Rapporto annuale 2017 – 2018

Europa e Asia Centrale

In tutta la regione dell’Europa e dell’Asia Centrale lo spazio per la società civile ha continuato a ridursi. Nell’Europa Orientale e nell’Asia Centrale è prevalsa una retorica ostile ai diritti umani. Difensori dei diritti umani, attivisti, organi d’informazione e oppositori politici sono stati spesso presi di mira dalle autorità.

In tutta la regione sono stati attaccati i diritti alla libertà d’associazione e di riunione pacifica e il diritto alla libertà d’opinione e d’espressione.

Le proteste pubbliche sono state contrastate con una gamma di misure restrittive e con un uso eccessivo della forza da parte della polizia.

In nome della sicurezza, i governi hanno continuato ad applicare una serie di misure antiterrorismo, che hanno limitato i diritti in modo sproporzionato.

Milioni di persone hanno subìto l’erosione dei loro diritti economici, sociali e culturali, con una diminuzione della tutela sociale e l’aumento delle diseguaglianze e di una discriminazione sistemica.

Gli stati hanno ripetutamente ignorato le loro responsabilità in materia di protezione di rifugiati e migranti.

Donne e ragazze hanno continuato a subire violazioni dei diritti umani e abusi sistemici, tra cui tortura e altri maltrattamenti, e sono state ancora vittime di una diffusa violenza di genere.

La discriminazione e la stigmatizzazione delle minoranze sono rimaste dilaganti e alcuni gruppi hanno subìto molestie e violenze. Alcuni prigionieri di coscienza sono stati rilasciati.

Nel 2017, per la prima volta nei suoi quasi 60 anni di lavoro, il presidente e la direttrice di una sezione di Amnesty International sono diventati essi stessi prigionieri di coscienza. A giugno è stato arrestato Taner Kılıç, presidente di Amnesty International Turchia. A luglio, altri 10 difensori dei diritti umani, noti come i 10 di Istanbul, tra cui Idil Eser, direttrice di Amnesty International Turchia, sono stati arrestati mentre partecipavano a un normale seminario. I 10 di Istanbul e Taner Kılıç sono stati quindi processati per reati legati al terrorismo ma i loro arresti rientravano in uno schema più ampio di repressione contro la società civile, a seguito del fallito colpo di stato del luglio 2016. A fine anno, i 10 di Istanbul sono stati rilasciati in attesa del processo ma Taner Kılıç è rimasto in carcere. Sebbene la pubblica accusa non sia riuscita a fornire prove incriminanti nei loro confronti, il rischio che correvano era grave, poiché dovevano affrontare un processo con accuse assurde, che prevedevano fino a 15 anni di reclusione.

La repressione del dissenso in Turchia è stata parte di una più ampia tendenza alla riduzione dello spazio per la società civile in tutta l’Europa e l’Asia Centrale. I difensori dei diritti umani si sono trovati ad affrontare enormi difficoltà e sono stati attaccati in particolar modo i diritti alla libertà d’associazione e di riunione.

Nell’est è prevalsa una retorica ostile ai diritti umani, che spesso ha portato alla repressione nei confronti dei difensori dei diritti umani, degli oppositori politici, dei movimenti di protesta, degli attivisti anticorruzione e delle minoranze sessuali. Questa retorica si è pian piano fatta strada anche a ovest e ha trovato la sua prima espressione legislativa in Ungheria, con l’adozione di una legge che, a tutti gli effetti, ha stigmatizzato le Ong che ricevevano fondi dall’estero.

Violenti attentati hanno provocato morti e feriti in diversi luoghi, tra cui Barcellona, Bruxelles, Londra, Manchester, Parigi, Stoccolma, San Pietroburgo e varie località della Turchia. In risposta, i governi hanno continuato ad applicare una serie di misure antiterrorismo che hanno limitato in modo sproporzionato i diritti delle persone, in nome della sicurezza.

Milioni di persone hanno subìto l’erosione dei diritti economici, sociali e culturali. Ciò ha portato alla diminuzione della tutela sociale e ha aggravato la disuguaglianza e la discriminazione sistemica in molti paesi. Tra le persone più colpite dagli accresciuti livelli di povertà c’erano donne, minori, lavoratori giovani o sottopagati, persone con disabilità, migranti e richiedenti asilo, minoranze etniche, persone single e pensionati.

