Proteste e uso eccessivo della forza: il risveglio della società civile represso dai governi del mondo

13 Gennaio 2020

Tempo di lettura stimato: 19'

Nel 2019 migliaia di persone hanno deciso con coraggio di combattere contro le ingiustizie in prima persona esercitando il loro legittimo diritto alla libertà di espressione pacifica.

In tutto il mondo manifestazioni di massa hanno riempito le piazze e le strade delle metropoli o dei piccoli centri per chiedere più democrazia, protestare contro la corruzione, manifestare per la giustizia sociale, protestare contro la mancata azione dei governi per fermare i cambiamenti climatici.

In molti casi, le forze di polizia hanno risposto reprimendo le proteste in gran parte pacifiche e ricorrendo a un uso eccessivo della forza.

Grazie alle testimonianze raccolte sul campo, attraverso l’analisi di immagini e video e, in alcuni casi, grazie al lavoro di osservazione svolto dai nostri attivisti, abbiamo documentato e denunciato le violazioni dei diritti umani compiute.


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Uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia: le proteste in Sud America

Le proteste contro la crisi economica in Cile

A ottobre in tutto il Cile migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro le misure economiche restrittive imposte dal governo guidato dal presidente Sebastián Piñera che ha risposto dichiarando lo stato di emergenza.

Durante lo stato d’emergenza sono stati uccisi almeno 17 manifestanti, centinaia i feriti, migliaia gli arresti.

Le manifestazioni, iniziate a metà ottobre per protestare contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, si sono poi estese alla richiesta di una società più giusta in cui lo stato garantisca diritti quali quelli alla salute, all’acqua, all’educazione e alla qualità della sicurezza sociale, in un paese profondamente iniquo.

La decisione del presidente Piñera di dispiegare l’esercito nelle strade a seguito della proclamazione dello stato d’emergenza ha avuto conseguenze catastrofiche.

Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani, almeno cinque persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e oltre 2300 sono state ferite: di queste, 1400 sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi.

La Procura ha registrato oltre 1100 denunce di maltrattamenti e tortura e 70 denunce di violenza sessuale a carico di pubblici ufficiali.

Finora, grazie alla nostra missione di ricerca e alle segnalazione raccolte, abbiamo potuto documentare 23 casi di violazioni dei diritti umani nelle regioni di Valparaíso, Tarapacá, Bío-Bío, Antofagasta, Coquimbo, Maule e Araucanía e in 11 comuni della regione metropolitana di Santiago, verificatisi tra il 19 ottobre e l’11 novembre.

Le forze di sicurezza sotto il comando del presidente Sebastián Piñera – principalmente le forze armate e i carabineros (la polizia nazionale) – sono responsabili di attacchi generalizzati e dell’uso di una forza non necessaria ed eccessiva con l’obiettivo di colpire e punire i manifestanti.

Attraverso i nostri esperti, abbiamo analizzato e verificato in oltre 130 contenuti fotografici e video sull’uso non necessario ed eccessivo della forza.

Lo stato di emergenza in Ecuador

La protesta di 12 giorni, iniziata tra settembre e ottobre dal movimento indigeno e sostenuta da diversi fronti popolari ha portato 8 morti, 1340 feriti e 1192 persone arrestate, la dichiarazione dello “stato d’emergenza”, lo spostamento della capitale a Guayaquil (mai successo dal ritorno alla repubblica), il coprifuoco addirittura dalle prime ore del pomeriggio e, successivamente, la destituzione del Capo del Comando Congiunto delle Forze Armate e del Capo dell’Esercito

Violenti scontri in Bolivia

Il 21 ottobre in Bolivia l’annuncio di una possibile rielezione al primo turno di Evo Morales alla presidenza ha scatenato la protesta della piazza.

La situazione è tesissima in tutto il paese, scontri fra le opposte fazioni ci sono stati a La Paz mentre altri disordini con l’intervento delle forze di sicurezza sono avvenuti fuori dall’hotel in cui il Tse opera nella capitale boliviana, ma il conteggio non è stato sospeso. Lo è stato, invece, in tre sedi dipartimentali del Tse, nella stessa La Paz, a Chuquisaca e Oruro.

