Rapporto 2021 – 2022

Africa Subsahariana

Photo by ALEXIS HUGUET/AFP via Getty Images

PANORAMICA REGIONALE SULL’AFRICA SUBSAHARIANA

I civili hanno continuato a pagare il prezzo dei perduranti conflitti armati in Africa. In Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana (Central African Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of Congo – Drc), Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Somalia e Sud Sudan, le parti in conflitto hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme sui diritti umani. In alcuni casi, le violazioni commesse erano da considerarsi crimini contro l’umanità. La ricerca di giustizia per le vittime si è dimostrata in larga parte elusiva. I conflitti hanno sfollato milioni di persone, aggravando la già precaria situazione umanitaria e della sicurezza nei campi per rifugiati e sfollati interni.

Mentre divampavano i conflitti, la pandemia da Covid-19 si diffondeva rapidamente in tutta l’Africa con un impatto devastante sui diritti umani. Gli sforzi intrapresi dai governi per arginare la sua ondata sono stati ostacolati dalle disuguaglianze globali nella distribuzione dei vaccini, create dalle aziende farmaceutiche e dalle nazioni ricche. A fine anno, era stato completamente vaccinato meno dell’otto per cento degli 1,2 miliardi di abitanti del continente. La pandemia ha determinato la chiusura delle scuole e l’interruzione delle lezioni, rendendo ancora più complicato l’accesso all’istruzione per i bambini che vivevano in paesi colpiti dal conflitto. In diversi stati della regione, gli sgomberi forzati sono stati eseguiti ugualmente senza tener conto della pandemia, lasciando decine di migliaia di persone senza tetto.

Le misure di contenimento della diffusione del Covid-19 sono state sfruttate dai governi come giustificazione per reprimere il diritto al dissenso e altre libertà. Molti governi hanno infatti vietato lo svolgimento di proteste pacifiche, citando preoccupazioni sanitarie e di sicurezza. E quando le persone hanno sfidato i divieti riempiendo le strade, le forze di sicurezza sono intervenute facendo uso eccessivo della forza per disperderle. Le autorità hanno inoltre continuato a imbavagliare i difensori dei diritti umani o a criminalizzarli. I governi hanno adottato misure per chiudere lo spazio civico e limitare la libertà dei media e hanno utilizzato come arma politica legislazioni in materia di sedizione, terrorismo e diffamazione penale.

La discriminazione di genere e altre forme di disuguaglianza sono rimaste una realtà radicata nei paesi africani. Particolarmente preoccupanti sono stati gli altissimi livelli di violenza di genere, così come il limitato accesso all’informazione e ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, i matrimoni precoci e forzati e l’esclusione delle ragazze in gravidanza dalla scuola. Anche le persone Lgbti sono state molestate, arrestate e perseguite a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale o identità di genere.

Diversi paesi sono stati particolarmente colpiti da periodi di siccità, aggravata dal cambiamento climatico, mentre in altri sono emerse preoccupazioni riguardanti il degrado ambientale.

 

ATTACCHI E UCCISIONI ILLEGALI

Ogni conflitto della regione è stato contrassegnato da pervasivi attacchi deliberati contro i civili e le infrastrutture civili. Nella regione dell’Estremo nord del Camerun, Boko haram e la Provincia dello Stato islamico in Africa occidentale (Islamic State West Africa Province – Iswap), al 24 ottobre, avevano ucciso complessivamente almeno 70 civili in circa 51 attacchi. Nella Car, le truppe nazionali e i loro alleati hanno colpito una moschea a febbraio, uccidendo 14 persone.

La Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale nella Repubblica Centrafricana delle Nazioni Unite (UN Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic – Minusca) ha affermato che, tra giugno e ottobre, a causa del conflitto erano stati uccisi 228 civili. In Etiopia, il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tigray People’s Liberation Front – Tplf), le forze di sicurezza etiopi e le milizie si sono resi responsabili del massacro, in molti casi connesso alla loro identità etnica, di centinaia di civili, in città come Bora, Edaga Berhe e Adi-Goshu. In Niger, lo Stato islamico nel grande Sahara (Islamic State in the Greater Sahara – Isgs) ha attaccato abitanti dei villaggi e venditori nelle regioni di Tillabéri e Tahoua. Tre di questi attacchi, avvenuti tra gennaio e marzo, hanno causato la morte di almeno 298 civili.