In tutta la regione, i governi hanno ripetutamente ignorato le loro responsabilità in materia di protezione di rifugiati e migranti. Nella seconda metà dell’anno, il numero di arrivi irregolari di rifugiati e migranti nell’Eu è diminuito sensibilmente, in gran parte in conseguenza di accordi di cooperazione con le autorità libiche, coi quali i governi dell’Eu hanno fatto finta di non vedere o hanno addirittura contribuito a perpetrare gli abusi subiti da chi era intrappolato nel paese. Coloro che sono riusciti ad arrivare nell’Eu hanno affrontato un rischio sempre maggiore di rimpatrio forzato in paesi come l’Afghanistan, in cui la loro vita o la loro libertà erano a rischio.

Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Russia ha usato il suo potere di veto per la nona volta, per proteggere il governo siriano dalle conseguenze dei suoi crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il ricorso abituale al veto da parte della Russia è diventato il simbolo dell’acquiescenza per i crimini di guerra, che ha permesso a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Siria di agire nell’impunità, mentre i civili hanno pagato il prezzo più alto.

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Nell’Europa Orientale e in Asia Centrale, la società civile ha subìto una serie di vessazioni e restrizioni. In Bielorussia e Russia, decine di persone sono state incarcerate per il loro attivismo pacifico e sono divenute prigioniere di coscienza, nel contesto di continue limitazioni legislative all’informazione, alle Ong e alle riunioni pubbliche.
Il deterioramento del rispetto per la libertà d’opinione e d’espressione in Tagikistan si è ulteriormente consolidato, quando le autorità hanno imposto limitazioni indiscriminate per mettere a tacere le voci critiche. La polizia e i servizi di sicurezza hanno intimidito e vessato giornalisti. Avvocati per i diritti umani hanno affrontato arresti arbitrari, azioni giudiziarie motivate politicamente, dure condanne alla reclusione e vessazioni.
In Kazakistan, giornalisti e attivisti hanno subìto azioni giudiziarie motivate politicamente e aggressioni. Avendo già quasi eliminato tutti gli organi d’informazione indipendenti, le autorità hanno usato metodi sempre più elaborati e aggressivi per mettere a tacere le voci di dissenso su Internet e sui social network. In Azerbaigian è stata condotta una campagna informatica mirata contro le persone che avevano espresso critiche verso le autorità.
Il governo uzbeko ha sorvegliato illegalmente i propri cittadini in patria e all’estero, rafforzando un ambiente ostile per giornalisti e attivisti e promuovendo un clima di paura per i cittadini uzbeki in Europa. Difensori dei diritti umani e giornalisti hanno continuato a essere convocati per interrogatori alle stazioni di polizia, posti agli arresti domiciliari e picchiati dalle autorità.
In Crimea, le autorità de facto hanno continuato a reprimere le opinioni di dissenso. I leader della comunità dei tatari di Crimea, che hanno contestato l’occupazione russa e l’annessione illegale della penisola, hanno affrontato l’esilio o la prigione.
La Turchia ha continuato a detenere decine di migliaia di persone percepite come critiche verso il governo, all’indomani del tentato colpo di stato del 2016. Le critiche verso l’operato del governo sono in gran parte scomparse dagli organi d’informazione tradizionali. Più di 100 giornalisti, un numero superiore a qualsiasi altro paese, sono rimasti a languire in prigione, molti per mesi e mesi, con accuse pretestuose.
I principali sviluppi positivi in Europa Orientale e in Asia Centrale sono stati il rilascio di prigionieri di coscienza e di altri detenuti a lungo termine, in particolare in Uzbekistan. Anche in Azerbaigian sono stati liberati alcuni prigionieri di coscienza; tuttavia, nuovi prigionieri hanno preso il loro posto, a causa dell’incessante politica di repressione. In Russia, il prigioniero di coscienza Il’dar Dadin, la prima e finora l’unica persona imprigionata in base a una recente legge che punisce la reiterata violazione delle restrizioni draconiane imposte alle assemblee pubbliche, è stato rilasciato e prosciolto dalle accuse in seguito a una sentenza della Corte costituzionale.