Porto Rico: le proteste in piazza per le dimissione del governatore Rosselló

Lunedì 22 luglio, centinaia di migliaia di persone hanno protestato a San Juan, la capitale di Porto Rico, per chiedere le dimissioni del governatore Ricardo Rosselló dopo lo scandalo dei messaggi sessisti e omofobi scambiati con alcuni suoi collaboratori.

Le manifestazioni di lunedì sono proseguite fino alle 23, quando la polizia ha iniziato a sparare gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro la folla nel tentativo di disperderla e di liberare le strade che nel frattempo erano state occupate di fronte al palazzo del governatore.

La violenta repressione del dissenso in Venezuela

Nel gennaio 2019, il Venezuela è stato attraversato da partecipatissime manifestazioni di piazza.

Dal 21 al 25 gennaio, in 12 dei 23 stati del Venezuela, sono state uccise almeno 47 persone, tutte a colpi d’arma da fuoco. Almeno 33 vittime sono state uccise dalle forze di sicurezza, altre sei da soggetti che agivano durante le manifestazioni con l’approvazione delle autorità. Undici delle morti sono qualificabili come esecuzioni extragiudiziali e sei di esse sono descritte nel nostro rapporto.

Nel corso di quei cinque giorni, oltre 900 persone – compresi bambini e adolescenti – sono state arrestate arbitrariamente.

Haiti: le manifestazioni per le dimissioni del presidente Moise

Da mesi Haiti è attraversata da proteste e scontri animati dai leader dell’opposizione che chiedono le dimissioni del presidente Jovenel Moise, al potere da febbraio 2017.

I manifestanti hanno eretto barricate sulle strade principali, hanno dato fuoco a pneumatici e si sono scontrati con la polizia.

Uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia: le proteste in Europa

Scontri a Barcellona e in Catalogna

Dopo le condanne di 12 dirigenti politici attivisti catalani, a Barcellona le persone sono tornate in piazza. In cinque giorni di incidenti risultano 83 arresti in tutta la Catalogna e 182 feriti, di cui 152 a Barcellona. Cortei degli indipendentisti e scontri ci sono stati anche a Madrid. Gravissimo un agente. Nella capitale catalana ci sono stati danni per 2,5 milioni di euro dall’inizio delle proteste.

Le manifestazioni sono state prevalentemente pacifiche, sebbene siano stati compiuti specifici atti di violenza.

Gli osservatori della sezione spagnola di Amnesty International hanno monitorato lo svolgimento delle manifestazioni e le mobilitazioni iniziate a Barcellona e nel resto della Catalogna il 14 ottobre documentando diversi casi di uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia.

Libertà di espressione in Gran Bretagna

La sera del 14 ottobre la Polizia metropolitana di Londra ha emanato nuove disposizioni in base alle quali chi manifesterà nella capitale britannica dopo le 21 sarà arrestato.

Si tratta di un provvedimento preso evidentemente nei confronti di Extinction Rebellion, il movimento che promuove azioni per contrastare la crisi del clima e che il 7 ottobre ha proclamato due settimane di “ribellione internazionale“.

La maggior parte delle manifestazioni di Extinction Rebellion si sono svolte in modo del tutto pacifico.

Le manifestazioni dei “Gilet gialli” in Francia

La prima protesta in Francia è avvenuta nel 2018 e da quel giorno non hanno smesso per mesi. Ogni sabato i gilet gialli hanno manifestato contro il governo di Emmanuel Macron: se all’inizio chiedevano lo stop all’aumento del prezzo della benzina, poi sono passati alla redistribuzione delle ricchezze e referendum di iniziativa popolare.

Secondo dati ufficiali dal novembre 2018, quando sono iniziate le proteste dei cosiddetti “gilet gialli”, sono stati feriti oltre 2200 manifestanti e 1500 agenti delle forze di polizia.

Anche il G7 di Biarritz è stato segnato da un’ingiustificabile repressione della libertà di assemblea e di movimento: 100 persone sono state arrestate, a molte altre è stato impedito di protestare pacificamente e solo di due manifestazioni è stato autorizzato lo svolgimento.

Libertà di espressione in Italia

Nella prima parte del 2019, abbiamo registrato in Italia diversi casi in cui le forze di polizia sono intervenute per rimuovere striscioni di protesta da piazze e balconi.

