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Nonostante abbiano lanciato, un anno fa, la Strategia nazionale sui diritti umani (Sndu), le autorità egiziane non stanno mostrando alcuna sincera intenzione di riconoscere, né tanto meno di affrontare, la profonda crisi dei diritti umani nel paese. Al contrario, continuano a reprimere le libertà e a commettere crimini di diritto internazionale, proprio mentre si approssima la Conferenza Onu sul cambiamento climatico (Cop 27), che sarà ospitata dall’Egitto nel mese di novembre.
Sono queste le conclusioni del rapporto “Sconnessa dalla realtà: la Strategia nazionale sui diritti umani dell’Egitto nasconde la crisi dei diritti umani”, pubblicato oggi da Amnesty International. Il rapporto contiene un’approfondita analisi, confrontata con la realtà concreta dei diritti umani, della Sndu, che le autorità egiziane usano come strumento di propaganda per nascondere una repressione, persino in aumento, di ogni forma di dissenso in vista della Cop 27.
“Le autorità egiziane hanno dato vita alla Sndu per celare l’incessante violazione dei diritti umani, pensando di poter prendere in giro il mondo in vista della Cop 27. Ma la cruda realtà della grave situazione dei diritti umani non può essere ridisegnata con un’azione di marketing”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“La comunità internazionale non deve farsi ingannare dal tentativo dell’Egitto di cancellare l’enormità della crisi dei diritti umani nel paese. Invece, deve mettere pressione sulle autorità egiziane, tanto in forma pubblica quanto in forma privata, affinché assumano iniziative concrete per porre termine al ciclo di violazioni e di impunità, a partire dalla scarcerazione delle migliaia di oppositori e dissidenti arbitrariamente detenuti, dall’allentamento della morsa sulla società civile e dall’autorizzazione allo svolgimento di proteste pacifiche”, ha aggiunto Callamard.
Il nuovo rapporto di Amnesty International si basa su un’ampia documentazione del sistema di violazioni dei diritti umani commesse in Egitto da quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha assunto il potere, così come su informazioni raccolte a partire dal lancio della Sndu attraverso una serie di fonti, tra cui vittime, testimoni, difensori dei diritti umani e avvocati.
Ai fini della sua ricerca, Amnesty International ha anche analizzato documenti ufficiali, prove audiovisive e rapporti di organismi delle Nazioni Unite per poi trasmettere le sue conclusioni e le sue raccomandazioni, il 7 settembre, alle autorità egiziane.
Dal lancio della Sndu, le autorità egiziane l’hanno ripetutamente menzionata, in occasioni pubbliche e in incontri privati con altri governi come la prova del loro impegno in favore dei diritti umani.
La strategia, della durata di cinque anni, è stata redatta dal governo senza aver consultato in alcun modo organizzazioni indipendenti per i diritti umani o settori di opinione pubblica e presenta un quadro profondamente fuorviante della situazione dei diritti umani in Egitto. Assolve le autorità da ogni responsabilità, attribuendo colpe alle minacce alla sicurezza, alle sfide di natura economica e addirittura agli stessi cittadini che “non hanno compreso” e non hanno esercitato i loro diritti.
La Sndu plaude al quadro costituzionale e giuridico, ignorando del tutto l’introduzione e l’applicazione di una serie di leggi repressive che hanno criminalizzato o gravemente limitato l’esercizio dei diritti alle libertà di espressione, associazione e protesta pacifica. Queste leggi hanno ulteriormente eroso le garanzie di un giusto processo e hanno rafforzato l’impunità per le forze di sicurezza e per l’esercito.
Il documento, inoltre, ignora la catastrofica situazione dei diritti umani a partire dal luglio 2013 con la repressione del dissenso e con migliaia di persone ancora arbitrariamente condannate o ingiustamente sotto processo. Solo negli ultimi due anni, decine di prigionieri sono morti in carcere a seguito del voluto diniego delle cure mediche e per le condizioni detentive crudeli e inumane.
Negli ultimi mesi c’è stato uno sviluppo positivo anche se assai limitato: la scarcerazione di decine di prigionieri di coscienza e di altri detenuti per motivi politici. Tuttavia, decine di oppositori e dissidenti continuano a essere arrestati e a molte delle persone scarcerate è stato imposto il divieto di viaggio.
