Qatar: rapporto sul lavoro forzato nel settore della sicurezza privata

7 Aprile 2022

©Rafael Andres Velazquez Martinez / Alamy Stock Photo

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In un nuovo rapporto pubblicato oggi sul Qatar, Amnesty International ha dichiarato che gli addetti alla sicurezza sono impiegati in condizioni che equivalgono al lavoro forzato, anche in attività legate ai Mondiali di calcio del 2022. Il rapporto, intitolato “Pensano che siamo delle macchine”, si è basato sulle testimonianze di 34 addetti o ex addetti alla sicurezza, tutti lavoratori migranti, di otto agenzie private.

Le persone intervistate hanno riferito di turni abituali di lavoro di 12 ore al giorno, sette giorni su sette, spesso per mesi o addirittura per anni, senza un giorno libero. La maggior parte di loro si è vista rifiutare dai datori di lavoro il giorno settimanale di riposo previsto dalle leggi del Qatar e chi se lo è comunque preso è andato incontro a punizioni come una trattenuta arbitraria sullo stipendio.

Nel 2017 il Qatar aveva avviato una serie di promettenti riforme nel campo del lavoro, introducendo il salario minimo, migliorando l’accesso alla giustizia e abrogando aspetti importanti del sistema denominato “kafala”. Tuttavia, queste riforme non sono state attuate in modo efficace. Inoltre, molte degli abusi documentati dall’associazione sono violazioni di leggi del paese precedenti le riforme.

“La situazione che abbiamo riscontrato è dovuta allo squilibrio di potere contrattuale tra datori di lavoro e lavoratori migranti e rivela che esistono ancora grandi falle nell’attuazione della normativa sull’impiego da parte delle autorità. Molti degli addetti alla sicurezza con cui abbiamo parlato erano consapevoli che i loro datori di lavoro stessero violando la legge ma si sentivano inermi di fronte a ciò. Fisicamente e psicologicamente esausti, si presentavano comunque al lavoro per timore delle minacce, delle trattenute sullo stipendio o, peggio ancora, del licenziamento e dell’espulsione dal Qatar”, ha dichiarato Stephen Cockburn, direttore del programma Giustizia economica e sociale di Amnesty International.

“Nonostante i progressi degli ultimi anni, la nostra ricerca sul Qatar dimostra che le violazioni dei diritti umani nel settore della sicurezza privata, che sarà sempre più ricercata durante i Mondiali di calcio, restano un fenomeno sistemico e strutturale. I datori di lavoro sfruttano ancora i lavoratori alla luce del sole. Le autorità del Qatar devono adottare misure urgenti per proteggere i lavoratori e punire i datori di lavoro che li sfruttano”, ha aggiunto Cockburn.

Amnesty International ha sollecitato le autorità del Qatar a indagare con urgenza sulle violazioni dei diritti umani nel settore della sicurezza privata, rendere pubbliche le conclusioni di tali indagini, risarcire i lavoratori anche garantendo loro stipendi e turni di riposo adeguati e pubblicare un dettagliato piano d’azione per contrastare efficacemente la prassi del lavoro forzato in quel settore.

 

Il lavoro forzato collegato ai Mondiali di calcio  

Dall’aprile 2021 al febbraio 2022 Amnesty International ha svolto lunghe interviste con 34 addetti o ex addetti alla sicurezza, loro supervisori e consulenti sanitari aziendali. In precedenza, tra il 2017 e il 2018, aveva intervistato 25 addetti alla sicurezza di un’agenzia di sicurezza. La conclusione è che i casi di lavoro forzato non solo isolati ma restano parte di un sistema.

Le 34 persone intervistate sono o erano impiegate da otto agenzie di sicurezza che forniscono servizi a uffici governativi, stadi di calcio e altre infrastrutture essenziali per lo svolgimento dei Mondiali di calcio del 2022 come alberghi, mezzi di trasporto e altri impianti sportivi. Almeno tre delle otto aziende avevano già lavorato per tornei della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa), come i Mondiali per club del 2020 (rinviati al 2021 a causa della pandemia) e la Coppa araba del 2021.