Nel nord-est della Nigeria, Boko haram e l’Iswap hanno compiuto almeno 30 attacchi, in cui sono morti più di 123 civili. Ogni conflitto della regione è stato segnato anche da frequenti attacchi indiscriminati che hanno provocato morti e feriti tra i civili. Nella Car, nella prima metà dell’anno sono state uccise almeno 15 persone nelle esplosioni di ordigni improvvisati. In Etiopia, in un raid aereo lanciato dall’aviazione etiope su un mercato nel villaggio di Edaga Selus, nel Tigray, sono stati uccisi più di 50 civili e molti altri sono rimasti feriti. Analogamente, un attacco d’artiglieria, presumibilmente compiuto dalle forze del Tplf, ha causato la morte di sei persone in un’area residenziale della città di Debre Tabor, nella regione di Amhara. Nel conflitto che infiammava l’area di Cabo Delgado, in Mozambico, la compagnia militare privata Dyck Advisory Group, cui il governo mozambicano aveva affidato la gestione delle operazioni di reazione rapida, ha impiegato mitragliatrici e sganciato ordigni esplosivi dagli elicotteri, spesso senza fare distinzione tra obiettivi militari e civili.

Nel nord-est della Nigeria, almeno 16 persone sono state uccise e altre 47 sono rimaste ferite a febbraio, quando Boko haram ha lanciato granate con propulsione a razzo su parti della città di Maiduguri, nello stato di Borno. A settembre, nove persone sono state uccise e diverse altre sono rimaste ferite durante un raid aereo, lanciato dall’aviazione militare sul villaggio di Buwari, nello stato di Yobe. In Somalia, le Nazioni Unite hanno documentato, tra febbraio e luglio, la morte di 241 civili e il ferimento di altri 295. Le vittime erano state causate per il 68 per cento dagli attacchi indiscriminati compiuti dal gruppo armato al-Shabaab, mentre il resto è stato attribuito alle forze di sicurezza, alle milizie dei clan e ai contingenti militari internazionali e regionali, incluso quello della Missione dell’Unione africana in Somalia.

Quasi tutti gli attori coinvolti nei conflitti armati dell’Africa hanno utilizzato la violenza sessuale come tattica di guerra. Nella Car, la Minusca ha documentato, tra gennaio e giugno, 131 casi di questo tipo, inclusi 115 stupri. Nella Drc, la violenza sessuale legata al conflitto è rimasta dilagante e, secondo le Nazioni Unite, solo nel periodo compreso tra gennaio e settembre, nel Nord Kivu e nell’Ituri sono state stuprate almeno 1.100 donne. In Etiopia, le parti in conflitto hanno commesso diffusi episodi di stupro contro donne e ragazze nel Tigray e nell’Amhara. In Sud Sudan, le Nazioni Unite hanno stimato che le forze di sicurezza statali e gli attori armati non statali erano responsabili di almeno 63 episodi di violenza sessuale legata al conflitto, come stupro, stupro di gruppo e nudità forzata. In Niger, ad aprile, a Tera, nella regione di Tillabéri, membri del contingente ciadiano del G5 Sahel hanno stuprato due donne  e una ragazzina di 11 anni.

Un’altra tattica di guerra utilizzata in alcuni conflitti consisteva nel bloccare o limitare l’accesso agli aiuti umanitari. In Burkina Faso, il Gruppo di supporto all’Islam e ai musulmani (Groupe de soutien à l’Islam et aux musulmans – Gsim) ha bloccato l’accesso alla città di Mansila, nella provincia di Yagha, causando insicurezza alimentare alla popolazione. Nel Mali, il Gsim ha tenuto sotto assedio molti villaggi e comunità, limitando la libertà di movimento degli abitanti e l’accesso ai terreni agricoli e all’acqua, per costringerli a interrompere la loro collaborazione con l’esercito. In Camerun, Drc, Etiopia e Sud Sudan, i gruppi armati, i gruppi di vigilantes o i governi hanno continuato a negare o limitare l’accesso agli aiuti umanitari. Questo ha contribuito a lasciare oltre cinque milioni di persone in Etiopia, 19,6 milioni nella Drc e 8,3 milioni in Sud Sudan in una situazione di estremo bisogno di assistenza umanitaria, in particolare di cibo e medicine, secondo i dati delle Nazioni Unite.

In diversi paesi, molte persone sono state uccise in ondate di violenza intercomunitaria e disordini politici. In Camerun, nelle regioni anglofone del Nord-Ovest e Sud-Ovest, sospetti separatisti armati hanno preso di mira persone, strutture mediche e scuole. Questi abusi sono avvenuti nel contesto delle crescenti tensioni intercomunitarie. In Etiopia, la violenza etnica è stata causa di almeno 1.500 morti nelle regioni di Afar, Amhara, Benishangul-Gumuz, Oromia e Somali. In Nigeria, la violenza tra le comunità locali di pastori e agricoltori, oltre che gli attacchi compiuti dai banditi, hanno causato più di 3.494 morti. In Sudafrica, nelle violenze innescate dall’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma sono morte almeno 360 persone.

