Rapporto 2023 – 2024

Asia e pacifico

2023 The Washington Post

I paesi dell'area


PANORAMICA REGIONALE SULL’ASIA E PACIFICO

In diversi paesi si sono registrati modesti progressi per i diritti delle donne e delle persone Lgbti. In Thailandia è stata adottata una nuova legge che punisce la tortura e le sparizioni forzate e in Malesia è stata abolita la pena di morte obbligatoria. Tuttavia, nel complesso, le prospettive per i diritti umani nella regione dell’Asia-Pacifico sono rimaste desolanti.

L’escalation del conflitto armato in Myanmar ha provocato ulteriori morti e sfollamenti tra i civili. In Afghanistan, i talebani hanno intensificato la repressione, soprattutto contro donne e ragazze. Una crescente intolleranza al dissenso è stata evidente in gran parte della regione a causa dell’inasprimento delle restrizioni al diritto alle libertà d’espressione, riunione e associazione in diversi paesi e territori. Coloro che criticavano le politiche e le azioni dei governi, tra cui difensori dei diritti umani, attivisti politici e giornalisti, sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente; le proteste contro l’ingiustizia sono state spesso contrastate con un uso illegale, e talvolta letale, della forza.

Sono persistiti modelli di discriminazione di lunga data nei confronti di minoranze religiose ed etniche, delle cosiddette caste inferiori, di donne e ragazze, delle persone Lgbti e delle popolazioni native. Le persone appartenenti a questi e ad altri gruppi marginalizzati sono state duramente colpite soprattutto nei paesi toccati da crisi economiche. Sono state anche le prime a subire le conseguenze, spesso mortali, degli eventi meteorologici indotti dai cambiamenti climatici, ma i governi di tutta la regione non sono riusciti ad adottare misure efficaci per ridurre le emissioni di carbonio o per mettere in atto misure efficaci di protezione e adattamento alle catastrofi.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Il diritto alla libertà d’espressione è stato minacciato dai molti governi, che hanno intensificato la repressione su media, difensori dei diritti umani, partiti di opposizione, voci critiche verso il governo e altre persone.

Diversi paesi hanno mantenuto o intensificato restrizioni già estreme. In Afghanistan, giornalisti e altri operatori della stampa sono stati tra coloro che hanno subìto molestie e detenzioni arbitrarie e molti mezzi d’informazione sono stati sciolti o costretti a chiudere i battenti. In Myanmar, i giornalisti sono stati tra i condannati a lunghe pene detentive in processi iniqui. In Corea del Nord, il controllo totale dello spazio civico da parte del governo non ha mai avuto tregua, con dure sanzioni imposte a chiunque criticasse il governo o fosse coinvolto in un’ideologia “reazionaria”.

Altrove, gli sforzi del governo per mettere a tacere le voci critiche hanno assunto molteplici forme. Nuove leggi o regolamenti che limitavano il diritto alla libertà d’espressione sono entrati in vigore in Bangladesh, Cina, India, Pakistan, Papua Nuova Guinea e Singapore. Il nuovo governo delle Figi ha abrogato una legge che limitava la libertà degli organi d’informazione, ma ha lasciato in vigore altre leggi restrittive.

In Cambogia è stata revocata la licenza a uno dei pochi media indipendenti rimasti. Il governo indiano ha utilizzato come arma le agenzie centrali finanziarie e investigative per effettuare incursioni e sospendere le licenze di organi d’informazione e organizzazioni per i diritti umani. Il Bhutan, dove ai dipendenti pubblici è vietato condividere informazioni d’interesse pubblico con i media, è sceso nelle classifiche globali sulla libertà di stampa.

Per reprimere il dissenso sono state utilizzate sempre più tecnologie di censura e sorveglianza. In Cina, nuove linee guida hanno imposto ulteriori restrizioni agli utenti dei social media, mentre le società di social media hanno richiesto ad alcuni utenti di rivelare la propria identità, sollevando preoccupazioni sul diritto alla privacy. A Hong Kong, la draconiana legge sulla sicurezza nazionale e la legge sulla sedizione, risalente all’epoca coloniale, sono state utilizzate per censurare libri, canzoni, social media e altri contenuti online e offline. In Vietnam, Amnesty International ha scoperto che agenti statali o persone che agivano per loro conto erano probabilmente i responsabili di una campagna che ha utilizzato lo spyware Predator per prendere di mira decine di account di social media, ma il governo thailandese non ha affrontato le preoccupazioni sull’uso dello spyware Pegasus contro difensori dei diritti umani, politici e attivisti della società civile.