Nel 2020 la Fifa e il suo partner del Qatar, il Comitato supremo per la consegna e il patrimonio (d’ora in avanti, Comitato supremo), si erano impegnati a migliorare le condizioni lavorative e di vita delle persone impiegate nei settori dei servizi e dell’ospitalità. Standard lavorativi più solidi sono stati ampliati fino a comprendere i lavoratori dei sevizi legati ai Mondiali di calcio, e gli enti coinvolti hanno intrapreso altre iniziative, specialmente nei riguardi delle persone che lavorano negli alberghi. Ma questi impegni non sono stati pienamente attuati nel settore della sicurezza.

 

“Pensano che siamo delle macchine”

Le leggi del Qatar prevedono un massimo di 60 ore di lavoro settimanali, straordinario incluso, e stabiliscono che ogni lavoratore ha diritto a un giorno di riposo retribuito alla settimana, coerentemente con quanto previsto dalle leggi e dagli standard internazionali: il riposo è un diritto umano fondamentale.

Ciò nonostante, 29 dei 34 addetti alla sicurezza intervistati da Amnesty International hanno dichiarato di aver lavorato regolarmente 12 ore al giorno e 28 di loro hanno aggiunto che è stato loro negato il giorno di riposo. Questo significa che la maggior parte di loro ha lavorato 84 ore alla settimana.

Milton (tutti i nomi che appaiono sono stati cambiati per motivi di sicurezza), proveniente dal Kenya, ha lavorato come addetto alla sicurezza di un albergo fino al 2021. Il suo orario di lavoro tipico andava dalle 6.30 alle 20 e per mesi non ha avuto un solo giorno di riposo. Abdul, proveniente dal Bangladesh, ha lavorato dal 2018 fino alla metà del 2021 senza un solo giorno di riposo per tre anni.

Zeke, proveniente dall’Uganda, ha lavorato per la Fifa nel febbraio 2021. Ha preso parte a una settimana di formazione, otto ore al giorno, dopo il suo normale orario di lavoro:

“Prova a immaginare di lavorare 12 ore per poi andare al centro di formazione, dove ti tengono altre otto ore. Il giorno dopo devi presentarti al lavoro alle 5 del mattino dopo aver dormito quattro ore. Pensano che siamo delle macchine”.

 

Niente riposo

Per ottenere il giorno di riposo cui avevano diritto, gli addetti alla sicurezza dovevano chiedere il permesso ai loro datori di lavoro. Questo veniva spesso rifiutato e farlo senza autorizzazione poteva dare luogo a trattenute sullo stipendio, in pratica lavoro forzato. L’Organizzazione internazionale del lavoro definisce lavoro forzato il lavoro che è svolto contrariamente alla propria volontà o con la minaccia di punizioni, comprese le sanzioni economiche.

“Ci dicevano che non c’era abbastanza sicurezza, quindi dovevamo lavorare. Non avevamo altra scelta. Se il supervisore diceva di andare al lavoro, dovevamo andare altrimenti ci trattenevano lo stipendio”, ha raccontato Edson, proveniente dall’Uganda. 

Jacob, a sua volta proveniente dall’Uganda, ha lavorato come addetto alla sicurezza presso una strada d’accesso e un punto di consegna allo Stadio internazionale Khalifa. Ha raccontato che prendere il giorno di riposo obbligatorio senza chiedere il permesso significava perdere 200 rial, ossia più di cinque giorni di stipendio.

Molti addetti alla sicurezza sono arrivati in Qatar dopo aver pagato enormi somme per l’impiego, per poi scoprire che le condizioni di lavoro e gli stipendi erano assai differenti da quanto promesso. In molti casi sono rimasti in silenzio per timore delle conseguenze, come nel caso di Lawrence, proveniente dal Kenya:

“Al lavoro ti dicono che hai una pausa pranzo di un’ora, ma non ce l’abbiamo e non ce la pagano. Ti dicono che al venerdì [equivalente alla nostra domenica] c’è riposo, ma non c’è. Non puoi lamentarti, se lo fai ti licenziano e ti espellono”.

