Ogni giorno, migliaia di persone sono uccise, ferite o costrette a fuggire dalle loro case a causa della violenza e dei conflitti armati.
La maggior parte delle vittime nei conflitti armati sono civili. Armi come i missili distruggono ospedali, case, mercati e sistemi di trasporto. La vita delle persone viene distrutta.
Le armi si trovano non solo sui campi di battaglia, spesso finiscono per le strade, alimentando la violenza nelle comunità. Tre quarti dei decessi causati da violenza armata avvengono in situazioni non di conflitto.
Le armi sono anche uno strumento di repressione da parte dei governi. In troppi paesi in tutto il mondo le forze di sicurezza usano armi da fuoco contro persone disarmate, manifestanti pacifici o per commettere altre violazioni dei diritti umani.
Chiediamo ai governi che hanno dichiarato di impegnarsi seriamente nel fermare l’abuso del traffico di armi di:
I dettagli sugli scambi commerciali di armi sono spesso avvolti dal mistero, ma il valore del commercio internazionale di armi convenzionali è stimato essere intorno ai 100 miliardi di dollari all’anno.
La maggior parte dell’offerta proviene da società commerciali, fornitori di servizi militari, intermediari e commercianti di armi, ma sono i governi che hanno il dovere di proteggere le loro popolazioni. Solo gli stati, infatti, possono controllare il commercio di armi con la concessione o il rifiuto delle licenze e solo gli stati possono vietare la produzione di determinati tipi di armi inumane e imporre un embargo sulle armi e sulle munizioni.
Ecco alcuni esempi di come i governi non hanno sempre rispettato i loro obblighi:
L’uso di aeromobili a pilotaggio remoto o veicoli aerei senza pilota (Apr), comunemente noti come droni, è cresciuto rapidamente negli ultimi anni.
Almeno dal 2002 sono stati riportati episodi di uccisioni extraterritoriali intenzionali da parte degli Stati Uniti d’America (Usa) contro specifici individui (cosiddette “uccisioni mirate”) o contro individui o gruppi che sembrano corrispondere a un profilo particolare, o essere affiliati con un gruppo particolare, lontano da qualsiasi campo di battaglia riconosciuto e senza alcuna accusa formale né processo.
Da quel momento in poi, i droni armati sono stati usati in maniera crescente da vari eserciti nel mondo – inclusi quelli di Regno Unito, Israele, Nigeria e Pakistan – per questo tipo di uccisioni in Afghanistan, Pakistan, Territori occupati palestinesi e in Yemen, e più di recente in Siria, Iraq e Nigeria.
Amnesty International è gravemente preoccupata che alcuni di questi attacchi con i droni abbiano violato il diritto alla vita, e che abbiano incluso casi di uccisioni extragiudiziali e altre uccisioni illecite.
L’uso intenzionale della forza letale, al di fuori del conflitto armato, può essere giustificato solo quando strettamente inevitabile, al fine di proteggersi da una minaccia imminente alla vita. Nelle situazioni di conflitto armato, gli attacchi con i droni hanno causato un numero significativo di morti civili e in alcuni casi sembrano aver violato il diritto umanitario internazionale.
Mentre molti di questi attacchi con droni si sono verificati nel contesto di conflitti armati, alcuni stati – in particolare gli Usa – hanno continuato ad affermare il diritto a portare avanti uccisioni intenzionali contro i membri di alcuni gruppi, ovunque questi si trovino, in base alla dottrina della “guerra globale”, o sulla base di un presunto diritto di legittima difesa come giustificazione unica per l’uso della forza letale oltreconfine contro individui e gruppi di persone.
Una caratteristica comune dell’uso di droni armati fuori dalle zone di ostilità attive è stata la mancanza di trasparenza, che ha ostacolato l’accertamento di fatti basilari riguardanti gli attacchi con i droni, compreso il quadro legale applicabile, e impedito l’accertamento delle responsabilità e l’accesso alla giustizia e alla riparazione da parte delle famiglie delle vittime.