 

IMPUNITÀ

In quasi ogni paese della regione, i perpetratori di crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani e abusi hanno goduto dell’impunità. In Burkina Faso, due membri del gruppo armato Ansaroul Islam sono stati giudicati colpevoli di accuse di terrorismo, ma non erano stati ottenuti progressi significativi nell’indagine relativa alle uccisioni illegali di 50 persone e alla sparizione forzata di altre 66, che sarebbero state compiute nel 2019 dal gruppo armato Koglweogo, nel villaggio di Yirgou, della provincia di Sanmatenga. Nella Car, il tribunale penale speciale ha annunciato di avere spiccato 25 mandati di cattura, ma a fine anno non era stato ancora eseguito alcun arresto. Sebbene il governo avesse istituito una commissione d’inchiesta, con l’incarico di indagare sulle violazioni commesse da tutte le parti coinvolte dall’inizio dell’offensiva del gruppo armato Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Coalition des patriotes pour le changement – Cpc), non erano stati ancora resi noti i risultati del suo rapporto o gli eventuali sviluppi dell’inchiesta.

Nella Drc, almeno 80 agenti di polizia o membri dell’esercito sono stati perseguiti penalmente nelle province del Nord Kivu, Sud Kivu, Tanganika e Kasaï per reati gravi, tra cui violenza sessuale. L’ex signore della guerra congolese Roger Lumbala è stato arrestato dalle autorità francesi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Tuttavia, molti altri perpetratori di crimini di diritto internazionale nella Drc hanno continuato a godere dell’impunità. In Mali, sono stati celebrati processi riguardanti reati di terrorismo, ma sono stati sollevati dubbi circa il rispetto degli standard internazionali di equità processuale. Intanto, l’indagine sui crimini di diritto internazionale compiuti dai gruppi armati e dai militari ha registrato scarsi progressi.

In Ruanda, Jean-Claude Iyamuremye, accusato di essere uno dei leader della milizia Interahamwe, nel distretto di Kicukiro, durante il genocidio del 1994, è stato giudicato colpevole di genocidio e condannato a 25 anni di carcere. Due sospettati di genocidio sono stati estradati dagli Usa in Ruanda per essere processati, mentre un altro sospetto è stato estradato dai Paesi Bassi. In Sud Sudan, il governo è parso voler dare priorità alla verità rispetto ai processi, continuando a rinviare e bloccare la creazione del tribunale ibrido per il Sud Sudan. In Sudan, l’anno è terminato senza che nessuno fosse chiamato a rispondere per l’uccisione di almeno 100 manifestanti, avvenuta il 3 giugno 2019. Le autorità hanno inoltre continuato a non adempiere al loro obbligo di consegnare Omar al Bashir e altri due sospetti all’Icc, per rispondere di accuse di crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra in Darfur.

 

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI
Diritto alla salute

La pandemia da Covid-19 ha continuato a diffondersi rapidamente in tutta l’Africa, con un impatto devastante sui diritti umani. Durante l’anno sono stati registrati quasi nove milioni di casi e più di 220.000 decessi. Il Sudafrica è rimasto l’epicentro della pandemia, in termini di casi accertati e decessi. Gli sforzi dei governi di arginare l’ondata del contagio da Covid-19 sono stati ostacolati dalle disuguaglianze nella distribuzione globale dei vaccini, create dalle aziende farmaceutiche e dalle nazioni ricche. I programmi di consegna dei vaccini delle compagnie farmaceutiche hanno dato priorità ai paesi ad alto reddito, che a loro volta hanno accumulato le dosi in eccesso che non erano in grado di utilizzare. I paesi ricchi hanno anche bloccato i tentativi di far arrivare più vaccini ai paesi a basso e medio reddito, rifiutandosi di sostenere una temporanea rinuncia dei diritti di proprietà intellettuale e una maggiore condivisione di tecnologie e know-how.

I vaccini contro il Covid-19 sono stati principalmente forniti ai paesi africani attraverso l’iniziativa Covax, l’Africa Vaccine Acquisition Trust e donazioni bilaterali. Troppo spesso, le forniture erano insufficienti o i tempi di consegna imprevedibili, rendendo pertanto complicato per i governi accrescere la fiducia tra la popolazione e strutturare campagne di vaccinazioni efficienti. In paesi come Drc, Malawi e Sud Sudan, le dosi di vaccino consegnate erano prossime alla scadenza e ciò ha costretto la autorità a distruggere interi lotti o a restituirli per reindirizzarli verso altri paesi. I problemi di fornitura hanno reso ancora più difficile assicurare che i vaccini raggiungessero i gruppi vulnerabili, come gli anziani o le persone affette da patologie croniche. Alcuni dei fattori interni che hanno ostacolato l’implementazione di efficaci programmi di vaccinazione in Africa sono certamente i livelli disuguaglianza, la diffidenza verso i vaccini e l’insicurezza nazionale. A fine anno era stato completamente vaccinato meno dell’otto per cento degli 1,2 miliardi di abitanti dell’Africa, il tasso più basso del mondo e ben lontano dal 40 per cento indicato dall’Oms come obiettivo di vaccinazione globale.

