messo fine allo stato d’emergenza a novembre ma solo dopo aver adottato una nuova legge antiterrorismo, che ha introdotto nella legge ordinaria molte delle disposizioni del regime di emergenza.

Tuttavia, nonostante la gravità di questi attacchi ai diritti umani, una reale comprensione della battaglia globale per difendere i valori di dignità umana e uguaglianza esige che ci opponiamo a ogni semplicistica equazione “governi repressivi contro potere del popolo“. Oggi gli spazi pubblici sono contesi tra estremi spesso polarizzati. Mentre in Polonia e Usa ci sono stati grandi raduni per chiedere che la tutela dei diritti umani non sia minacciata, un’imponente marcia nazionalista con slogan xenofobi a Varsavia e un raduno di fautori della supremazia bianca a Charlottesville hanno reclamato politiche profondamente antitetiche ai diritti umani. In molti paesi, le politiche e le prassi illegittime che negano i diritti umani di alcuni gruppi hanno goduto del sostegno popolare.

Violenza online e notizie false

Oggi, molti dei nostri spazi pubblici più importanti sono online, dove gli strumenti per affrontare le sfide emergenti si sono rivelati a volte del tutto inadeguati rispetto all’obiettivo. La valanga di abusi online, specialmente contro le donne, e l’incitamento all’odio verso le minoranze hanno indotto una risposta debole e inconsistente da parte delle compagnie che gestiscono i social media e azioni insufficienti da parte dei governi.

L’impatto delle “notizie false“, come mezzo per manipolare l’opinione pubblica, è stato ampiamente discusso in tutto il 2017. Le possibilità date dalla tecnologia di confondere la realtà e la finzione potranno solo crescere nel futuro, facendo sorgere importanti domande in merito all’accesso delle persone all’informazione. Queste preoccupazioni sono aggravate dalla concentrazione estrema nelle mani di solo poche aziende del controllo sulle informazioni che le persone vedono online e da un’enorme asimmetria di potere tra i singoli individui, le compagnie e i governi, che controllano una vasta quantità di dati. Le potenzialità che ne derivano per influenzare la mentalità della gente sono immense, compreso il pericolo dell’incitamento all’odio e alla violenza, praticamente senza controllo.

Mentre ci avviciniamo al 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani a dicembre 2018, la sfida che abbiamo di fronte è chiara. È il momento di reclamare l’idea fondamentale di uguaglianza e dignità di tutte le persone, di conservare quei valori e chiedere che siano alla base delle decisioni e delle prassi politiche.

I confini artificiali innalzati da una politica della demonizzazione ci portano solo a conflitti e brutalità, una visione angosciante dell’umanità governata da meri interessi personali e cieca alle difficoltà degli altri.

Troppi leader nel mondo hanno permesso ai sostenitori della denigrazione di decidere l’ordine del giorno e hanno fallito nel creare una visione alternativa.

È tempo di cambiare. Dobbiamo rifiutare una narrazione dei fatti basata sulla demonizzazione e costruire invece una cultura di solidarietà. Dobbiamo migliorare la nostra capacità di essere generosi verso gli altri. Dobbiamo riaffermare il diritto di tutte le persone a partecipare alla costruzione delle società alle quali appartengono. E dobbiamo cercare risposte costruttive, basate sui diritti umani, alle frustrazioni, alla rabbia e all’alienazione, che forniscono un contesto fertile per una narrazione dei fatti tossica e intrisa di colpa.

Se ci chiediamo in quale società vogliamo vivere, il nuovo anno ci dà l’opportunità cruciale di rinnovare l’impegno verso un cambiamento basato sui diritti umani. Non la dobbiamo sprecare.

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