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Lunedì 9 luglio 2018 il governo della Turchia ha revocato lo stato di emergenza in vigore nel paese da quasi due anni, dopo il tentato golpe.
La revoca dello stato di emergenza era stata anticipata dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan durante la recente campagna elettorale per il voto del 24 giugno.
Lo stato di emergenza era stato dichiarato il 21 luglio 2016 in diretta televisiva dallo stesso Erdogan, dopo il fallito tentativo di colpo di stato della notte tra il 15 e il 16 luglio.
“La fine di due anni di stato d’emergenza è un passo nella giusta direzione che dev’essere però accompagnato da misure urgenti per evitare che si tratti unicamente di una mossa cosmetica”, ha dichiarato Fotis Filippou, vicedirettore di Amnesty International per l’Europa, commentando la notizia che lo stato d’emergenza non verrà ulteriormente rinnovato alla sua scadenza odierna.
“Negli ultimi due anni in Turchia abbiamo assistito a una radicale trasformazione: misure d’emergenza sono state usate per consolidare poteri autoritari, ridurre al silenzio voci critiche e negare diritti fondamentali. Molte di queste misure rimarranno in vigore anche dopo la fine dello stato d’emergenza”, ha sottolineato Filippou.
“Centinaia di giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti, compreso il presidente onorario di Amnesty International Turchia Taner Kılıç, sono finiti in carcere solo per aver svolto il loro lavoro”, ha aggiunto Filippou.
In base all’articolo 120 della Costituzione turca, il provvedimento può essere introdotto, in caso di diffusi atti di violenza volti alla destrutturazione dell’ordine democratico, per un periodo non superiore ai sei mesi.
Da allora lo stato di emergenza è stato prorogato più volte, l’ultima lo scorso marzo.
“Decine di migliaia di persone sono state imprigionate grazie a un potere giudiziario che manca della minima indipendenza e che manda dietro le sbarre reali o presunte voci critiche senza alcuna prova che abbiano effettivamente commesso reati. Organizzazioni non governative e mezzi d’informazione sono stati chiusi e oltre 130.000 lavoratori del settore pubblico sono stati arbitrariamente licenziati”, ha proseguito Filippou.
“La fine dello stato d’emergenza, da sola, non interromperà l’attuale giro di vite. Ciò che occorre è un’azione sistematica per ripristinare il rispetto dei diritti umani, consentire alla società civile di riprendere a svolgere le sue attività e porre fine al soffocante clima di paura che ha circondato la Turchia”, ha concluso Filippou.
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