La pandemia da Covid-19 ha evidenziato ancora una volta la cronica mancanza di investimenti nel settore sanitario nella regione da molti decenni. I già inadeguati sistemi sanitari della maggior parte dei paesi sono stati messi a dura prova, specialmente durante la terza ondata della pandemia. In Somalia, soltanto uno degli ospedali di Mogadiscio, la capitale, ha gestito per gran parte dell’anno tutti i casi di Covid-19 delle regioni centromeridionali del paese. Con circa il 91 per cento dei posti letto occupati a luglio, gli ospedali pubblici e privati della provincia sudafricana del Gauteng erano vicini al collasso. In Congo, nella Drc, così come in Nigeria e Togo, gli operatori sanitari hanno scioperato od organizzato sit-in di protesta per denunciare i disservizi dei rispettivi sistemi sanitari o per chiedere il pagamento dei mesi di stipendio arretrati. Accuse di corruzione, anche in relazione ai fondi destinati alla lotta al Covid-19, hanno ulteriormente compromesso i settori sanitari in molti paesi, come Camerun e Sudafrica.

Diritto all’istruzione

La chiusura delle scuole e altre interruzioni dell’attività didattica dovute alla pandemia sono rimaste motivo di grave preoccupazione. In Ciad, la percentuale di ragazze iscritte alla scuola secondaria è scesa dal 31 per cento del 2017 al 12 per cento del 2021, a causa della chiusura delle scuole e degli alti tassi di matrimoni precoci o forzati. In Sudafrica, a maggio, erano approssimativamente 750.000 i bambini che avevano abbandonato la scuola, più del triplo rispetto ai 230.000 del dato pre-pandemia. In Uganda, dove le scuole hanno cominciato a riaprire gradualmente a partire da febbraio, ma a giugno erano di nuovo chiuse, l’autorità di pianificazione nazionale prevedeva che più del 30 per cento degli alunni non sarebbe più tornato a scuola.

Nei paesi colpiti dal conflitto, i bambini hanno incontrato difficoltà quasi insormontabili nell’accesso all’istruzione. In Burkina Faso, Camerun e Niger, Boko haram, Gsim, Isgs e altri gruppi armati hanno continuato a vietare la cosiddetta “istruzione occidentale” e hanno commesso crimini di guerra attaccando le scuole. Allo stesso tempo, minacce e violenza continuavano a dissuadere gli insegnanti dal recarsi al lavoro. In Burkina Faso, l’Unicef ha riportato che 2.682 scuole rimanevano chiuse, con conseguenze per 304.564 studenti e 12.480 insegnanti.

Nella Car, tra gennaio e giugno, il Cpc ha attaccato od occupato almeno 37 scuole. In Niger, secondo i dati raccolti dall’Unicef, nella regione di Tillabéri, a giugno risultavano chiuse 377 scuole e oltre il 50 per cento degli alunni nella fascia d’età compresa tra sette e 16 anni non era iscritto a scuola.

Diritto all’alloggio

Nonostante la pandemia da Covid-19, in diversi paesi sono stati registrati sgomberi forzati, che hanno lasciato senza tetto decine di migliaia di persone. In Ghana, Kenya e Nigeria, gli sgomberi forzati sono stati prevalentemente eseguiti nei centri urbani e hanno implicato la demolizione di centinaia di abitazioni, costruite in quelli che i rispettivi governi indicavano come insediamenti illegali. Altri sgomberi forzati nella regione sono stati eseguiti sotto la spinta di interessi economici. In Uganda, nel distretto di Kiryandongo, più di 35.000 persone sono state sgomberate con la forza dalle loro case per favorire la realizzazione di progetti agroindustriali.
In Zimbabwe, le autorità hanno cacciato migliaia di abitanti dei villaggi dalle loro terre, a Chisumbanje, per permettere a una compagnia di biocarburante di espandere le sue coltivazioni di canna da zucchero. Con una nota positiva, in Kenya e Uganda sentenze di tribunale hanno affermato il diritto all’alloggio e condannato gli sgomberi forzati. La Corte suprema del Kenya ha stabilito che lo sgombero nel 2013 dei residenti della Città di cartone, un insediamento informale della capitale Nairobi, aveva violato il loro diritto all’alloggio. La Corte costituzionale dell’Uganda ha giudicato che l’autorità per la fauna selvatica aveva sgomberato illegalmente la comunità nativa batwa dalla propria terra ancestrale nella foresta di Mgahinga, nel nord-ovest del paese.