Tuttavia, il caso più eclatante è forse quello del pestaggio, a Genova, del giornalista Stefano Origone. Durante ore di tensione e violenza seguite alla decisione di autorizzare una manifestazione elettorale di Casa Pound, abbiamo assistito al brutale e inspiegabile pestaggio di un giornalista colpevole solo di fare il suo lavoro. Quel pestaggio è proseguito nonostante Origone si fosse dichiarato operatore dell’informazione ed è cessato solo quando un ispettore di polizia, grazie a un rapporto personale, lo ha riconosciuto.

La repressione delle opposizioni in Russia

Sabato 10 agosto 2019, decine di migliaia di persone hanno partecipato a Mosca a quella che è stata definita la più grande manifestazione antigovernativa tenuta in Russia dal 2011. Nonostante la protesta fosse stata autorizzata dal governo, la polizia ha arrestato decine di manifestanti, come aveva fatto durante le proteste tenute nei precedenti due sabati: diversi arresti sono stati eseguiti anche in altre città russe. Tra gli altri, è stata arrestata la politica di opposizione Lyubov Sobol, alleata di Alexei Navalny.

Anche il periodo precedente le elezioni della Duma (il parlamento) di Mosca dell’8 settembre è stato caratterizzato da nuove modalità con cui le autorità russe hanno violato la libertà di manifestazione e di espressione.

Uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia: le proteste nel continente africano

Egitto: in piazza contro il presidente Adbel Fattah al-Sisi

Dal 20 settembre 2019, le autorità egiziane hanno lanciato la più ampia campagna repressiva dalla salita al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Le persone arrestate sono oltre 2300, tra le quali almeno 111 minorenni.

Tra gli arrestati vi sono centinaia di manifestanti pacifici, avvocati per i diritti umani, giornalisti, attivisti ed esponenti politici.

La crisi nel Sudan e la deposizione di al Bashir

Il 22 febbraio il presidente del Sudan, Omar al Bashirha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, “licenziando” il governo federale e tutti i governatori statali.

L’annuncio dello stato di emergenza è arrivato dopo settimane di enormi proteste antigovernative, le più grandi dall’inizio della presidenza di Bashir, 30 anni fa.

Tra il dicembre 2018 e l’11 aprile 2019, in Sudan almeno 77 dimostranti sono stati uccisi e centinaia sono rimasti feriti per l’intervento delle forze di sicurezza. Il 3 giugno, le forze di sicurezza paramilitari conosciute con il nome di Forze di Supporto Rapido (Rsf), hanno brutalmente disperso un imponente sit-in a Khartoum con pallottole vere e gas lacrimogeno, uccidendo più di 100 persone e ferendone almeno altre 700.

Il 29 luglio i militari della Forza di supporto rapido hanno ucciso sei persone, tra cui quattro studenti minorenni, nella città di El Obeid. Stavano prendendo parte a una manifestazione contro l’accordo tra società civile e militari del 5 luglio per la futura condivisione del potere.

Marocco: uso eccessivo della forza contro i manifestanti saharawi

In Marocco, ad agosto 2019, abbiamo verificato un uso della forza eccessiva contro i manifestanti saharawi in occasione dei festeggiamenti della vittoria dell’Algeria alla Coppa d’Africa di calcio.

Attraverso la visione di filmati e la raccolta di testimonianze oculari, abbiamo denunciato che le forze di sicurezza marocchine – presenti in gran numero nelle strade di Laayoune il 19 luglio, giorno della finale Algeria-Senegal – hanno fatto ricorso alla forza eccessiva, esploso proiettili di gomma, lanciato pietre e gas lacrimogeni e provocato scontri con i manifestanti che festeggiavano sventolando bandiere algerine e saharawi e invocando l’autodeterminazione del Sahara occidentale.

Uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia: le proteste in Medio Oriente

Sconti in Libano contro la tassa sulle chiamate via WhatsApp

A ottobre, per quasi una settimana, migliaia di persone sono scese nelle piazze e nelle strade delle principali città del Libano per protestare contro l’ipotesi di una tassa sulle chiamate via WhatsApp e altri servizi di messaggeria.

Le forze di sicurezza libanesi hanno fatto uso della forza eccessiva per disperdere le manifestazioni, in larga parte pacifiche, che si sono svolte a Beirut Tripoli, Zouk Mikhael, Tiro e in altre città.

