Nicaragua: strategia repressiva letale contro i manifestanti

30 Maggio 2018

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Le autorità nicaraguensi hanno sottoposto la popolazione a un assalto crudele, sistematico e spesso letale al diritto alla vita, al diritto alla libertà d’espressione e a quello di manifestare pacificamente. Il governo del presidente Ortega sta vergognosamente cercando di nascondere queste atrocità, violando il diritto delle vittime alla verità, alla giustizia e alla riparazione“.

Sono le parole di Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe, che commenta le violente repressioni ai danni di molti manifestanti avvenute in Nicaragua a partire da Aprile 2018.

Le manifestazioni, guidate prevalentemente dagli studenti, sono iniziate il 18 aprile a seguito di una riforma che ha aumentato il contributo sociale dei dipendenti e dei datori di lavoro e tagliato le pensioni.

Al 28 maggio, almeno 81 persone sono state uccise, 868 ferite e 438 arrestate.

Nel rapporto intitolato “Sparare per uccidere. La strategia per sopprimere le proteste in Nicaragua”, abbiamo documentato l’uso di armi letali da parte della polizia, l’ampio numero di manifestanti feriti a colpi di arma da fuoco, così come le traiettorie dei proiettili, l’elevata incidenza dei colpi sparati a testa, collo e petto e, infine, l’apparente tentativo di ostacolare la giustizia e nascondere la natura delle uccisioni.

Abbiamo ragione di credere che vi sia una forte probabilità che la polizia e i gruppi armati filo-governativi abbiano commesso molte esecuzioni extragiudiziali.

La strategia repressiva pare diretta dai più alti livelli governativi.

Il presidente Ortega e la vicepresidente Murillo hanno ripetutamente demonizzato i manifestanti e negato che ci fossero stati dei morti. Dal canto loro, funzionari dello stato hanno negato assistenza medica alle vittime, hanno manomesso prove e hanno rifiutato di svolgere autopsie e altri accertamenti medico-legali.

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Strategia repressiva letale: i fatti

Inizialmente la polizia ha impiegato proiettili di gomma. Ma già il 19 aprile ci sono stati diversi manifestanti assassinati. Ortega avrebbe potuto ordinare la fine della repressione quel giorno stesso, ma non l’ha fatto. Così, da allora, la polizia ha usato proiettili veri. L’ordine era quello di uccidere”, ci ha spiegato Vilma Núñez, direttrice del Centro nicaraguense per i diritti umani.

Il 20 aprile, i due manifestanti Juan Carlos López e Nelson Tellez sono stati colpiti al petto a Ciudad Sandino, mentre era in corso una protesta. Juan Carlos è deceduto in ospedale il giorno stesso, Nelson il 2 maggio.

Prima di morire, Nelson ha confidato alla moglie di aver riconosciuto l’uomo che aveva sparato a entrambi: un agente della polizia nazionale di stanza a Ciudad Sandino, che però quel giorno era in borghese.

L’uso di gruppi armati filo-governativi, chiamati anche “masse sandiniste”, ha avuto un ruolo fondamentale nella soppressione delle proteste: a loro le autorità hanno permesso di aggredire manifestanti, incitare alla violenza e diffondere la paura nella popolazione, rafforzando in questo modo la risposta repressiva dello stato e mettendolo maggiormente in grado di negare ogni responsabilità.

Il modo, privo di rimorsi, con cui le autorità hanno trattato le vittime e i loro familiari la dice lunga sul disprezzo provato verso chi ha osato sfidarle. Ma nonostante il crudele e calcolato tentativo del governo di sopprimere il dissenso, la coraggiosa popolazione del Nicaragua ha dimostrato che non si farà ridurre al silenzio“, ha commentato Guevara-Rosas.

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Strategia repressiva letale: la complicità degli istituti pubblici

Abbiamo verificato come nelle prime settimane della crisi, le autorità abbiano violato il diritto dell’opinione pubblica all’accesso all’informazione, impedendo la messa in onda dei servizi di quattro reti televisive dedicati alle proteste.

La redazione di una radio è stata data alle fiamme, oltre 10 giornalisti sono stati derubati, minacciati o aggrediti e uno di loro, Ángel Gahona, è stato ucciso mentre faceva una diretta su Facebook dalla città di Bluefields.

I nostri ricercatori hanno visitato il Nicaragua dal 2 al 13 maggio per indagare sulle denunce di violazioni dei diritti umani nelle città di Managua, León, Ciudad Sandino ed Estelí.

Abbiamo ottenuto oltre 30 interviste approfondite sull’analisi di 16 casi (tra cui nove uccisioni), sull’esame di fotografie e video e sul contributo di esperti nel campo delle armi da fuoco e delle munizioni.

Il 20 aprile, almeno tre ospedali pubblici hanno rifiutato di prestare cure mediche a persone che erano state ferite in modo grave durante le proteste, compreso il 15enne Álvaro Conrado, colpito mentre forniva acqua ai manifestanti. Il personale di sicurezza dell’ospedale Cruz Azul ha vietato l’ingresso al ragazzo, che è morto il giorno dopo nella clinica privata Bautista.

Il personale sanitario di questo centro ha dichiarato che il ragazzo avrebbe potuto sopravvivere se gli fossero state prestate immediate cure mediche.

Abbiamo inoltre documentato svariati casi in cui le autorità hanno impedito di effettuare autopsie sui corpi di manifestanti uccisi e hanno subordinato la consegna delle salme ai familiari a una dichiarazione, da parte di questi ultimi, che non avrebbero presentato denunce.

Molti familiari delle vittime hanno dichiarato di essere stati minacciati e intimiditi dalla polizia per dissuaderli dal parlare in pubblico o sollecitare l’incriminazione dei responsabili.

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Gli scontri ripresi durante una diretta su Facebook

Erika Guevara-Rosas ha ripreso in diretta su Facebook le immagini degli scontri. La diretta inizia con una serie di colpi di arma da fuoco.