 

REPRESSIONE DEL DISSENSO

Proteste e uso eccessivo della forza

Le misure introdotte per contenere la diffusione del Covid-19 sono state sfruttate dalle autorità come pretesto per reprimere il dissenso pacifico e altri diritti, secondo una prassi consolidata in tutta la regione. Il primo istinto di molti governi è stato vietare le proteste pacifiche, citando preoccupazioni sanitarie e di sicurezza, come ad esempio è avvenuto in Camerun, Ciad e Costa d’Avorio. In modo del tutto simile, in paesi come Eswatini e Sud Sudan, gli organizzatori sono stati arrestati in anticipo e l’accesso a Internet è stato bloccato, in quello che è parso un tentativo di far deragliare le proteste programmate. Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso all’uso eccessivo della forza per disperdere le proteste pacifiche di centinaia di migliaia di persone che avevano sfidato i divieti. In oltre 12 paesi, tra cui Angola, Benin, Ciad, Eswatini, Guinea, Nigeria, Sierra Leone e Sudan, molte morti sono state causate dalle forze di sicurezza, intervenute sparando munizioni vere. In Eswatini, la violenza utilizzata per disperdere le proteste pro-democrazia iniziate a maggio, a ottobre aveva già provocato 80 morti e più di 200 feriti. In Sudan, almeno 53 persone sono morte dopo che le forze di sicurezza erano intervenute, sparando proiettili veri per disperdere le proteste contro il colpo di stato militare di ottobre.

Manifestanti pacifici sono incorsi anche in arresti arbitrari e azioni giudiziarie. In Ciad, le autorità hanno arrestato almeno 700 persone che protestavano contro il processo elettorale e contro la successiva formazione di un governo di transizione. Nella Drc, tre attivisti, arrestati nel Nord Kivu per avere organizzato un pacifico sit-in di protesta contro la cattiva gestione dell’amministrazione sanitaria locale, sono rimasti in detenzione. In Eswatini, sono stati arbitrariamente arrestati almeno un migliaio di manifestanti pro-democrazia, inclusi 38 minorenni.

Difensori dei diritti umani e libertà d’associazione

La difesa dei diritti umani è rimasta un atto di coraggio. Le autorità hanno cercato di mettere a tacere i difensori dei diritti umani o di criminalizzarli. Al pari degli attivisti d’opposizione, sono stati arrestati e vessati con azioni penali in molti paesi, tra cui Benin, Congo, Drc, Eswatini, Kenya, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania, Zambia e Zimbabwe.

Nella Drc, due informatori sono stati condannati a morte in contumacia per avere rivelato transazioni finanziarie effettuate a favore di individui o enti sottoposti a sanzioni internazionali. In Ruanda, Yvonne Idamange, un’utente di YouTube, è stata condannata a 15 anni di carcere per avere criticato le politiche del governo. In Congo, Niger, Zambia e altri paesi, le autorità hanno utilizzato leggi riguardanti il reato di diffamazione per intimidire o imbavagliare le voci critiche. In Eswatini, le leggi antiterrorismo e sulla sedizione sono servite per formulare accuse inventate contro persone che avevano criticato le autorità.

Alcuni difensori dei diritti umani hanno pagato il prezzo più alto. Joannah Stutchbury, un’ambientalista molto nota in Kenya, a luglio è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco nella sua casa, dopo avere ricevuto minacce di morte. Due giornalisti sono stati uccisi in maniera simile anche in Somalia. In diversi paesi sono state introdotte o implementate leggi e politiche per ridurre l’azione delle Ong. In Togo, il governo ha sospeso il rilascio e il rinnovo delle licenze delle Ong.

Il governo ugandese ha ordinato l’immediata sospensione di 54 organizzazioni, per presunti inadempimenti della legislazione sulle Ong. In Zimbabwe, una direttiva imponeva alle Ong l’obbligo di presentare i loro piani strategici alle autorità prima di poter svolgere le loro attività ad Harare, la capitale. L’Alta corte ha giudicato che tale direttiva era incostituzionale. Successivamente è stato pubblicato in gazzetta ufficiale un emendamento alla legge regolamento sulle organizzazioni private di volontariato, che permetteva la chiusura delle organizzazioni sospettate di finanziare o svolgere attività di promozione per conto di esponenti politici durante le elezioni.