Abbiamo intervistato 21 testimoni oculari e un’avvocata per i diritti umani e esaminato immagini degli scontri. In base alle prove raccolte abbiamo denunciato l’utilizzo una grande quantità di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia libanesi che hanno anche puntato le armi contro i manifestanti e picchiato diversi di loro.

Dalle testimonianze raccolte è emerso che le forze di sicurezza hanno sparato in aria per allontanare i manifestanti da una barriera di sicurezza e poi ha lanciato gas lacrimogeni contro la folla per diverse ore.

Le proteste contro il governo in Iraq

Tra martedì 1 ottobre e mercoledì 2, in Iraq ci sono stati violenti scontri tra la polizia e centinaia di manifestanti. Il governo ha imposto il coprifuoco a oltranza nella capitale Baghdad e nelle città di Hillah, Najaf e Nassiriyah e ha parzialmente reso inaccessibile internet, per il 75 per cento, in tutto il Paese.

Nella notte tra il 27 e il 28 novembre diverse agenzie di sicurezza irachene hanno attaccato le manifestazioni nella città di Nassiriya, uccidendo almeno 25 persone e ferendone molte altre al mattino.

Questo è quanto abbiamo raccolto dopo aver ascoltato testimonianze dirette e aver esaminato decine di video e fotografie.

Abbiamo nuovamente sollecitato le autorità irachene a porre a freno l’operato delle forze di sicurezza, che a Nassiriya hanno ancora una volta usato proiettili veri.

Il 13 dicembre 2019 il Balkan Investigative Reporting Network (Rete del giornalismo investigativo dei Balcani) ha pubblicato una nuova inchiesta sulle granate contenenti gas lacrimogeno usate per uccidere manifestanti.

L’inchiesta ha collegato alcune di queste forniture a quello che nel 2008 venne definito “l’accordo del secolo” tra Serbia e Iraq. Queste rivelazioni smentiscono le dichiarazioni del ministro della Difesa dell’Iraq Najah al-Shammari secondo il quale quelle granate non erano state importate attraverso canali ufficiali iracheni.

Le proteste sul caro benzina in Iran

Sulla base di notizie attendibili ricevute negli ultimi giorni, abbiamo ulteriormente aggiornato ad almeno 208 il numero dei manifestanti uccisi nel corso delle proteste iniziate in Iran il 15 novembre contro l’aumento dei prezzi e il razionamento della benzina.

Le proteste della popolazione nascono per l’aumento del 50 per cento del prezzo della benzina e del razionamento imposto dal governo.

Il costo al litro è salito a 15.000 rial (10 centesimi di euro) dai 10.000 e per ogni auto il tetto massimo è stato portato a 60 litri. Superata questa quota il prezzo per litro è stato portato a 30.000 rial.

Abbiamo chiesto alla comunità internazionale di denunciare l’uso intenzionale della forza letale da parte delle forze di sicurezza iraniane.

Quasi tutte le vittime sono state uccise a colpi di arma da fuoco, con l’eccezione di un manifestante morto dopo aver inalato gas lacrimogeno e di un altro sottoposto a un pestaggio.

Riteniamo che il numero effettivo dei manifestanti uccisi sia significativamente più elevato e continuiamo a indagare.

Uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia: le proteste a Hong Kong

A marzo 2019, il governo di Hong Kong ha proposto l’introduzione di una norma che avrebbe permesso l’estradizione forzata in Cina. I cittadini hanno reagito in massa, protestando e scendendo in piazza come mai si era visto prima.

Sebbene il disegno di legge sull’estradizione sia stato ritirato, le proteste a Hong Kong continuano perché il movimento ha avanzato una richiesta molto più ampia di cambiamento.

Il nostro lavoro di “osservazione”

In diverse occasioni, le manifestazioni sono state seguite da nostri gruppi di attivisti. La sezione italiana ha istituito nel 2018 un gruppo di lavoro di “Osservatori“. Si tratta di attivisti, quindi volontari di Amnesty International, che sono presenti, insieme a una o più persone di staff, in situazioni di gestione di ordine pubblico per osservarne lo svolgimento. Per saperne di più su questo progetto, clicca qui.