Dal 2013 le autorità egiziane hanno censurato centinaia di portali, fatto irruzione nelle redazioni di organi di stampa indipendenti per poi ordinarne la chiusura e arrestato decine di giornalisti per aver espresso critiche o semplicemente per aver fatto il loro lavoro.
La Sndu apprezza l’impegno dello stato per “i principi di uguaglianza e di non discriminazione” ed elenca alcune iniziative intraprese in questo senso. In realtà, come ha verificato Amnesty International, donne, uomini e minori continuano a essere sottoposti a violazioni dei diritti umani sulla base del loro sesso, della loro identità di genere, del loro orientamento sessuale e della loro fede religiosa.
“Nessuna strategia proteggerà il nostro diritto alla libertà d’espressione o conseguirà la coesistenza pacifica tra le persone se non porterà alla scarcerazione di tutte le persone imprigionate a causa delle loro idee, a causa di ciò che hanno detto o per il fatto che la loro narrazione dei fatti è diversa da quella imposta dallo stato”, ha detto ad Amnesty International la prestigiosa attivista per i diritti umani Mona Seif. Suo fratello Alaa Abd el-Fattah si trova arbitrariamente in carcere, dove ha trascorso la maggior parte da quando il presidente al-Sisi è salito al potere.
La strategia esalta esageratamente i progressi dichiarati dal governo in materia di diritti sociali ed economici, a fronte dell’evidente fallimento nella loro realizzazione e degli attacchi incessanti a coloro che rivendicano quei diritti tra i quali operai, operatori e operatrici delle professioni sanitarie e abitanti degli insediamenti informali.
Complessivamente, la Sndu pone eccessiva enfasi sulle garanzie costituzionali e giuridiche ma non spiega come mai esse non siano coerenti con gli obblighi internazionali dell’Egitto o perché, nella pratica, vengano clamorosamente aggirate. Ignora le violazioni dei diritti umani passate e in corso e il ruolo delle forze di sicurezza, delle procure e dei giudici nella commissione o nella facilitazione di tali violazioni.
Amnesty International ha mostrato apprezzamento per alcune delle modeste raccomandazioni contenute nella strategia, presentate come “traguardi”, come ad esempio la revisione dei reati punibili con la pena di morte, lo studio di alternative alla detenzione preventiva e l’introduzione di una legislazione per combattere la violenza contro le donne. Tuttavia, nell’insieme, questi “traguardi” neanche iniziano ad affrontare la dimensione delle violazioni dei diritti umani e la crisi dell’impunità in Egitto.
Significativi passi avanti nel campo dei diritti umani dovrebbero iniziare con la scarcerazione delle migliaia di persone in prigione solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani, con la chiusura di tutte le indagini avviate per ragioni politiche nei confronti dei difensori dei diritti umani e con l’annullamento di tutti i divieti di viaggio, dei congelamenti dei conti bancari e di altre restrizioni.
Inoltre, sarebbe necessario avviare indagini sui crimini di diritto internazionale e sulle altre gravi violazioni dei diritti umani commessi dalle forze di sicurezza – tra cui l’uccisione illegale di centinaia di manifestanti, le esecuzioni extragiudiziali, le torture e le sparizioni forzate – con l’obiettivo di portare i responsabili di fronte alla giustizia.
“Il presidente al-Sisi deve riconoscere la gravità della crisi dei diritti umani di cui il suo governo è responsabile e prendere provvedimenti per porvi fine. Data la dimensione di questa crisi, così come di quella dell’impunità, e considerata la mancanza della volontà politica per invertire la rotta, chiediamo alla comunità internazionale di sostenere la richiesta che il Consiglio Onu dei diritti umani istituisca un meccanismo che monitori e riferisca sulla situazione dei diritti umani in Egitto”, ha concluso Callamard.
L’Egitto ospiterà la Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop 27) a Sharm el-Sheikh nel mese di novembre. Le organizzazioni ambientaliste e i gruppi per i diritti umani hanno espresso preoccupazione circa la limitazione delle proteste nelle cosiddette “aree designate” e sulla possibilità della società civile egiziana di partecipare ai lavori senza temere rappresaglie.