Libertà dei media

I governi hanno continuato a ridurre la libertà dei media. In Angola, Burkina Faso, Drc, Madagascar, Senegal, Tanzania, Togo e in altri luoghi, le autorità hanno sospeso giornali ed emittenti televisive e radiofoniche. In alcuni paesi, come Ghana e Zambia, le autorità hanno fatto irruzione nelle sedi dei mezzi d’informazione, interrompendo le trasmissioni e distruggendo proprietà.

In Zambia, ad esempio, a giugno ignoti hanno incendiato la sede dell’emittente Kalungwishi, nel distretto di Chiengi. In Nigeria, organizzazioni della stampa hanno lanciato una campagna attraverso l’hashtag “Information Blackout”, per protestare contro due disegni di legge che minacciavano di rafforzare il controllo sui media e di compromettere l’accesso all’informazione. Disservizi e chiusure di Internet e sospensioni dei social network sono stati registrati in vari paesi della regione, tra cui Eswatini, Niger, Nigeria, Senegal, Sud Sudan, Sudan, Uganda e Zambia.

A giugno, le autorità nigeriane hanno sospeso Twitter, dopo che la piattaforma aveva cancellato un controverso tweet del presidente Buhari per violazione dei termini di utilizzo della piattaforma.

 

DIRITTI DI RIFUGIATI, MIGRANTI E SFOLLATI INTERNI

I conflitti che divampavano nella regione hanno continuato a costringere milioni di persone a sfollare dalle loro abitazioni, come ad esempio nella Drc, dove durante l’anno un nuovo flusso di 1,5 milioni di persone ha portato il numero totale di sfollati interni al paese a cinque milioni. In Somalia, dove più di 2,6 milioni di persone erano già sfollate internamente al paese negli anni precedenti, altre 573.000 sono fuggite dalle loro case tra gennaio e agosto. Gran parte dei rifugiati della regione era ospitata in un esiguo numero di paesi, tra cui Camerun, Ciad, Drc, Etiopia, Kenya, Niger, Ruanda e Sudan, mentre l’Uganda aveva la più vasta popolazione di rifugiati di tutta l’Africa, con oltre 1,5 milioni di persone. Paradossalmente, alcuni dei paesi ospitanti, come Drc ed Etiopia, hanno prodotto a loro volta enormi flussi di rifugiati.

In quasi tutti i campi per rifugiati e sfollati interni della regione la situazione umanitaria e della sicurezza è rimasta precaria. Mancanza d’accesso a cibo, acqua, istruzione, salute e alloggi in misura adeguata, in alcuni casi dovuta ai blocchi e alle restrizioni che impedivano od ostacolavano gli aiuti umanitari, erano la normalità. A marzo, il governo keniano ha dato all’Unhcr, l’agenzia delle  Nazioni Unite per i rifugiati, 14 giorni di tempo per chiudere i campi per rifugiati di Kakuma e Dadaab. La minaccia è stata in seguito ritirata e la chiusura dei campi rinviata a giugno 2022. In Niger, l’Isgs ha attaccato gli insediamenti abitati dai rifugiati del Mali a Intikane, nella regione di Tahoua, uccidendo decine di persone. In Tanzania, la polizia e i servizi d’intelligence, in cooperazione con i servizi d’intelligence burundesi, hanno continuato a ricorrere a violenza, arresti arbitrari e a rigorose politiche di confinamento nei campi e minacce di espulsione, per spingere i rifugiati burundesi a lasciare il paese.

 

DISCRIMINAZIONE E MARGINALIZZAZIONE
Diritti di donne e ragazze

Discriminazione di genere e disuguaglianza sono rimaste una realtà radicata nei paesi della regione. Alcune delle principali problematiche documentate riguardavano gli spiccati livelli di violenza di genere, l’accesso limitato a informazioni e servizi di salute sessuale e riproduttiva, la persistenza dei matrimoni precoci e forzati e l’esclusione dalle scuole delle ragazze in gravidanza.
Le restrittive misure di lockdown introdotte dai governi per contenere la diffusione del Covid-19 hanno contribuito all’impennata dei livelli di violenza sessuale e di genere in tutta la regione. La violenza di genere ha raggiunto livelli critici in Sudafrica, dove le statistiche ufficiali sulla criminalità mostravano un aumento del 74,1 per cento di tutti i reati a sfondo sessuale. Nella prima metà dell’anno sono stati registrati almeno 117 casi di femminicidio.