Anche le vessazioni giudiziarie nei confronti di chi ha condiviso informazioni o espresso opinioni critiche o ritenute sensibili dai governi sono state all’ordine del giorno. Giornalisti e attivisti in Vietnam sono stati perseguiti e incarcerati per “aver diffuso propaganda contro lo stato”. Alle Maldive, giornalisti sono stati arrestati per aver seguito manifestazioni di protesta e altri eventi. In Malesia, il governo non soltanto non ha mantenuto la promessa di abrogare le leggi che limitano il diritto alla libertà d’espressione, ma ha seguitato a utilizzarle per indagare, tra gli altri, registi ed editori di libri. In Thailandia, le autorità hanno proseguito con l’applicazione di leggi che limitano la comunicazione online per perseguire le voci critiche, mentre nelle Filippine chi criticava il governo ha continuato ad affrontare accuse pretestuose. In Indonesia, le richieste pacifiche per l’indipendenza della regione di Papua sono rimaste un reato punibile con il carcere. In Laos sono perdurate situazioni ricorrenti di intimidazioni, detenzioni arbitrarie, uccisioni illegali e sparizioni forzate nei confronti dei difensori dei diritti umani. Allo stesso modo in Pakistan, giornalisti, difensori dei diritti umani e persone critiche verso il governo e l’establishment militare sono stati tra le vittime di arresti arbitrari e sparizioni forzate.

Alcuni segnali hanno indotto a ritenere che la repressione transnazionale del dissenso si stia radicando. Le autorità cinesi e di Hong Kong hanno perseguito gli attivisti, compresi quelli fuggiti all’estero, emettendo mandati di arresto, offrendo ricompense economiche e facendo pressioni su altri paesi per ottenerne il rimpatrio. Due difensori dei diritti umani rimpatriati dal Laos sono stati successivamente detenuti in Cina. Le autorità del Vietnam sono state implicate nel rapimento dalla Thailandia di un famoso youtuber, mentre un difensore dei diritti umani laotiano è stato ucciso a colpi di arma da fuoco in Thailandia.

I governi devono abrogare tutte le leggi e i regolamenti che puniscono o limitano in altro modo l’espressione legittima, porre fine a qualsiasi indagine o procedimento giudiziario ingiustificati, collegati al legittimo esercizio del diritto alla libertà d’espressione e rispettare la libertà dei media.

 

LIBERTÀ DI RIUNIONE E ASSOCIAZIONE PACIFICA

Ad eccezione delle Figi, dove sono emersi segnali di maggiore tolleranza, i governi di tutta la regione hanno cercato di limitare ulteriormente il diritto di riunione pacifica.

In Thailandia, a fine anno erano state incriminate quasi 2.000 persone per aver partecipato alle proteste per le riforme politiche e sociali iniziate nel 2020. Probabilmente non si conoscerà mai il numero di persone detenute per aver preso parte a eventi commemorativi delle vittime dell’incendio di un caseggiato a Urumqi, in Cina, avvenuto nel 2022, e le proteste associate contro le restrizioni legate al Covid-19, ma sono state segnalate continue molestie nei confronti dei partecipanti, mentre una studentessa uigura è stata condannata a tre anni di reclusione per aver pubblicato un video delle proteste sui social media. In Malesia e Mongolia, le autorità hanno seguitato a utilizzare leggi repressive per limitare il diritto alla protesta pacifica mentre, in Corea del Sud, la linea sempre più dura contro le proteste “illegali” ha creato il terreno per esorbitanti richieste di risarcimento danni da parte di un’azienda statale contro attivisti per i diritti delle persone con disabilità. In Myanmar, decine di persone sono state arrestate per aver indossato fiori in occasione del compleanno dell’ex consigliera di stato detenuta Aung San Suu Kyi.

È rimasto un fenomeno comune l’impiego illegale della forza, che ha provocato feriti e talvolta decessi. In Afghanistan, secondo quanto riferito, i talebani hanno utilizzato armi da fuoco, idranti e pistole stordenti per disperdere le manifestazioni, comprese quelle a sostegno dei diritti delle donne. In Pakistan e Sri Lanka, le autorità hanno cercato di vietare le proteste e sono spesso ricorse all’uso eccessivo e illegale della forza contro i manifestanti, provocando morti e numerosi feriti in entrambi i paesi. In Bangladesh, la polizia ha utilizzato proiettili di gomma, munizioni vere e gas lacrimogeni contro le proteste guidate dall’opposizione, provocando almeno un morto. Sono state arrestate migliaia di persone. Le forze di sicurezza hanno fatto uso illegale della forza contro i manifestanti anche in Indonesia, Maldive e Nepal.