Quattro delle agenzie esaminate nel rapporto di Amnesty International continuano a non pagare lo straordinario secondo quanto previsto dalla legge. In alcuni casi, sottraggono ai lavoratori centinaia di rial (equivalenti a otto giorni di stipendio) al mese.

 

Sanzioni per una malattia o per andare in bagno

Le leggi del Qatar chiedono al lavoratore di dimostrare lo stato di malattia dal primo giorno di assenza dal lavoro, attraverso un certificato medico approvato dal datore di lavoro. Tuttavia, in un contesto in cui i lavoratori migranti hanno difficoltà ad accedere alle cure mediche, ad esempio a causa dell’ubicazione del luogo di lavoro o dalla mancanza di tempo a disposizione, queste norme sono inattuabili e consentono ai datori di lavoro di punire i loro dipendenti.

Ben, proveniente dall’Uganda, ha lavorato per 18 mesi senza un giorno di riposo. Un giorno, nel 2021, non si sentiva bene ed è rimasto a casa. Il suo supervisore gli ha detto che non c’era sufficiente forza lavoro per consentirgli di rimanere a riposo e gli sono stati tolti due giorni di stipendio: uno per l’assenza, un altro per non aver portato il certificato medico.

Alcuni addetti alla sicurezza hanno riferito di aver subito sanzioni economiche per “infrazioni” come non indossare in modo corretto la divisa da lavoro o per aver lasciato la propria postazione per andare in bagno senza trovare qualcuno che li sostituisse.

Juma ha descritto come ci si sente inermi in casi del genere:

“Non c’è modo di reagire. Sappiamo che ci sono le leggi e cosa dicono. Ma come fai a pretendere che le rispettino? Non siamo nella posizione di poterlo fare”.

In Qatar i lavoratori migranti non possono formare sindacati né possono aderirvi. Questo accentua lo squilibrio di potere contrattuale tra i datori di lavoro e i loro dipendenti.

 

Condizioni di lavoro e di vita durissime

Quindici degli addetti alla sicurezza intervistati da Amnesty International hanno regolarmente lavorato sotto una calura intensa, anche durante i mesi estivi nei quali lavorare all’esterno dovrebbe essere limitato; in alcuni casi, lo hanno fatto senza riparo o acqua per dissetarsi, nonostante i rischi per la salute ampiamente documentati e denunciati dalla stessa Amnesty International.

Dal 2017 sono in vigore restrizioni al lavoro all’aperto nei mesi più caldi. Nel 2021 l’orario in cui vige il divieto di lavorare in estate è stato allungato e i lavoratori migranti hanno il diritto di fermarsi se avvertono che il caldo estremo possa minacciare la loro salute. Tuttavia, Amnesty International ritiene che le autorità debbano fare di più per proteggere coloro che lavorano all’aperto, compresi gli addetti alla sicurezza.

Emmanuel, addetto alla sicurezza nella piscina, nella spiaggia e nel parcheggio di un albergo di lusso, ha raccontato:

“Quando fa molto caldo, la legge dice che nessuno dovrebbe lavorare all’aperto… Ma noi che ci occupiamo della sicurezza, dove dovremmo stare?”

Le autorità del Qatar hanno emanato anche chiare direttive sulle condizioni di vita, ma 18 addetti alla sicurezza hanno dichiarato ad Amnesty International che i loro alloggi erano sovraffollati e insalubri.

 

Razzismo  

Amnesty International ha anche documentato discriminazione sulla base della razza, dell’origine nazionale e della lingua. Gli addetti alla sicurezza intervistati, provenienti soprattutto da Kenya e Uganda, hanno riferito che i lavoratori originari dell’Africa subsahariana vengono destinati alle condizioni più dure come, ad esempio, lavorare per lunghi periodi di tempo sotto il sole. Hanno anche segnalato stipendi inferiori a parità di mansioni, che penalizzano in particolare chi non è di lingua araba.