LEGGI RESTRITTIVE

In tutta l’Europa e l’Asia Centrale sono state approvate leggi restrittive. Traendo ispirazione da una legislazione simile introdotta in Russia nel 2012, l’Ungheria ha adottato una legge sulla trasparenza delle organizzazioni finanziate dall’estero, che ha costretto le Ong che ricevevano dall’estero somme superiori ai 24.000 euro di finanziamenti diretti o indiretti a registrarsi nuovamente come “organizzazione civica finanziata dall’estero” e ad apporre questa dicitura su ogni loro pubblicazione. L’adozione della legge è stata accompagnata da una retorica governativa altamente stigmatizzante. Una legislazione simile è stata presentata in Ucraina e in Moldova; ma il progetto di legge è stato ritirato in Moldova a causa delle obiezioni della società civile e delle organizzazioni internazionali.
A novembre, ci sono state proteste in tutta la Polonia, dopo che il parlamento aveva votato due modifiche legislative che minacciavano l’indipendenza della magistratura e mettevano a rischio il diritto a un processo equo e altri diritti. A luglio, il presidente Andrzej Duda aveva posto il veto alle modifiche, che però erano state riformulate e ripresentate al parlamento a settembre.

LIBERTÀ D’ASSOCIAZIONE E RIUNIONE

Nell’Europa Orientale e in Asia Centrale, le autorità hanno messo in atto un giro di vite sulle manifestazioni pacifiche. In Russia, durante le massicce proteste contro la corruzione che si sono tenute a marzo in tutto il paese, la polizia ha fatto uso eccessivo della forza e ha arrestato centinaia di manifestanti in gran parte pacifici nella capitale Mosca e oltre un migliaio in tutto il paese, compreso il leader dell’opposizione Aleksej Naval’nyj. A giugno, centinaia di persone sono state nuovamente arrestate e maltrattate durante le proteste anticorruzione che si sono tenute in tutto il paese e nelle manifestazioni organizzate per il 7 ottobre, giorno del compleanno del presidente Vladimir Putin.
In Kazakistan è rimasto un reato organizzare o partecipare a una manifestazione pacifica senza la preventiva autorizzazione delle autorità. La polizia del Kirghizistan ha interrotto una manifestazione pacifica nella capitale Biškek, organizzata per protestare contro il deterioramento della libertà d’espressione, e ha arrestato diversi partecipanti. Le autorità bielorusse hanno represso con violenza le manifestazioni di protesta di massa contro una tassa sui disoccupati.
In Polonia, la modifica discriminatoria di una legge ha portato al divieto di alcune manifestazioni e ha favorito le assemblee filogovernative. Le persone che partecipavano alle proteste contro le politiche del governo sono state perseguite, vessate da agenti della forza pubblica e da oppositori politici ed è stato loro impedito di esercitare il diritto alla libertà di riunione pacifica.
In diversi paesi dell’Europa Occidentale, le proteste pubbliche sono state affrontate con una serie di misure restrittive e di abusi. In Germania, Francia, Polonia e Spagna, i governi hanno risposto alle assemblee pubbliche contro le politiche restrittive o le violazioni dei diritti umani con la chiusura di spazi pubblici, l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, il contenimento di manifestanti pacifici (noto come “kettling”), la sorveglianza e la minaccia di sanzioni amministrative e penali. Il governo francese ha continuato a ricorrere a misure d’emergenza per vietare assemblee pubbliche e a limitare la libertà di movimento per impedire alle persone di partecipare alle manifestazioni.
A ottobre, le forze di sicurezza spagnole, a cui era stato ordinato d’impedire lo svolgimento del referendum sull’indipendenza catalana, hanno fatto uso non necessario e sproporzionato della forza contro i manifestanti, ferendone centinaia. Sono state fornite prove che la polizia aveva picchiato manifestanti pacifici.

