Iran, 2000 giorni in carcere: l’incubo di Ahmadreza Djalali

17 Ottobre 2021

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Il 17 ottobre 2021 Ahmadreza Djalali, scienziato con doppio passaporto iraniano e svedese, ha trascorso il suo duemillesimo giorno dall’arresto in una prigione dell’Iran.

Esperto di medicina d’urgenza e ricercatore per l’Università del Piemonte orientale, dal 2016 Djalali si trova in carcere con l’accusa di spionaggio. Un anno e mezzo dopo, un tribunale rivoluzionario di Teheran lo ha condannato a morte a seguito di un processo fortemente iniquo.

L’accusa

Secondo l’accusa, Djalali ha avuto diversi incontri col Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, fornendo loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari italiani e su due scienziati iraniani poi assassinati.

Djalali ha sempre respinto queste accuse, denunciando che sono state una rappresaglia per il suo rifiuto di collaborare coi servizi iraniani per identificare e raccogliere informazioni dagli stati dell’Unione europea: “Sono uno scienziato, non una spia”, ha scritto dal carcere nel 2017.

Djalali è ora detenuto nella prigione di Evin, in condizioni di salute sempre più precarie.  Da tempo la sua esecuzione viene periodicamente annunciata e poi rimandata.

La lettera dei figli

A peggiorare la situazione di Ahmadreza, si aggiunge l’impossibilità di parlare con la propria famiglia. Infatti, da quasi un anno e mezzo gli è impedito di contattare telefonicamente la moglie Vida e i due figli, attualmente residenti in Svezia.

Caro papà”, hanno scritto i bambini in una lettera sperando possa arrivare ad Ahmadreza, “sono passati ormai 2000 giorni dal tuo ingiusto arresto e ognuno di questi 2000 giorni abbiamo desiderato il tuo ritorno.

Ogni compleanno, Natale e Capodanno, ci auguriamo che tu possa trascorrere il prossimo con noi. Il più giovane di noi aveva solo quattro anni quando sei stato arrestato e ogni anno chiede a Babbo Natale di riportarti come suo regalo di Natale. 2000 giorni di sofferenza e ingiustizia.

Non è passato giorno in cui tu non sia stato nei nostri pensieri.

Ci chiediamo perché un destino così ingiusto debba essere destinato a te, che non hai sbagliato e che per noi sei sempre stato un modello. Ma restiamo fiduciosi. Ammiriamo come hai sopportato un inferno simile per così tanto tempo.

Non smetteremo di lottare per la tua liberazione, per farti sentire ancora una volta una sensazione di libertà. Continuiamo a chiedere alle persone di unirsi alla nostra lotta per il tuo rilascio, per fare giustizia. Non ci fermeremo finché non tornerai a casa, con noi, con la tua famiglia e i tuoi amici, e di nuovo nella comunità scientifica, dove potrai continuare ad aiutare gli altri attraverso il tuo lavoro e la tua ricerca”.


L’appello di Amnesty International

Fin dal primo giorno, Amnesty International ha chiesto alle autorità iraniane di rilasciare immediatamente Ahmadreza Djalali, lanciando un appello che ha raggiunto oltre 220.000 firme.