In diversi paesi sono state inasprite anche le restrizioni al diritto alla libertà di associazione. In Cambogia, l’unico partito di opposizione è stato escluso dalla partecipazione alle elezioni e un importante politico dell’opposizione è stato condannato a 27 anni di reclusione. Nelle Filippine, le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani sono state tra quelle accusate di legami con gruppi comunisti messi al bando o “schedate in rosso”, esponendo così i loro componenti ad accuse inventate, uccisioni illegali e altre violazioni dei diritti umani. In Corea del Sud, i sindacati hanno dovuto far fronte a un ambiente sempre più ostile e decine di attivisti sindacali sono stati sottoposti a indagini penali.

I governi devono rispettare e facilitare l’esercizio dei diritti alla libertà di riunione e associazione pacifica. Il lavoro dei difensori dei diritti umani deve essere rispettato e protetto e deve essere garantito un ambiente sicuro e favorevole per le loro attività.

 

ARRESTI E DETENZIONI ARBITRARI

Difensori dei diritti umani, attivisti politici e ambientali e altri sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente per aver contestato le politiche e le azioni del governo oppure per la loro identità etnica, religiosa o di altro tipo.

In Cina, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang, sono perdurati detenzioni arbitrarie e processi iniqui nei confronti di uiguri e di persone appartenenti ad altre minoranze etniche prevalentemente musulmane. In Myanmar, più di 20.000 persone sono rimaste in detenzione per essersi opposte al colpo di stato militare del 2021, mentre sono proseguiti processi gravemente iniqui.

In Pakistan, le autorità hanno utilizzato l’ordinanza sul mantenimento dell’ordine pubblico e la legge antiterrorismo, formulata in modo vago, per detenere arbitrariamente oltre 4.000 persone coinvolte nelle proteste seguite all’arresto dell’ex primo ministro Imran Khan a maggio. Altri 103 civili, tra cui leader politici e attivisti, sono stati processati da tribunali militari. Sebbene i tribunali indiani abbiano concesso la cauzione o annullato gli ordini di detenzione di diversi giornalisti detenuti arbitrariamente in Jammu e Kashmir, i difensori dei diritti umani in quelle zone e altrove nel paese hanno continuato a essere trattenuti senza processo, spesso per anni.

In Mongolia, le inadeguate garanzie procedurali hanno provocato un elevato numero di arresti senza mandato.

I governi devono porre fine a tutti gli arresti e le detenzioni arbitrarie di chi critica il governo e di altri e rilasciare immediatamente chiunque sia detenuto esclusivamente per l’esercizio pacifico dei propri diritti alla libertà d’espressione, riunione pacifica, associazione o altri diritti umani.

 

IMPUNITÀ E DIRITTO ALLA GIUSTIZIA

L’impunità è rimasta diffusa e alle vittime è stato regolarmente negato il diritto alla giustizia, alla verità e alla riparazione.

Sebbene la decisione della Corte penale internazionale di riprendere le indagini nelle Filippine abbia offerto qualche speranza alle famiglie delle innumerevoli vittime di omicidi illegali durante la “guerra alla droga” tuttora in corso, le responsabilità per le gravi violazioni dei diritti umani nel paese sono rimaste quasi del tutto evasive. In Thailandia è prevalsa l’impunità per le uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza statali. I governi di Sri Lanka e Nepal ancora una volta non sono riusciti a compiere progressi significativi per garantire giustizia, verità e riparazione alle decine di migliaia di vittime di crimini di diritto internazionale e di altre gravi violazioni dei diritti umani durante i rispettivi conflitti armati interni.

I governi devono affrontare il problema dell’impunità intraprendendo indagini approfondite, indipendenti e imparziali sui crimini previsti dal diritto internazionale e su altre gravi violazioni dei diritti umani e consegnando i presunti perpetratori alla giustizia in processi equi. La piena cooperazione dovrebbe essere estesa alle indagini internazionali, ai processi giudiziari e alle riparazioni previste per le violazioni storiche dei diritti umani.