Alcuni casi emblematici di violenza di genere nella regione hanno suscitato indignazione nell’opinione pubblica, con conseguenti appelli all’azione. In Ciad, le donne hanno protestato nelle strade del paese contro la violenza sessuale e una cultura dell’impunità per i perpetratori di abusi, dopo che lo stupro di gruppo subìto da una ragazza di 15 anni era stato ripreso in un video diffuso sui  ocial network. In Sudafrica, l’uccisione di Nosicelo Mtebeni, una studentessa di legge di 23 anni, da parte del suo fidanzato ha suscitato sdegno nell’opinione pubblica. Il suo corpo era stato smembrato e sistemato in una valigia e in buste di plastica.

A fronte dell’impennata dei casi di violenza di genere, l’accesso alla protezione e ai servizi di supporto per le sopravvissute, oltre che all’informazione e ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, è rimasto limitato in tutta la regione. In molti paesi persistevano ancora pratiche come i matrimoni precoci e forzati. In Namibia, è emerso che i genitori di una bambina di quattro anni l’avevano già data in sposa all’età di due a un uomo di 25 anni. In Guinea Equatoriale, era ancora in vigore la norma che vietava alle ragazze in gravidanza di frequentare la scuola.

In Tanzania, il ministero dell’Istruzione ha annunciato a novembre che avrebbe revocato un divieto analogo. In Costa d’Avorio e Madagascar sono state presentate proposte legislative per affrontare le specifiche forme di discriminazione di genere. In Sudan, il consiglio di gabinetto ha approvato la ratifica del paese del Protocollo di Maputo e della Cedaw. Altre buone notizie riguardavano una sentenza emessa a favore delle donne sopravvissute a violenza sessuale e di genere in Nigeria e la scarcerazione in Ruanda, in seguito a grazia presidenziale, di 10 ragazze e donne condannate per reati in materia d’aborto.

Persone con albinismo

Nell’Africa orientale e meridionale, le persone con albinismo e le loro famiglie continuavano a vivere temendo per la loro vita. Attacchi violenti contro persone con albinismo sono stati ad esempio registrati in Malawi, dove un uomo è stato ucciso a febbraio e il cadavere di un altro è stato trovato ad agosto. In Zambia, due bambini, di due e nove anni, sono stati mutilati in due aggressioni separate occorse a giugno e luglio.

Diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Le persone Lgbti hanno continuato a subire vessazioni, arresti e azioni penali a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale o dell’identità di genere. In Benin, tre donne transgender sono state costrette a togliersi i vestiti prima di essere picchiate e rapinate da un gruppo di uomini a Cotonou; l’aggressione è stata filmata e condivisa sui social network. Ci sono stati frequenti casi di aggressioni contro persone Lgbti, riprese in video, anche in Senegal, dove gruppi conservatori hanno organizzato una protesta chiedendo di rendere le relazioni consensuali tra persone dello  stesso sesso un reato. In Camerun, due donne transgender, accusate per atti analoghi, sono state condannate a cinque anni di carcere ma rilasciate in attesa d’appello. In Namibia, la polizia ha  accusato una donna transgender di avere falsificato la sua identità per evitare di essere perseguita penalmente e di subire molestie a sfondo transfobico in custodia. Una nuova legge introdotta nello stato di Taraba, in Nigeria, conteneva una disposizione che prevedeva la pena dell’ergastolo per le persone transgender.

Nei campi per rifugiati di Kakuma e Dadaab, in Kenya, i rifugiati Lgbti sono stati regolarmente oggetto di molestie e aggressioni. La morte di Chriton Atuherwa, a seguito delle gravi ustioni riportate in un attacco incendiario contro gli alloggi dei rifugiati Lgbti nel campo di Kakuma, ha rappresentato purtroppo un esempio dell’incapacità del governo del Kenya di tutelare adeguatamente i rifugiati Lgbti da attacchi di stampo omofobico.

In Camerun, poliziotti hanno fatto irruzione negli uffici di Colibri, un gruppo di prevenzione e trattamento dell’Hiv/Aids attivo nella città di Bafoussam, nella regione Occidentale, e hanno arrestato 13 persone con l’accusa di condotta omosessuale consensuale, rilasciandole nell’arco di alcuni giorni, dopo che erano stati costretti a sottoporsi a test di diagnosi dell’Hiv e a visite anali. In Ghana, dove è stato presentato in parlamento un disegno di legge che avrebbeulteriormente criminalizzato le persone Lgbti, gli uffici dell’associazione Lgbti+ Rights Ghana sono stati perquisiti e chiusi dagli agenti.