CONTROTERRORISMO E SICUREZZA

Nell’Europa Occidentale hanno continuato a essere frettolosamente approvate una serie di leggi antiterrorismo, sproporzionate e discriminatorie. A marzo, l’adozione della direttiva dell’Eu sulla lotta al terrorismo è sembrata destinata a provocare una proliferazione di tali misure nel 2018, quando gli stati membri recepiranno la direttiva nel diritto interno.
Il ricorso a definizioni generiche di terrorismo nel diritto e l’errata applicazione delle leggi antiterrorismo nei confronti di un vasto gruppo di persone, tra cui difensori dei diritti umani, attivisti per l’ambiente, rifugiati, migranti e giornalisti, sono proseguiti, in particolare in Turchia, ma anche in tutta l’Europa Occidentale. Leggi formulate in modo vago che punivano l’esaltazione o l’apologia del terrorismo sono state utilizzate per perseguire attivisti e gruppi della società civile per le opinioni espresse su Internet e sui social network, anche in Francia, Regno Unito e Spagna.
Lo stato d’emergenza in Francia è terminato a novembre dopo quasi due anni. A ottobre, la Francia ha adottato una nuova legge antiterrorismo che ha incluso nel diritto comune molte delle misure previste dal regime d’emergenza.
Invece d’indagare e perseguire i presunti responsabili di attacchi violenti, molti stati hanno attuato misure di controllo amministrativo che hanno limitato i diritti di tutti e frequentemente le hanno applicate sulla base di ragioni vaghe, spesso legate a un credo o a un gruppo religioso. La detenzione senza accusa né processo è stata proposta in diversi paesi, tra cui Francia, Paesi Bassi e Svizzera e introdotta nello stato tedesco della Baviera.
Molti stati membri dell’Eu hanno anche tentato di collegare la crisi dei rifugiati alle minacce connesse al terrorismo. Anche se la condanna per false accuse di terrorismo, emessa da un tribunale ungherese nei confronti di Ahmed H, un siriano residente a Cipro, è stata annullata; egli è rimasto in detenzione mentre si svolgeva un nuovo processo, che a fine anno era ancora in corso. L’uomo era stato condannato per un “atto di terrore”, per aver lanciato pietre e aver parlato a una folla con un megafono, durante scontri con la polizia di frontiera.
Un certo numero di stati in Europa e in Asia Centrale hanno intensificato la loro attenzione sulle attività online, percepite come un potenziale canale per azioni legate al terrorismo o “estremiste”. Il Regno Unito ha proposto di rendere reato la visione ripetuta di contenuti online “legati al terrorismo”, con una pena massima di 15 anni di carcere. Misure analoghe esistevano già in Francia, dove sono state giudicate incostituzionali.
Nell’Europa Orientale e in Asia Centrale, le risposte dei governi alle minacce reali e percepite poste dal terrorismo e dall’estremismo hanno seguito un modello fin troppo familiare. Estradizioni e rendition di sospettati verso luoghi in cui erano a rischio di tortura e altri maltrattamenti sono state frequenti e frettolose, con il rimpatrio forzato di persone in violazione del diritto internazionale. Nella regione russa del Caucaso settentrionale, nel contesto di operazioni di sicurezza, sono state segnalate sparizioni forzate, detenzioni illegali, tortura e altri maltrattamenti di detenuti ed esecuzioni extragiudiziali. Nella Crimea occupata dalla Russia, le autorità de facto hanno perseguito tutte le forme di dissenso e hanno continuato a prendere arbitrariamente di mira la comunità tatara di Crimea, in base alle leggi contro l’estremismo e il terrorismo.

RIFUGIATI E MIGRANTI

Nel corso del 2017 sono arrivati per mare in Europa 171.332 rifugiati e migranti, un dato in calo rispetto ai 362.753 del 2016. La diminuzione era dovuta principalmente alla cooperazione degli stati dell’Eu con la Libia e la Turchia. Almeno 3.119 persone sono morte nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo per giungere in Europa. Gli stati dell’Eu hanno intensificato i loro sforzi per impedire l’ingresso irregolare e aumentare i rimpatri, anche attraverso politiche che hanno esposto i migranti e coloro che avevano bisogno di protezione a maltrattamenti, tortura e altri abusi nei paesi di transito e d’origine.
Usando gli aiuti, il commercio e altre leve, i governi europei hanno incoraggiato e sostenuto i paesi di transito, anche quelli in cui sono state documentate violazioni diffuse e sistematiche nei confronti di rifugiati e migranti, affinché attuassero misure più severe di controllo alle frontiere, senza adeguate garanzie per i diritti umani. Queste politiche hanno intrappolato migliaia di rifugiati e migranti in paesi in cui non avevano una protezione adeguata e in cui sono stati esposti a gravi violazioni dei diritti umani.
Le Ong, che nella prima metà del 2017 hanno effettuato più salvataggi nel Mediterraneo centrale rispetto a tutti gli altri, sono state screditate e attaccate da commentatori pubblici e politici e hanno subìto limitazioni alle loro attività, con un nuovo codice di condotta imposto dalle autorità italiane.
La Russia ha continuato a rimandare richiedenti asilo e rifugiati in paesi in cui erano a rischio di tortura e altri maltrattamenti, così come hanno fatto altri paesi dell’Europa e dell’Asia Centrale.