 

VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Le violazioni del diritto internazionale umanitario sono continuate in Myanmar, dove attacchi aerei e terrestri indiscriminati e mirati da parte dell’esercito e delle milizie associate si sono diffusi in tutto il paese, provocando la morte di oltre 1.000 civili. Sono stati inoltre segnalati attacchi da parte di gruppi d’opposizione armata contro civili legati alle autorità militari del Myanmar. Nel contesto della continua resistenza armata ai talebani nella provincia afghana del Panjshir, sono emerse nuove prove di punizioni collettive contro la popolazione civile e di esecuzioni extragiudiziali di combattenti del Fronte di resistenza nazionale catturati, mentre attacchi da parte di gruppi armati, principalmente lo Stato islamico della provincia del Khorasan, hanno provocato migliaia di vittime.

Tutte le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale umanitario, anche ponendo fine agli attacchi indiscriminati o diretti contro i civili o le infrastrutture civili.

 

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

Diversi paesi sono rimasti impantanati in gravi crisi economiche. L’inflazione alle stelle in Laos e Pakistan e il conseguente aumento del costo della vita hanno avuto un impatto sui più esposti alla marginalizzazione. In Sri Lanka, dove oltre un quarto della popolazione ha rischiato di scendere al di sotto della soglia di povertà, l’accesso al cibo, all’assistenza sanitaria e ad altri bisogni primari è diventato una sfida quotidiana, in particolare per i lavoratori con salario giornaliero e i malaiyaha tamil. La crisi umanitaria in Afghanistan si è aggravata, facendo temere un ulteriore aumento del già elevato numero di persone che dipendono dagli aiuti umanitari, eppure il piano di risposta umanitaria è rimasto tristemente sottofinanziato.

In Papua Nuova Guinea, la cronica carenza di risorse del sistema sanitario ha fatto sì che gran parte della popolazione non abbia potuto accedere a un’assistenza sanitaria adeguata. L’insicurezza alimentare persisteva in Corea del Nord e l’assistenza sanitaria, compresi medicinali e vaccini essenziali, spesso non è stata disponibile.

Gli sgomberi forzati e le demolizioni di case hanno lasciato migliaia di persone nell’indigenza e senza casa o a rischio di diventarlo. In Cambogia è continuato il procedimento di sgombero forzato di 10.000 famiglie dal sito di Angkor, patrimonio mondiale dell’Unesco. Quasi 300.000 persone sono rimaste senza casa in India in seguito all’abbattimento degli insediamenti informali a Delhi in vista del vertice del G20 e sono proseguite le demolizioni di case, attività commerciali e luoghi di culto in gran parte musulmani, come punizione per le violenze comunitarie. In Indonesia, le autorità hanno risposto con forza eccessiva alle comunità che protestavano contro gli sgomberi pianificati e i progetti di sviluppo infrastrutturale, mentre in Laos la costruzione di una diga ha minacciato di costringere a sfollare migliaia di abitanti dei villaggi, senza adeguate misure di risarcimento.

I diritti culturali e linguistici e il diritto all’istruzione per le minoranze etniche in tutta la Cina sono stati compromessi dalle politiche governative, incluse le politiche assimilazioniste nei confronti dei minori tibetani e uiguri.

I governi dovrebbero garantire che i diritti economici, sociali e culturali siano tutelati e che le politiche non peggiorino le violazioni dei diritti al cibo, alla salute e ai mezzi di sussistenza.

 

RESPONSABILITÀ AZIENDALE

Troppo spesso è rimasta evasiva la responsabilità delle imprese per le violazioni dei diritti umani. Tuttavia, la ricerca di Amnesty International sul Myanmar ha contribuito a sviluppi positivi e diverse società legate alla fornitura di carburante per aerei utilizzato dall’esercito del Myanmar negli attacchi aerei contro i civili hanno interrotto il loro coinvolgimento. Inoltre, l’Ue, il Regno Unito, gli Stati Uniti e altri paesi hanno adottato sanzioni mirate contro alcune di queste società.

I governi devono mettere in atto una legislazione che richieda alle aziende di rispettare la diligenza dovuta sui diritti umani per garantire che le loro operazioni e quelle dei loro partner non causino o contribuiscano ad abusi dei diritti umani e che venga posto rimedio a qualsiasi danno derivante dalle loro operazioni.

