Il commercio sconsiderato di armi devasta vite. Armi e munizioni sono prodotte e vendute in quantità sorprendentemente grandi.
Ogni anno vengono prodotti dodici miliardi di proiettili. Questo è quasi sufficiente per uccidere tutti nel mondo due volte. Ogni giorno migliaia di persone vengono uccise, ferite e costrette a fuggire dalle proprie case a causa della violenza armata e dei conflitti armati.
Le armi si trovano non solo sui campi di battaglia, spesso finiscono per le strade, alimentando la violenza nelle comunità. Tre quarti dei decessi causati da violenza armata avvengono in situazioni non di conflitto.
Le armi sono anche uno strumento di repressione da parte dei governi. In troppi paesi in tutto il mondo le forze di sicurezza usano armi da fuoco contro persone disarmate, manifestanti pacifici o per commettere altre violazioni dei diritti umani.
Chiediamo ai governi che hanno dichiarato di impegnarsi seriamente nel fermare l’abuso del traffico di armi di:
Il commercio irresponsabile di armi colpisce coloro che vivono all’interno e all’esterno di aree di conflitto armato e instabilità politica. La violenza armata è una tragedia quotidiana che colpisce le persone in tutto il mondo, la stragrande maggioranza delle quali non vive in zone di conflitto. Globalmente, più di 500 persone muoiono ogni giorno a causa della violenza commessa dalle armi da fuoco.
I dettagli sugli scambi commerciali di armi sono spesso avvolti dal mistero, ma il valore del commercio internazionale di armi convenzionali è stimato essere intorno ai 100 miliardi di dollari all’anno.
La maggior parte dell’offerta proviene da società commerciali, fornitori di servizi militari, intermediari e commercianti di armi, ma sono i governi che hanno il dovere di proteggere le loro popolazioni. Solo gli stati, infatti, possono controllare il commercio di armi con la concessione o il rifiuto delle licenze e solo gli stati possono vietare la produzione di determinati tipi di armi inumane e imporre un embargo sulle armi e sulle munizioni.
Ecco alcuni esempi di come i governi non hanno sempre rispettato i loro obblighi:
L’uso di aeromobili a pilotaggio remoto o veicoli aerei senza pilota (Apr), comunemente noti come droni, è cresciuto rapidamente negli ultimi anni.
Almeno dal 2002 sono stati riportati episodi di uccisioni extraterritoriali intenzionali da parte degli Stati Uniti d’America (Usa) contro specifici individui (cosiddette “uccisioni mirate”) o contro individui o gruppi che sembrano corrispondere a un profilo particolare, o essere affiliati con un gruppo particolare, lontano da qualsiasi campo di battaglia riconosciuto e senza alcuna accusa formale né processo.
Da quel momento in poi, i droni armati sono stati usati in maniera crescente da vari eserciti nel mondo – inclusi quelli di Regno Unito, Israele, Nigeria e Pakistan – per questo tipo di uccisioni in Afghanistan, Pakistan, Territori occupati palestinesi e in Yemen, e più di recente in Siria, Iraq e Nigeria.
Amnesty International è gravemente preoccupata che alcuni di questi attacchi con i droni abbiano violato il diritto alla vita, e che abbiano incluso casi di uccisioni extragiudiziali e altre uccisioni illecite.
L’uso intenzionale della forza letale, al di fuori del conflitto armato, può essere giustificato solo quando strettamente inevitabile, al fine di proteggersi da una minaccia imminente alla vita. Nelle situazioni di conflitto armato, gli attacchi con i droni hanno causato un numero significativo di morti civili e in alcuni casi sembrano aver violato il diritto umanitario internazionale.
Mentre molti di questi attacchi con droni si sono verificati nel contesto di conflitti armati, alcuni stati – in particolare gli Usa – hanno continuato ad affermare il diritto a portare avanti uccisioni intenzionali contro i membri di alcuni gruppi, ovunque questi si trovino, in base alla dottrina della “guerra globale”, o sulla base di un presunto diritto di legittima difesa come giustificazione unica per l’uso della forza letale oltreconfine contro individui e gruppi di persone.
Una caratteristica comune dell’uso di droni armati fuori dalle zone di ostilità attive è stata la mancanza di trasparenza, che ha ostacolato l’accertamento di fatti basilari riguardanti gli attacchi con i droni, compreso il quadro legale applicabile, e impedito l’accertamento delle responsabilità e l’accesso alla giustizia e alla riparazione da parte delle famiglie delle vittime.