Collaborazione europea con la Libia

Poiché la maggior parte dei rifugiati e dei migranti che attraversavano il mare verso l’Europa s’imbarcava in Libia, l’Eu e i governi europei, con l’Italia in prima linea, hanno cercato di chiudere questa strada, cooperando con la guardia costiera libica e altri attori nel paese. Hanno stipulato una serie di accordi di cooperazione con le autorità libiche responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, in particolare la guardia costiera libica e la direzione generale libica per la lotta alla migrazione illegale.
L’Italia e altri governi non sono riusciti a includere garanzie fondamentali per i diritti umani in questi accordi e hanno chiuso un occhio sugli abusi, tra cui torture ed estorsioni, ai danni di rifugiati e migranti, commessi proprio dalle istituzioni con cui stavano cooperando. Le azioni dei paesi dell’Eu hanno portato a un aumento del numero di persone fermate o intercettate. Così facendo, i governi europei, e in particolare l’Italia, hanno violato i loro obblighi internazionali e sono divenuti complici delle violazioni commesse dalle autorità libiche, che stavano finanziando e con cui stavano cooperando.

Accordo sull’immigrazione tra Eu e Turchia, condizioni in Grecia

L’accordo sull’immigrazione tra Eu e Turchia del marzo 2016 è rimasto in vigore e ha continuato a limitare l’accesso al territorio e all’asilo nell’Eu. L’accordo mirava a rimandare i richiedenti asilo in Turchia, con il pretesto che fosse un “paese sicuro” di transito. I leader europei hanno continuato a fingere che questa fornisse una protezione equivalente a quella dell’Eu, anche se la Turchia era diventata un luogo ancora più pericoloso per i rifugiati dopo il tentato colpo di stato del 2016. La cancellazione delle garanzie procedurali, dovuta allo stato d’emergenza vigente in Turchia, ha posto i rifugiati a rischio elevato di refoulement, il ritorno forzato in paesi in cui erano a rischio di gravi violazioni dei diritti umani.
Nel corso del 2017, questo accordo ha lasciato migliaia di persone in condizioni di vita squallide, in luoghi sovraffollati e pericolosi nelle isole greche, trasformate di fatto in gabbie per la detenzione, e le ha condannate a lunghe procedure per la determinazione dell’asilo. Migranti e richiedenti asilo hanno atteso lì per mesi che le loro domande di asilo fossero esaminate. Alcuni sono stati vittime di crimini d’odio violenti. Rispetto al 2016, gli arrivi sulle isole greche sono diminuiti drasticamente, principalmente a causa dell’accordo, ma un relativo aumento degli arrivi durante l’estate ha messo ancora una volta a dura prova la loro già insufficiente capacità di ricezione. A dicembre, circa 13.000 richiedenti asilo rimanevano in un limbo, bloccati sulle isole.
Nel frattempo, le condizioni di accoglienza, sia nelle isole sia nella Grecia continentale, hanno continuato a essere inadeguate, con molte persone ancora costrette a dormire in tende inadatte alla stagione invernale e con donne e ragazze particolarmente esposte a vari pericoli nei campi.
A settembre, la più alta corte amministrativa della Grecia ha aperto la strada ai rimpatri forzati di richiedenti asilo siriani secondo l’accordo sull’immigrazione tra Eu e Turchia, grazie alla convalida di decisioni delle autorità greche competenti sull’asilo che hanno ritenuto la Turchia sicura per due cittadini siriani.