Dal 2001 con l’inizio della cosiddetta “guerra al terrore“, gli Stati Uniti hanno sviluppato un vasto programma di uso letale dei droni, che serve per effettuare uccisioni mirate extra-territoriali in tutto il mondo. Gli Stati Uniti fanno molto affidamento sull’assistenza di molti Stati per queste operazioni con i droni all’estero e Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Italia hanno tutti svolto un ruolo di supporto significativo.
Amnesty International e altre Ong hanno documentato attacchi illegali con i droni statunitensi nel corso di oltre un decennio, denunciando il fatto che questi raid hanno violato il diritto alla vita e in alcuni casi sono equiparabili a esecuzioni extragiudiziali e altre forme di uccisioni illegali.
Scarica il documento “Principi chiave sull’uso e sul trasferimento dei droni armati“.
Il 9 luglio 1990 è entrata in vigore in Italia la legge n.185 che ha introdotto le “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento“.
La legge:
Armi italiane in (quasi) tutto il mondo
Negli ultimi 25 anni, i sistemi militari italiani sono stati esportati a ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Eritrea, Libia, Turchia, Kazakistan e Turkmenistan, così come a paesi ove sono in corso conflitti come India, Israele, Nigeria, Pakistan e Siria.
Dal 2003, l’Italia ha partecipato alla cosiddetta “guerra al terrore“, nel cui contesto al Dipartimento della Difesa Usa fu concessa ulteriore libertà di trasferire armi all’Iraq, attraverso l’Iraq Relief and Reconstruction Fund, prima, e l’Iraq Security Forces Fund, tra il 2004 e il 2007.
L’ascesa dello “Stato islamico” e le sue conquiste territoriali tra giugno e agosto 2014 hanno determinato un grande cambiamento nelle politiche internazionali relative alla fornitura di armi nella regione. Nel 2014, infatti, gli Usa hanno coordinato sforzi congiunti per rispondere alla domanda di armamenti dell’Iraq cominciando a rifornire regolarmente, insieme ad altri 11 paesi europei tra cui l’Italia, anche le forze curde che si opponevano nel paese allo “Stato islamico”.
Le armi italiane per commettere violazioni dei diritti umani in Yemen
Nonostante la catastrofe umanitaria che sta avvenendo in Yemen (uccisi almeno 5.974 civili e ne sono stati feriti altri 9.493; oltre 20 milioni di persone, ossia l’80 per cento della popolazione yemenita, hanno bisogno di aiuti umanitari), l’Italia continua ad essere tra i maggiori fornitori di armi all’Arabia Saudita, alla guida della coalizione di paesi che sta bombardando lo Yemen.
Sono state raccolte prove che ordigni inesplosi del tipo di quelli inviati dall’Italia, come le bombe MK84 e Blu109, sono stati ritrovati in diverse città dello Yemen bombardate dalla coalizione saudita e il nostro Ministero degli Esteri non ha mai smentito che le forze militari saudite stiano impiegando anche ordigni prodotti in Italia.
Il trattato globale sul commercio delle armi (ATT) è diventato diritto internazionale il 24 dicembre 2014.
L’applicazione del trattato sul commercio delle armi implica, per ogni Stato che lo ha ratificato, l’obbligo di dover rispettare norme rigorose in materia di trasferimenti internazionali di armi.
L’entrata in vigore di questo trattato è stato un passo importante per arginare il flusso di armi che alimentano conflitti sanguinosi, atrocità e repressione in tutto il mondo.
Per riuscire ad ottenere una vittoria di questo genere che aiuterà a salvare migliaia di vite, sono state portate avanti instancabili attività di lobbying e campagne a partire dai primi anni ’90 da Amnesty International e dai suoi partner.
Le norme del trattato sono semplici: se un paese sa che le armi che stanno per essere vendute saranno utilizzate per genocidi, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, allora il trasferimento deve essere interrotto immediatamente.
L’ATT fornisce regole di base fondamentali per il commercio mondiale di armi.
Ora dobbiamo fare in modo che esso sia messo in atto e convincere il maggior numero di Stati a ratificarlo.