La polizia ha anche arrestato 21 attivisti Lgtbti per avere tenuto una riunione ritenuta illegale durante un seminario di formazione. Le accuse a loro carico sono state successivamente archiviate. Il ministero dell’Interno malgascio ha sospeso un evento Lgbti annuale. Con una nota positiva, la corte d’appello del Botswana ha confermato una sentenza di un’alta corte che aveva dichiarato incostituzionale una legge che criminalizzava le relazioni omosessuali consensuali; in Uganda, Cleopatra Kambugu ha annunciato di essere la prima trans ugandese ad avere ottenuto il rilascio di una carta d’identità e di un passaporto che riconoscevano il suo genere femminile.

 

CAMBIAMENTO CLIMATICO E DEGRADO AMBIENTALE

Diversi paesi della regione sono stati particolarmente colpiti dagli effetti della siccità aggravata dal cambiamento climatico. In Angola, le basse precipitazioni hanno causato la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. La malnutrizione ha raggiunto drammatici livelli a causa della mancanza di cibo, acqua potabile e servizi igienici adeguati, colpendo in maniera sproporzionata soprattutto donne, bambini e persone anziane. Il sud del Madagascar è stato investito da un periodo di grave siccità, che ha avuto conseguenze devastanti per le comunità che facevano affidamento sull’agricoltura di sussistenza, l’allevamento del bestiame e la pesca, come principali fonti di sostentamento.

In Sudafrica, nelle province del Capo Orientale, Capo Settentrionale e Capo Occidentale, a luglio è stato dichiarato lo stato di calamità naturale a causa della siccità. In diversi altri paesi, tra cui Botswana, Congo, Drc, Ghana, Namibia e Sudafrica, sono emerse preoccupazioni legate al degrado ambientale. In Botswana e Namibia, le autorità hanno continuato a rilasciare licenze di prospezione petrolifera nelle aree sensibili dal punto di vista ambientale del bacino dell’Okavango, alla compagnia mineraria canadese ReconAfrica, nonostante queste attività avessero un impatto negativo sul cambiamento climatico e sui diritti dei residenti locali, comprese le popolazioni native, aspetto che è stato sottolineato anche dal Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel sud della Drc, i fiumi Tshikapa e Kasaï ei loro affluenti sono stati colpiti da un esteso inquinamento. Il governo ha affermato che questo era stato provocato da uno sversamento prodotto da una  compagnia mineraria e di lavorazione dei diamanti con base nel nord dell’Angola. Il disastro ha causato almeno 40 morti, centinaia di casi di diarrea grave e cancellato ogni forma di vita acquatica.

 

RACCOMANDAZIONI

Nonostante alcuni sviluppi, il 2021 è stato un anno difficile per i diritti umani in Africa. I governi africani e i rilevanti attori non statali della regione devono intraprendere azioni coraggiose per affrontare le molte preoccupazioni che sono emerse durante l’anno. Tutte le parti coinvolte nei conflitti armati devono proteggere i civili, non da ultimo ponendo fine agli attacchi deliberati e indiscriminati contro i civili e le infrastrutture civili. Ciò implica adottare ogni misura possibile per assicurare che i rifugiati e gli sfollati interni siano protetti e abbiano completo accesso agli aiuti  umanitari, come cibo, acqua e un riparo.

I governi devono intensificare i loro sforzi per combattere l’impunità, attraverso l’apertura di indagini complete, indipendenti, imparziali, efficaci e trasparenti sui crimini di diritto internazionale e assicurando alla giustizia i sospetti perpetratori. In assenza di adeguate forniture di vaccino contro il Covid-19, i governi dovrebbero continuare a dare priorità alla vaccinazione delle categorie maggiormente a rischio, oltre che di coloro che vivono in aree più difficili da raggiungere. Devono anche cooperare a livello regionale e internazionale per rafforzare i loro sistemi sanitari nazionali e fornire informazioni trasparenti riguardo ai loro bilanci sanitari.

I governi devono intervenire immediatamente per proteggere i diritti di donne e ragazze all’uguaglianza, alla salute, all’informazione, all’istruzione e per permettere loro di vivere libere dalla violenza di genere e dalla discriminazione, assicurando tra l’altro che le sopravvissute a questo tipo di violenza, durante le restrizioni contro il Covid-19, continuino ad avere accesso alla protezione della polizia e alla giustizia, alle linee telefoniche d’emergenza e ai servizi di assistenza comunitari. I governi devono porre fine alla vessazione e intimidazione dei difensori dei diritti umani e degli attivisti, lasciar cadere tutte le accuse contro quelli che stanno subendo azioni penali e rilasciare immediatamente e incondizionatamente coloro che sono arbitrariamente detenuti o incarcerati. Devono anche rispettare la libertà dei media, assicurando tra l’altro che tutti i mezzi d’informazione possano operare in maniera indipendente.

 

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