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Presa di posizione delle organizzazioni della società civile italiana dopo le forti pressioni del complesso militare-industriale per modificare le norme e ridurre i controlli.
Siamo di fronte ad un’azione concentrica per smantellare le norme nazionali e le procedure che regolamentano le esportazioni di armi e di sistemi militari. Le nostre Organizzazioni – da sempre impegnate nella promozione della pace, del disarmo, della protezione umanitaria e del rispetto dei diritti umani – fanno perciò appello al Governo per ribadire la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano. Invitano inoltre il Parlamento a controllare in modo puntuale e approfondito le operazioni che riguardano l’export di armamenti: sono regole e controlli preposti alla salvaguardia della pace e della sicurezza comune, al rispetto dei diritti umani, alla tutela delle popolazioni e per dare attuazione al ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione (art.11).
In queste settimane diversi “think tank” e opinionisti del settore della difesa, insieme ad alcuni parlamentari ed esponenti militari, stanno facendo pressioni per rivedere le norme in vigore allo scopo di facilitare le esportazioni di armamenti e la competitività dell’industria militare, la cui funzione viene enfatizzata come “strategica” per la bilancia commerciale del Paese, per i livelli occupazionali e finanche per il “rilancio” dell’economia nazionale nell’attuale fase recessiva dovuta alla pandemia. Sono argomentazioni pretestuose che non trovano fondamento nella realtà dei fatti: i dati ufficiali, diffusi proprio dal settore industriale, evidenziano come il comparto armiero valga meno dell’1 per cento sia del prodotto interno lordo (Pil) sia delle esportazioni nazionali
così come per tasso occupazionale: si tratta dunque in realtà di un settore marginale per l’economia italiana che invece assorbe tuttora un flusso sovradimensionato di fondi pubblici grazie ad un diffuso e acritico sostegno politico.
Riteniamo soprattutto inaccettabile che esponenti delle Istituzioni si facciano promotori di istanze per modificare le leggi e ridurre i controlli invece di impiegare le proprie competenze per valutare in modo accurato il rispetto delle norme (nazionali ed internazionali) nelle esportazioni militari e il loro impatto, spesso devastante, sulle popolazioni e nelle zone di maggior tensione del mondo.
L’azione di opinionisti ed esponenti del comparto militare-industriale ha trovato pretesto nella revoca di sei licenze per forniture di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi decisa dal Governo Conte II. Si tratta di un atto deciso dall’esecutivo, per la prima volta nei trent’anni dall’entrata in vigore della Legge 185/90, a seguito di una deliberazione del Parlamento e dopo un’attenta analisi di tutte le implicazioni del caso ed in particolare delle numerose risoluzioni votate ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo. Già dal 2016 l’Europarlamento ha infatti esplicitato che “gli esportatori di armi aventi sede nell’Ue alimentano il conflitto nello Yemen” e “non rispettano i criteri stabiliti dalla Posizione Comune del Consiglio sulle esportazioni di armi che è giuridicamente vincolante” e ha chiesto un embargo di armi nei confronti di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Per la prima volta in trent’anni il complesso militare-industriale ha dovuto
registrare la revoca di un’autorizzazione all’export armato vedendo così messa a rischio la propria posizione privilegiata: da qui l’azione congiunta volta ad ingigantire l’importanza
economica del settore e la sua presunta rilevanza per la “penetrazione strategica” dei mercati esteri e per salvaguardare un cosiddetto “interesse nazionale”, concetto che viene puntualmente utilizzato solo per mascherare interessi privatistici e di parte.
A tutti coloro che hanno competenze e funzioni specifiche nel settore delle esportazioni di armamenti ricordiamo le recenti sentenze e decisioni della magistratura. Innanzitutto la sentenza del TAR del Lazio che, rigettando il ricorso dell’azienda RWM Italia contro la revoca delle licenze stabilita dal Governo, ha ribadito che “risultano ampiamente circostanziati e seri i rischi che gli ordigni oggetto delle autorizzazioni rilasciate da UAMA (Autorità nazionale per le esportazioni di armamenti) possano colpire la popolazione civile yemenita, in contrasto con i chiari principi della disciplina nazionale e internazionale”.
Similmente, il Giudice per le Indagini Preliminari di Roma – che ha confermato la continuazione dell’indagine penale sulle licenze concesse a guerra iniziata – ha evidenziato che “il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietano l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili”.
Per tutti questi motivi le nostre Organizzazioni fanno appello innanzitutto al Governo per ribadire l’importanza di osservare le norme stabilite dalla Legge 185/90 e dai Trattati internazionali, tra cui soprattutto il Trattato sul commercio delle armi (ATT) ratificato dal nostro Paese dopo l’approvazione all’unanimità nelle due Camere. Invitano inoltre il Parlamento ad analizzare con attenzione le Relazioni governative sulle esportazioni di sistemi militari aprendo un confronto ampio ed approfondito con tutte le parti, comprese le associazioni della società civile, sulla Legge e sui suoi possibili miglioramenti anche a partire da elementi positivi presenti in proposte già all’attenzione del Parlamento. Sottolineiamo in particolare come sia ormai urgente e necessario predisporre “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa” come richiesto dalla normativa vigente.