©Alamy/REUTERS/Jonathan Bachman
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Per milioni di persone, il 2016 è stato un anno di continua sofferenza e paura, poiché governi e gruppi armati hanno compiuto violazioni dei diritti umani nei modi più diversi. Gran parte della città più popolosa della Siria, Aleppo, è stata ridotta in macerie dai bombardamenti aerei e dagli scontri per le strade, mentre proseguivano gli attacchi violenti e crudeli contro i civili nello Yemen. Dal peggioramento della difficile situazione dei rohingya nel Myanmar, fino alle uccisioni illegali di massa in Sud Sudan, dal brutale giro di vite sulle voci di dissenso in Turchia e Bahrein, all’aumento dei discorsi d’incitamento all’odio nella gran parte dell’Europa e degli Usa, il mondo nel 2016 è diventato un posto più cupo e più instabile.
Rifugiati e migranti
Nel frattempo, la discrepanza tra ciò che sarebbe necessario fare e le azioni concrete, così come tra la retorica e la realtà, è stata totale e talvolta sconcertante. Questo è stato quanto mai evidente con il fallimento degli stati che hanno partecipato al summit di settembre delle Nazioni Unite su rifugiati e migranti per trovare un accordo per una risposta adeguata alla crisi globale dei rifugiati, che durante l’anno ha assunto dimensioni ancora maggiori e carattere di urgenza.
Mentre i leader mondiali non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della sfida, 75.000 rifugiati rimanevano intrappolati nel deserto, in una terra di nessuno tra la Siria e la Giordania. Il 2016 è stato anche l’Anno dei diritti umani dell’Unione africana ma tre dei suoi stati membri hanno annunciato l’intenzione di ritirarsi dall’Icc, minacciando la possibilità di garantire l’accertamento delle responsabilità per i crimini di diritto internazionale. Nel frattempo, il presidente del Sudan Omar Al Bashir si spostava liberamente e impunemente nel continente, mentre il suo governo utilizzava armi chimiche contro la sua stessa popolazione nel Darfur.
L’elezione di Trump e la retorica dell’odio
Da un punto di vista politico, forse il più importante dei molti eventi destabilizzanti è stata l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Usa. Questa è avvenuta dopo una campagna dominata dalle sue frequenti dichiarazioni controverse, caratterizzate da misoginia e xenofobia, che hanno fatto temere un arretramento delle libertà civili acquisite e l’introduzione di politiche potenzialmente molto dannose per i diritti umani.
La retorica al vetriolo della campagna di Donald Trump incarna una tendenza globale verso politiche sempre più arrabbiate e divisive. In tutto il mondo, leader e politici hanno scommesso il loro futuro potere su un racconto di paura e discordia, addossando agli “altri” le colpe per le lamentele, reali o create ad arte, dell’elettorato.
Il suo predecessore, il presidente Barack Obama, lascia un’eredità che include molti gravi fallimenti nel tutelare i diritti umani, non ultima l’espansione della campagna segreta della Cia di attacchi con droni e lo sviluppo di un’enorme macchina per la sorveglianza di massa, come rivelato dall’informatore Edward Snowden. Ma i primi segnali che arrivano dal presidente eletto Trump suggeriscono una politica estera che indebolirà fortemente la cooperazione multilaterale e che darà inizio a una nuova era di maggiore instabilità e reciproco sospetto.
Ogni lettura complessiva che cerchi di spiegare gli eventi turbolenti dello scorso anno sarebbe probabilmente insufficiente. Ma la realtà è che cominciamo il 2017 in un mondo profondamente insicuro, pieno di ansia e incertezza per il futuro.
La crisi dei diritti umani
In questo scenario, la sicurezza dei valori enunciati dalla Dichiarazione dei diritti umani del 1948 rischia di essere sgretolata. La Dichiarazione, scritta in conseguenza di uno dei periodi più sanguinosi della storia umana, inizia con queste parole: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo…”.
Nonostante le lezioni del passato, nel 2016 il concetto di dignità umana e uguaglianza, che contraddistingue la famiglia umana, è stato attaccato con forza e senza sosta da una potente narrazione dei fatti intrisa di colpa, paura e ricerca di capri espiatori, diffusa da coloro che cercano di arrivare o di restare ancorati al potere, quasi a ogni costo.
Lo spregio di questi ideali è stato ampiamente dimostrato in un anno in cui il bombardamento deliberato degli ospedali è diventato un evento di routine in Siria e Yemen; in cui i rifugiati sono stati rimandati indietro in zone di conflitto; in cui l’inerzia quasi totale del mondo di fronte alla situazione di Aleppo ha richiamato alla mente fallimenti simili avvenuti in Ruanda e Srebrenica, nel 1994 e 1995; in cui governi, in quasi tutte le regioni del mondo, hanno messo in atto imponenti giri di vite per mettere a tacere il dissenso.