Programmi di ricollocazione

La solidarietà con i paesi di frontiera che hanno sostenuto la maggior parte degli arrivi è stata scarsa. I paesi europei non hanno ricollocato il numero promesso di richiedenti asilo provenienti dalla Grecia e dall’Italia, secondo il programma di ricollocazione d’emergenza adottato a settembre 2015. A novembre, gli stati europei avevano mantenuto solo il 32 per cento dei loro impegni. A fine anno, 21.703 richiedenti asilo dei 66.400 previsti dal programma erano stati ricollocati dalla Grecia e 11.464 dei circa 35.000 che avrebbero dovuto essere trasferiti dall’Italia.
Polonia e Ungheria sono stati tra i paesi che hanno rispettato di meno gli impegni assunti: entrambe si sono rifiutate di accogliere anche un solo richiedente asilo dall’Italia e dalla Grecia.
La Corte di giustizia europea ha respinto il reclamo della Slovacchia e dell’Ungheria contro il programma obbligatorio di ricollocazione dei rifugiati. La Commissione europea ha inoltre avviato procedure d’infrazione contro la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca per non aver rispettato i loro obblighi di ricollocazione.

Riduzione dell’accesso all’asilo e respingimenti

L’Ungheria ha toccato il fondo, approvando una legge che consentiva di respingere tutte le persone che si trovavano irregolarmente nel paese e introducendo la detenzione automatica dei richiedenti asilo, in palese violazione delle leggi dell’Eu. Le autorità hanno rinchiuso in container i richiedenti asilo che arrivavano ai confini. La sistematica violazione da parte dell’Ungheria dei diritti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti ha incluso anche una rigorosa restrizione all’accesso al paese, limitando l’ammissione a due “zone di transito” frontaliere operative, in cui potevano essere presentate solo 10 nuove domande d’asilo per ogni giorno lavorativo. Ciò ha costretto migliaia di persone a vivere in campi al di sotto degli standard in Serbia, a rischio di restare senza tetto e di essere rimandate forzatamente più a sud, verso la Macedonia e la Bulgaria.
Abusi e respingimenti sono proseguiti alle frontiere esterne dell’Eu, da Bulgaria, Grecia, Spagna e Polonia. Il governo polacco ha proposto una legge per legalizzare i respingimenti, una pratica regolarmente adottata al confine con la Bielorussia. Con una sentenza storica, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Spagna per aver violato il divieto di espulsioni di massa e il diritto a un rimedio effettivo, nel caso di due migranti che erano stati sommariamente rimandati in Marocco dall’enclave spagnola di Melilla.
La Slovenia ha adottato alcune modifiche di legge, in base alle quali potrebbe negare l’ingresso alle persone che arrivano ai suoi confini ed espellere automaticamente migranti e rifugiati entrati irregolarmente, senza valutare le loro richieste di asilo.

Rimpatri forzati

Anche gli stati membri dell’Eu hanno continuato a fare pressione su altri governi perché accettassero le riammissioni, in alcuni casi senza includere adeguate garanzie contro il refoulement.
Nel periodo in cui le uccisioni di civili in Afghanistan erano quasi ai massimi livelli registrati, i governi europei hanno costretto un numero crescente di richiedenti asilo afgani a ritornare ai pericoli dai quali erano fuggiti. I rimpatri forzati in Afghanistan sono stati effettuati da vari paesi, tra cui Austria, Paesi Bassi e Norvegia.

Impunità e accertamento delle responsabilità nell’ex Jugoslavia

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia ha emesso il suo ultimo verdetto il 29 novembre, ponendo fine a 23 anni di sforzi, in gran parte riusciti, per chiamare a rispondere i responsabili di crimini di guerra. Sempre a novembre, il tribunale ha condannato all’ergastolo il leader di guerra serbo-bosniaco Ratko Mladić, per crimini di diritto internazionale, tra cui genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
A livello nazionale, con l’eccezione della Bosnia ed Erzegovina, in cui sono stati compiuti alcuni modesti progressi, l’impunità è rimasta la norma; i tribunali hanno continuato a disporre di capacità e risorse limitate e si sono trovati di fronte a un’indebita pressione politica. I pubblici ministeri di tutta la regione non hanno avuto il sostegno dell’esecutivo e il loro lavoro è stato compromesso da un clima di retorica nazionalista e dalla mancanza d’impegno politico in favore di una cooperazione regionale duratura.
A fine anno, le autorità non avevano compiuto progressi per stabilire il destino di oltre 11.500 persone scomparse durante i conflitti armati nei Balcani. Le vittime di sparizione forzata e le loro famiglie hanno continuato a vedersi negato l’accesso alla giustizia, alla verità e alla riparazione. In diversi paesi, hanno continuato a essere apportati miglioramenti solo teorici alle leggi che regolano il risarcimento per le vittime della violenza sessuale in tempo di guerra.