Asher, proveniente dal Kenya, ha svolto vari lavori fino al 2021:

“Ti pagano a seconda della nazionalità. Puoi trovare un kenyano che prende 1300 rial, un filippino che ne prende 1500 e un tunisino che è pagato 1700”. 

Omar ha raccontato che il suo datore di lavoro usava stereotipi per giustificare il trattamento duro e discriminatorio nei confronti suoi e dei suoi colleghi:

“Ti dicono: siccome sei africano, puoi lavorare 12 ore al giorno, tu sei robusto”.

Le denunce di discriminazione razziale riecheggiano le conclusioni del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, che ha visitato il Qatar nel 2019. Anche se nel paese non vige alcuna norma che vieti la discriminazione razziale, trattamenti del genere violano comunque la Costituzione e i trattati internazionali.

 

La relazione diretta tra la Fifa e i datori di lavoro 

La Fifa e il Comitato supremo non hanno rinnovato i contratti di due delle tre agenzie che fornivano servizi di sicurezza agli impianti dei Mondiali di calcio e le hanno denunciate al ministero del Lavoro dopo che avevano essi stessi rinvenuto prove su alcune delle denunce documentate da Amnesty International. Tuttavia, nessuno dei due organismi ha fornito sufficienti informazioni per valutare se la rottura dei contratti fosse stata fatta con trasparenza e responsabilità e come estrema risorsa.

Dalle ricerche di Amnesty International è emerso che sia la Fifa che il Comitato supremo erano a conoscenza della situazione molto prima.

Né la Fifa né il Comitato supremo hanno esercitato la diligenza dovuta prima di firmare contratti con le agenzie e a ciò ha fatto seguito l’identificazione tardiva dei problemi e il non avervi posto rimedio: in altre parole, i due organismi hanno pertanto beneficiato dei servizi di quelle aziende mentre i diritti umani dei lavoratori venivano violati. Ora, dunque, devono fornire o collaborare a fornire rimedi ai lavoratori che hanno subito le violazioni.

“Quando mancano pochi mesi all’inizio dei Mondiali di calcio, la Fifa deve fare di più per prevenire le violazioni dei diritti umani nel settore, inerentemente pericoloso, della sicurezza privata altrimenti la situazione persisterà durante lo svolgimento del torneo”, ha commentato Cockburn.

“La Fifa deve usare la sua autorità per premere sul Qatar affinché le riforme siano attuate in modo migliore e le leggi siano rafforzate. Il tempo sta scadendo. Se non si porranno rimedi ora, le violazioni dei diritti dei lavoratori proseguiranno anche quando i tifosi saranno tornati a casa”, ha concluso Cockburn.

 

Ulteriori informazioni 

Amnesty International ha deciso di non fare i nomi delle otto aziende esaminate nel suo rapporto, a causa del rischio di cessazione dei contratti e, conseguentemente, della perdita di posti di lavoro a scapito dei lavoratori migranti.

L’organizzazione per i diritti umani ha comunque fornito tutti i dettagli al ministero del Lavoro e al Comitato supremo così come alla Fifa, chiedendo loro di svolgere ulteriori indagini.

Rispondendo alle denunce di Amnesty International, il ministero del Lavoro ha ammesso “casi individuali di abuso che necessitano di essere affrontati immediatamente” ma ha smentito che ciò significhi “mettere in discussione il solido sistema introdotto”, sottolineando che “l’incidenza di aziende che violano le regole è diminuita e continuerà a diminuire grazie all’attuazione delle misure adottate e alla maggiore adesione dei datori di lavoro”.

Il Comitato supremo ha dichiarato che, a prescindere da norme e sistemi di monitoraggio, alcuni datori di lavoro continueranno a tentare di “aggirare il sistema” e ha confermato l’impegno a contrastare e a porre fine alle violazioni delle leggi.

La Fifa ha fornito alcune informazioni di contesto senza rispondere alle denunce di Amnesty International.