Di fronte a tutto questo, è diventato drammaticamente facile dipingere un’immagine distopica del mondo e del suo futuro. La sfida urgente e sempre più difficile da affrontare è far ripartire l’impegno del mondo su questi valori fondanti da cui dipende l’umanità.
La sorveglianza di massa
Tra gli sviluppi più preoccupanti del 2016, ci sono stati i frutti di un nuovo patto di scambio offerto dai governi ai loro cittadini, in base al quale si promette sicurezza e miglioramenti economici, in cambio della rinuncia ai diritti alla partecipazione e alle libertà civili.
Nessuna parte del mondo è stata risparmiata dall’ampio giro di vite sul dissenso, in alcuni luoghi palese e violento, in altri subdolo e coperto da un velo di rispettabilità. Il tentativo di mettere a tacere le voci critiche è aumentato per portata e intensità in gran parte del mondo.
I difensori dell’ambiente
L’uccisione della leader nativa Berta Cáceres, avvenuta in Honduras il 2 marzo, è stata un esempio del pericolo affrontato dalle persone che si sono coraggiosamente opposte a stati potenti e agli interessi delle aziende. Questi audaci difensori dei diritti umani, nelle Americhe e altrove, vengono spesso etichettati dai governi come una minaccia per lo sviluppo economico, a causa dei loro sforzi per mettere in luce le conseguenze sulle persone e sull’ambiente dello sfruttamento delle risorse e dei progetti infrastrutturali. Il lavoro di Berta Cáceres per difendere le comunità locali e la loro terra, recentemente contro un progetto di diga, ha avuto una risonanza globale. Gli uomini armati che l’hanno uccisa nella sua casa hanno mandato un messaggio per spaventare gli altri attivisti, in particolare quelli che non ricevono lo stesso livello di attenzione internazionale.
La questione sicurezza
La questione della sicurezza quale giustificazione per la repressione è stata ampliamente usata in tutto il mondo. In Etiopia, in risposta alle proteste per lo più pacifiche contro l’ingiusta espropriazione della terra nella regione di Oromia, le forze di sicurezza hanno ucciso diverse centinaia di manifestanti e le autorità hanno arrestato arbitrariamente migliaia di persone. Il governo etiope ha usato il suo proclama antiterrorismo per portare avanti l’ampio giro di vite sugli attivisti per i diritti umani, i giornalisti e i membri dell’opposizione politica.
Sulla scia di un tentativo di colpo di stato a luglio, la Turchia ha intensificato la repressione delle voci di dissenso durante lo stato d’emergenza. Circa 90.000 impiegati del settore pubblico sono stati licenziati sulla base di accuse di “legami con un’organizzazione terroristica o minaccia alla sicurezza nazionale”, mentre circa 118 giornalisti sono stati tenuti in detenzione preprocessuale e 184 organi d’informazione sono stati chiusi arbitrariamente a tempo indeterminato.
In tutto il Medio Oriente e l’Africa del Nord, la repressione del dissenso è stata endemica. In Egitto, le forze di sicurezza hanno arrestato arbitrariamente e torturato presunti sostenitori dell’organizzazione, messa al bando, dei Fratelli musulmani, così come persone critiche od oppositori del governo.
Le autorità bahreinite hanno perseguito in modo brutale persone che avevano espresso le loro critiche, con una serie di accuse in materia di sicurezza nazionale. In Iran, le autorità hanno imprigionato dissidenti, censurato tutti i mezzi d’informazione e adottato una nuova legge che di fatto rende perseguibile penalmente ogni critica al governo e alle sue politiche.
In Corea del Nord, il governo ha rafforzato la sua già estrema repressione, stringendo ulteriormente la morsa sulle tecnologie della comunicazione.
Spesso, queste rigide misure sono state semplicemente il tentativo di celare i fallimenti del governo, come in Venezuela, dove le autorità hanno cercato di mettere a tacere le voci critiche piuttosto che affrontare la crisi umanitaria in rapido peggioramento.
Oltre alle minacce e agli attacchi diretti, c’è stato un subdolo tentativo di erosione delle libertà civili e politiche acquisite, in nome della sicurezza. Per esempio, il Regno Unito ha adottato una nuova norma, la legge sui poteri d’indagine, che ha attribuito molti più poteri alle autorità d’intercettare, accedere e trattenere o violare in altro modo le comunicazioni digitali e i dati delle persone, anche in assenza del requisito di ragionevole sospetto. Con l’introduzione di uno dei regimi di sorveglianza di massa più estesi al mondo, il Regno Unito ha di fatto imboccato una strada verso una realtà in cui il diritto alla riservatezza è semplicemente non riconosciuto.