DISCRIMINAZIONE

Il pretesto dei “valori tradizionali” in Europa Orientale e Asia Centrale

In tutta l’Europa Orientale e l’Asia Centrale, i governi hanno continuato a sostenere la repressione e la discriminazione, promuovendo e invocando sempre più spesso un’interpretazione discriminatoria dei cosiddetti “valori tradizionali”, che altro non erano se non interpretazioni selettive, xenofobe, misogine e omofobe dei valori culturali. In Tagikistan, questa retorica e la sua applicazione sono state usate per punire le comunità Lgbti per comportamenti “amorali” e per far osservare “norme” su abbigliamento, lingua e religione, in particolare riguardanti donne e minoranze religiose, anche attraverso nuove leggi. In Kazakistan e in Russia è progressivamente cresciuto il numero di procedimenti penali e altre vessazioni nei confronti di minoranze religiose, per motivi arbitrari, secondo la legislazione “antiestremismo”. La suddetta interpretazione dei “valori tradizionali” ha raggiunto una dimensione spaventosa con le torture segrete e l’uccisione di omosessuali in Cecenia da parte delle autorità.

DIRITTI DELLE DONNE

A seguito delle accuse di molestie sessuali contro il produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein e altri nel settore dello spettacolo, milioni di donne in tutto il mondo hanno utilizzato online l’hashtag #MeToo, per rompere il silenzio sulle loro esperienze in quanto sopravvissute alla violenza sessuale. Questa è diventata la parola d’ordine per contrastare la colpevolizzazione della vittima e per chiamare a rispondere i responsabili. Nel corso dell’anno, movimenti femminili e femministi hanno mobilitato migliaia di persone, in particolare durante le marce delle donne che si sono tenute a gennaio in tutta Europa e le proteste del “lunedì nero” in Polonia, che sono riuscite a indurre il governo a non limitare ulteriormente l’accesso all’aborto sicuro e legale. Eppure, in tutta l’Europa e l’Asia Centrale, donne e ragazze hanno continuato a subire violazioni sistematiche e abusi dei diritti umani, tra cui tortura e altri maltrattamenti, negazione del diritto alla salute e alla libertà di decidere del loro corpo, mancanza di pari opportunità e diffusa violenza di genere.
L’accesso all’aborto è rimasto un reato nella maggior parte delle circostanze in Irlanda e nell’Irlanda del Nord ed è stato di fatto gravemente limitato. In Polonia sono rimaste le barriere sistemiche nell’accesso all’aborto sicuro e legale. L’aborto è rimasto vietato in tutte le circostanze a Malta.
L’Eu e la Moldova hanno firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Questa è stata ratificata da Cipro, Estonia, Georgia, Germania, Norvegia e Svizzera, portando a 28 il numero totale di ratifiche. L’Ucraina ha sottoscritto la Convenzione nel 2011 ma non l’ha ancora ratificata.
Nonostante le crescenti tutele legislative, la violenza di genere contro le donne è rimasta dilagante anche in Albania, Croazia e Romania. In Russia, con il pretesto del rispetto dei cosiddetti “valori tradizionali” e senza ricevere molte critiche dall’opinione pubblica, il parlamento ha adottato una legge che depenalizzava alcune forme di violenza domestica e il presidente Putin l’ha promulgata. In Norvegia e Svezia, la violenza di genere, compresa la violenza sessuale, è rimasta un problema grave, che non ha ottenuto risposte adeguate da parte delle autorità.