Dal 2001 con l’inizio della cosiddetta “guerra al terrore“, gli Stati Uniti hanno sviluppato un vasto programma di uso letale dei droni, che serve per effettuare uccisioni mirate extra-territoriali in tutto il mondo. Gli Stati Uniti fanno molto affidamento sull’assistenza di molti Stati per queste operazioni con i droni all’estero e Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Italia hanno tutti svolto un ruolo di supporto significativo.
Amnesty International e altre Ong hanno documentato attacchi illegali con i droni statunitensi nel corso di oltre un decennio, denunciando il fatto che questi raid hanno violato il diritto alla vita e in alcuni casi sono equiparabili a esecuzioni extragiudiziali e altre forme di uccisioni illegali.
Scarica il documento “Principi chiave sull’uso e sul trasferimento dei droni armati“.
Il 9 luglio 1990 è entrata in vigore in Italia la legge n.185 che ha introdotto le “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento“.
La legge:
Armi italiane in (quasi) tutto il mondo
Negli ultimi 25 anni, i sistemi militari italiani sono stati esportati a ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Eritrea, Libia, Turchia, Kazakistan e Turkmenistan, così come a paesi ove sono in corso conflitti come India, Israele, Nigeria, Pakistan e Siria.
Dal 2003, l’Italia ha partecipato alla cosiddetta “guerra al terrore“, nel cui contesto al Dipartimento della Difesa Usa fu concessa ulteriore libertà di trasferire armi all’Iraq, attraverso l’Iraq Relief and Reconstruction Fund, prima, e l’Iraq Security Forces Fund, tra il 2004 e il 2007.
L’ascesa dello “Stato islamico” e le sue conquiste territoriali tra giugno e agosto 2014 hanno determinato un grande cambiamento nelle politiche internazionali relative alla fornitura di armi nella regione. Nel 2014, infatti, gli Usa hanno coordinato sforzi congiunti per rispondere alla domanda di armamenti dell’Iraq cominciando a rifornire regolarmente, insieme ad altri 11 paesi europei tra cui l’Italia, anche le forze curde che si opponevano nel paese allo “Stato islamico”.
Il 29 gennaio 2021, con un atto di portata storica – che avviene per la prima volta nei 30 anni dall’entrata in vigore della Legge 185 del 1990 sull’export di armi – il governo Conte ha deciso di revocare, e dunque non solo sospendere, le autorizzazioni in corso per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Continua inoltre a rimanere in vigore anche la sospensione della concessione di nuove licenze per i medesimi materiali e Stati.
Secondo quanto appreso dalla Rete italiana pace e disarmo, il provvedimento riguarda almeno sei diverse autorizzazioni già sospese con decisione presa nel luglio 2019, tra le quali la licenza MAE 45560 decisa verso l’Arabia Saudita nel 2016 durante il governo Renzi (relativa a quasi 20.000 bombe aeree della serie Mk per un valore di oltre 411 milioni di euro).
Il trattato globale sul commercio delle armi (ATT) è diventato diritto internazionale il 24 dicembre 2014.
L’applicazione del trattato sul commercio delle armi implica, per ogni Stato che lo ha ratificato, l’obbligo di dover rispettare norme rigorose in materia di trasferimenti internazionali di armi.
L’entrata in vigore di questo trattato è stato un passo importante per arginare il flusso di armi che alimentano conflitti sanguinosi, atrocità e repressione in tutto il mondo.
Per riuscire ad ottenere una vittoria di questo genere che aiuterà a salvare migliaia di vite, sono state portate avanti instancabili attività di lobbying e campagne a partire dai primi anni ’90 da Amnesty International e dai suoi partner.
Le norme del trattato sono semplici: se un paese sa che le armi che stanno per essere vendute saranno utilizzate per genocidi, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, allora il trasferimento deve essere interrotto immediatamente.
L’ATT fornisce regole di base fondamentali per il commercio mondiale di armi.
Il commercio mondiale di armi è ancora in aumento e continua ad alimentare le violazioni dei diritti umani. Questo perché alcuni dei maggiori esportatori di armi come la Russia e gli Stati Uniti non hanno ratificato il trattato. E anche i paesi che hanno ratificato il trattato non lo rispettano, e trasferiscono armi e munizioni in luoghi dove rischiano di essere utilizzati per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, compresi possibili crimini di guerra.
Ora dobbiamo fare in modo che esso sia messo in atto e convincere il maggior numero di Stati a ratificarlo.
ARMI INDISCRIMINATE
È illegale usare armi che sono intrinsecamente indiscriminate, che non possono essere dirette a un obiettivo militare specifico o i cui effetti non possono essere limitati come richiesto dal diritto umanitario internazionale. Questo perché il loro uso rende quasi inevitabile che i civili e le infrastrutture civili (case, ospedali e scuole) vengano danneggiati o distrutti.