Discriminazione e crimini d’odio
Tuttavia, l’erosione dei valori dei diritti umani ha prodotto effetti anche più dannosi quando le autorità hanno dato ad “altri” la colpa dei problemi sociali, reali o percepiti, per giustificare le loro azioni repressive. Una retorica d’odio, divisiva e disumanizzante, ha liberato gli istinti più cupi della natura umana. Addossando la responsabilità collettiva dei mali economici e sociali a particolari gruppi, spesso minoranze etniche o religiose, chi era al potere ha dato il via libera alla discriminazione e ai crimini d’odio, in particolare in Europa e negli Usa.
Una variante di questa strategia è stata l’escalation della “guerra alla droga” del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, che ha portato a un’enorme perdita di vite umane. La violenza avallata dallo stato e le uccisioni di massa da parte dei vigilantes sono costate la vita a 6.000 persone, a seguito delle ripetute dichiarazioni pubbliche rilasciate dal presidente, che incitavano a uccidere coloro che erano sospettati di essere coinvolti in reati legati alla droga.
Nel momento in cui personalità che si autodefiniscono “contro l’establishment” danno la colpa alle così dette élite, alle istituzioni internazionali e ad “altri” per il malcontento sul piano sociale ed economico, danno un’indicazione sbagliata per la risoluzione dei problemi. Il senso d’insicurezza e di negazione dei diritti, che aumenta a causa di vari fattori come la disoccupazione, l’insicurezza del lavoro, la crescente disuguaglianza e la mancanza di servizi pubblici, deve essere affrontato con impegno, risorse e un cambiamento politico da parte dei governi, non con facili capri espiatori a cui dare la colpa.
È diventato evidente il fatto che molte persone disilluse in tutto il mondo non hanno cercato risposta nei diritti umani. Tuttavia, la disuguaglianza e la diffusione di una rabbia di fondo spesso ignorata e la frustrazione che ne deriva sono nate, almeno in parte, dell’incapacità dei governi di soddisfare i diritti economici, sociali e culturali della popolazione.
Coraggio, resilienza, creatività: come rispondiamo alla crisi dei diritti umani
La storia del 2016 è stata anche la storia del coraggio, della resilienza, della creatività e della determinazione di persone che hanno affrontato sfide immense e minacce.
In ogni regione del mondo ci sono state prove del fatto che, laddove gli apparati del potere sono utilizzati come strumenti di repressione, le persone trovano sempre modi diversi per ribellarsi e farsi sentire. In Cina, nonostante le sistematiche vessazioni e intimidazioni, gli attivisti hanno trovato il modo di sfidare la censura e commemorare online l’anniversario della repressione di piazza Tienanmen del 1989. Ai Giochi olimpici di Rio, il maratoneta Feysa Lilesa ha occupato le prime pagine di tutto il mondo con il suo gesto per attirare l’attenzione sulla persecuzione da parte del governo della popolazione oromo, nel momento in cui tagliava il traguardo per la medaglia d’argento. E sulle coste europee del Mediterraneo, volontari hanno risposto all’inerzia e al fallimento dei governi nel proteggere i rifugiati, trascinando fisicamente fuori dall’acqua persone che stavano annegando. I movimenti popolari sorti in tutta l’Africa, alcuni impensabili anche solo un anno fa, hanno stimolato e raccolto sotto slogan comuni le richieste collettive di diritti e giustizia.
In conclusione, l’accusa che i diritti umani siano un progetto per pochi suona come una falsità. L’istinto delle persone alla libertà e alla giustizia non si esaurisce facilmente. In un anno dominato da divisione e disumanizzazione, le azioni di alcune persone per riaffermare l’umanità e la dignità fondamentale di ogni individuo hanno brillato più che mai. Questa risposta di compassione è stata incarnata dal ventiquattrenne Anas al-Basha, il così detto “clown di Aleppo”, che ha scelto di rimanere nella città per portare conforto e gioia ai bambini, anche dopo che le forze governative avevano scatenato i loro terribili bombardamenti. Dopo la sua morte, avvenuta durante un attacco aereo il 29 novembre, suo fratello gli ha reso omaggio per aver reso felici i bambini “nel posto più tragico e pericoloso” del mondo.
Mentre iniziamo il 2017, il mondo si sente insicuro e impaurito davanti a un futuro tanto incerto. Ma è proprio in questi momenti che abbiamo bisogno di voci coraggiose, di eroi comuni che si oppongano all’ingiustizia e alla repressione. Nessuno può sfidare il mondo intero ma ognuno di noi può cambiare il proprio mondo. Tutti possono prendere posizione contro la disumanizzazione, agendo a livello locale per riconoscere la dignità e i diritti uguali e inalienabili di tutti, gettando così le basi per la libertà e la giustizia nel mondo. Il 2017 ha bisogno di eroi ed eroine dei diritti umani.