DIRITTI DELLE MINORANZE

La discriminazione e la stigmatizzazione delle minoranze sono rimaste molto diffuse in tutta l’Europa e l’Asia Centrale e diversi gruppi hanno subìto vessazioni e violenze e incontrato ostacoli alla loro partecipazione attiva alla società.
In Slovacchia è rimasta diffusa la discriminazione contro i rom. La Commissione europea ha proseguito una procedura d’infrazione contro Slovacchia e Ungheria per la discriminazione sistematica e la segregazione degli alunni rom nelle scuole. Campi segregati, discriminazione nell’accesso alle case popolari e sgomberi forzati sono rimasti una realtà quotidiana per migliaia dei 170.000 rom che, secondo le stime, vivono in Italia, di cui circa 40.000 in pessime condizioni nei campi. La Commissione europea non ha ancora intrapreso azioni efficaci per porre fine alla discriminazione nei confronti dei rom.
I musulmani hanno subìto discriminazioni, in particolare nell’ambito della ricerca di lavoro, sui luoghi di lavoro e nell’accesso a servizi pubblici o privati, quali istruzione e assistenza sanitaria.
In Austria, una nuova legge ha introdotto il divieto d’indossare qualsiasi tipo di velo integrale nei luoghi pubblici, limitando in modo sproporzionato i diritti alla libertà d’espressione e di religione o credo. Le autorità del Tagikistan hanno costretto migliaia di donne a togliere il velo islamico (hijab) nei luoghi pubblici, per conformarsi alla legge sulle tradizioni.

DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Nell’est, le persone Lgbti hanno subìto crescenti abusi e discriminazioni, tra cui violenze, arresti arbitrari e detenzioni. In Azerbaigian, oltre 100 persone Lgbti sono state arbitrariamente arrestate in un solo giorno nella capitale Baku. In Uzbekistan e Turkmenistan, i rapporti sessuali consensuali tra uomini sono rimasti un reato punibile con la reclusione. La nuova costituzione della Georgia ha ristretto la definizione di matrimonio per escludere le coppie omosessuali. Il parlamento della Lituania ha adottato una legislazione discriminatoria nei confronti delle persone Lgbti. In Russia, la “legge sulla propaganda omosessuale” ha continuato a essere applicata, nonostante sia stata dichiarata discriminatoria dalla Corte europea dei diritti umani.
Ad aprile è emerso che le autorità cecene stavano detenendo in segreto e arbitrariamente, torturando e uccidendo uomini omosessuali. In risposta alle proteste internazionali, le autorità locali hanno affermato che in Cecenia non esistevano uomini omosessuali, mentre le autorità federali non hanno condotto un’indagine efficace.
Ci sono stati anche sviluppi positivi ed esempi di coraggio e solidarietà umana. La Rete Lgbt russa ha istituito un numero verde e facilitato l’allontanamento per ragioni di sicurezza delle persone Lgbti dalla Cecenia e da altre parti del Caucaso settentrionale. In Ucraina si è svolta la più grande manifestazione di sempre del Pride. Il parlamento di Malta ha approvato la legislazione sul matrimonio omosessuale e ha esteso i pieni diritti matrimoniali alle coppie dello stesso sesso. La Germania ha concesso a tutti i diritti di matrimonio, indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale, e pari diritti nell’adozione per tutte le persone sposate.

Persone transgender e persone con variazioni dei caratteri sessuali

Le persone transgender in Europa e Asia Centrale hanno dovuto affrontare ostacoli per ottenere il riconoscimento legale della loro identità di genere. Minori e adulti con variazioni dei caratteri sessuali hanno continuato a subire violazioni dei diritti umani, perpetrate nel corso d’interventi medici non urgenti, invasivi e irreversibili, che spesso hanno avuto conseguenze dannose sulla salute fisica e psicologica, specialmente per i bambini. Per ottenere la riattribuzione del genere, le persone transgender dovevano sottoporsi a sterilizzazione in 18 paesi europei e ricevere una diagnosi sulla salute mentale in 35 paesi.
Ci sono stati progressi in Belgio e in Grecia, i due paesi europei che più recentemente hanno abolito i requisiti di sterilizzazione e diagnosi sulla salute mentale, anche se le riforme in materia di riconoscimento legale del genere in entrambi i paesi non hanno ancora istituito una procedura amministrativa rapida, trasparente e accessibile.

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