BOMBE A GRAPPOLO
Le bombe e le munizioni a grappolo possono contenere centinaia di submunizioni, che vengono rilasciate a mezz’aria, che si disperdono indiscriminatamente su un’area di centinaia di metri quadrati. Le submunizioni a grappolo hanno anche un alto tasso di “dud”, ovvero un’alta percentuale di esse non riesce a esplodere all’impatto. Questo ordigno inesploso rappresenta una minaccia per le persone, anche negli anni successivi allo sgancio. L’uso, la produzione, la vendita e il trasferimento di munizioni a grappolo sono vietati ai sensi della Convenzione sulle munizioni a grappolo del 2008, che ha più di 100 Stati parti.
MINE ANTIUOMO
Le mine antiuomo sono dispositivi esplosivi progettati per esplodere automaticamente quando qualcuno si avvicina. Di solito sono attivati quando calpestati o tramite un filo di viaggio. Le mine terrestri rimangono attive per decenni, il che significa che possono mutilare, ferire o uccidere persone anche anni dopo la fine del conflitto. Una volta innescata, l’esplosione può distruggere più arti, proiettando detriti che inondano le vittime con frammenti che possono causare ferite profonde. È impossibile sapere quante mine ci sono in tutto il mondo, perché possono rimanere nascoste fino al momento in cui esplodono. Tuttavia, l’entità del problema può essere misurata dal numero di mine terrestri che sono già state scoperte e disattivate. 53 milioni di mine sono state distrutte dopo l’adozione della Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo nel 1997. Anche se questo è senza dubbio un risultato notevole, c’è ancora del lavoro da fare. A novembre 2018, 56 paesi hanno identificato aree ad alto rischio di contaminazione da mine antiuomo. Come membro della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine terrestri, Amnesty International esorta tutti i governi a vietare l’uso, la produzione, lo stoccaggio, la vendita, il trasferimento o l’esportazione di mine terrestri antiuomo e a diventare parte, attuare e monitorare il Trattato sulla messa al bando delle mine del 1997.
ARMI NUCLEARI
Le armi nucleari sono le armi più distruttive, disumane e indiscriminate mai create, sia in termini di entità della devastazione immediata che causano, sia di minaccia di una pioggia radioattiva persistente, pervasiva e geneticamente dannosa. Il 7 luglio 2017, le Nazioni Unite hanno adottato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, un trattato che bandisce le armi nucleari, inaugurando una nuova era di non proliferazione nucleare e di abolizione. Amnesty International sostiene il lavoro della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari per aiutare gli Stati a diventare parte di questo trattato e monitorarne l’attuazione.
ARMI CHIMICHE
Le armi chimiche sono definite come sostanze chimiche utilizzate per causare danni intenzionali o la morte attraverso l’uso di proprietà tossiche. Ciò include non solo le sostanze chimiche tossiche stesse, ma anche attrezzature come mortai, proiettili di artiglieria e bombe specificamente progettate per infliggere danni attraverso la consegna di tali sostanze chimiche per infliggere danni. Queste armi sono vietate dalla Convenzione sulle armi chimiche entrata in vigore nel 1997.
KILLER ROBOTS
I robot killer, o sistemi di armi autonomi, non sono più roba di fantascienza. Alcuni paesi – tra cui Cina, Israele, Corea del Sud, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – stanno già sviluppando armi con crescente autonomia, eliminando gli esseri umani da importanti decisioni di vita e di morte. Questi sistemi d’arma sollevano vari problemi morali, legali, di responsabilità e di sicurezza. I robot killer senza controllo umano non avrebbero il giudizio umano necessario per applicare la legge quando usano la forza. Potrebbero commettere tragici errori e mettere a repentaglio vite civili. Permettere ai robot di avere potere sulle decisioni della vita e della morte attraversa anche una linea morale fondamentale. Non è chiaro chi, se qualcuno, sarebbe ritenuto responsabile per atti illegali di robot killer: il programmatore, produttore, comandante o ufficiale di polizia. L’uso di armi completamente autonome senza un controllo umano significativo potrebbe creare un vuoto di responsabilità se le armi sono progettate per fare le proprie determinazioni sull’uso della forza, rendendo difficile garantire giustizia, specialmente per le vittime. Amnesty e i suoi partner nella campagna per fermare i killer robot chiedono un nuovo strumento internazionale vincolante che garantisca il controllo umano significativo sull’uso della forza vietando lo sviluppo, la produzione e l’uso di armi completamente autonome.