 

LIBERTÀ DI RELIGIONE E CREDO

La libertà di religione o credo è rimasta minacciata, soprattutto nell’Asia meridionale. In India sono stati registrati centinaia di episodi di violenza e intimidazione nei confronti di persone musulmane. La violenza contro le minoranze religiose è stata diffusa anche in Pakistan, con la profanazione dei luoghi di sepoltura degli ahmadi e accuse di blasfemia utilizzate per prendere di mira le minoranze, anche per giustificare attacchi contro oltre 20 chiese avvenuti in un solo giorno. In Afghanistan, le minoranze religiose, tra cui sciiti e hazara, sikh, indù, cristiani, ahmadi e ismailiti, hanno subìto discriminazione estrema sotto i talebani, che hanno anche fatto in modo che l’insegnamento religioso formale fosse basato esclusivamente sui dettami dell’Islam sunnita.

I governi devono adottare misure efficaci, comprese riforme legali e politiche ove necessario, per proteggere, promuovere e garantire pienamente la libertà di religione o di credo senza discriminazioni.

 

DIRITTI DI DONNE E RAGAZZE

La protezione legale contro la violenza sessuale è stata rafforzata in Giappone, dove la definizione di stupro nel diritto penale è stata estesa per includere il sesso non consensuale. Nelle Figi sono stati rimossi gli ostacoli giuridici alla partecipazione alle elezioni per le donne sposate.

Ma per molte donne e ragazze nella regione la realtà è rimasta quella della discriminazione e della violenza sistemica. Un numero elevato di episodi di molestie e violenze, tra cui stupri e altre violenze sessuali, hanno continuato a essere segnalati, soprattutto nell’Asia meridionale, e il riconoscimento delle responsabilità è stato raro. In India ha destato particolare preoccupazione l’elevato numero di episodi di violenza sessuale contro donne dalit, adivasi e kuki, da parte di membri delle caste dominanti.

La discriminazione ha assunto molte forme. In Afghanistan, le restrizioni sempre più estreme ai diritti di donne e ragazze e la portata delle violazioni dei diritti umani nei loro confronti hanno raggiunto il livello del crimine contro l’umanità di persecuzione di genere. In Nepal, alle donne ha continuato a essere negata la parità dei diritti di cittadinanza. In Bhutan, Figi, Giappone e altrove le donne sono rimaste significativamente sottorappresentate nelle cariche pubbliche e nel mondo del lavoro.

I governi devono accelerare gli sforzi per sostenere e promuovere i diritti delle donne e delle ragazze, porre fine alla discriminazione di genere e intersezionale contro donne e ragazze e prevenire e perseguire la violenza di genere.

 

DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Per quanto riguarda i diritti Lgbti, si sono avuti sia progressi che battute d’arresto. A Taiwan, le autorità hanno riconosciuto il diritto al matrimonio della maggior parte delle coppie omosessuali transnazionali e, il 21 dicembre, i legislatori thailandesi hanno avviato un processo per legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Le sentenze dei tribunali di Corea del Sud, Hong Kong e Nepal hanno dato un maggiore riconoscimento ai diritti delle coppie dello stesso sesso e/o delle persone transgender. Tuttavia, in Corea del Sud, la Corte costituzionale ha confermato la punizione delle relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso all’interno dell’esercito. Inoltre, i governi hanno generalmente reagito appellandosi contro le sentenze di affermazione dei diritti e ritardandone l’attuazione.

La posizione precaria delle persone e dei gruppi Lgbti è stata evidente anche in Cina, dove un’importante organizzazione Lgbti è stata costretta a chiudere a fronte della continua campagna anti-Lgbti da parte del governo. In Pakistan, gruppi politici e islamisti hanno condotto una campagna di disinformazione che ha messo a rischio le tutele legali esistenti per le persone transgender (khawajasara) e ha provocato un aumento della violenza e delle molestie contro le persone transgender e gender diverse. In India, la Corte suprema ha rifiutato di concedere il riconoscimento legale al matrimonio tra persone dello stesso sesso. In Malesia sono stati vietati libri e altri materiali ritenuti promuovere stili di vita Lgbti e in Mongolia è stata vietata una marcia per i diritti Lgbti.

I governi dovrebbero abrogare le leggi e le politiche che discriminano le persone Lgbti, anche depenalizzando le relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso, e dovrebbero riconoscere il matrimonio omosessuale, promuovere e proteggere i diritti delle persone Lgbti e consentire loro di vivere in sicurezza e dignità.

 

DIRITTI DEI POPOLI NATIVI E DISCRIMINAZIONE ETNICA E DI CASTA

La discriminazione contro le popolazioni native e in base all’etnia e alla casta è rimasto fenomeno abituale. In paesi come Cambogia, Indonesia e Malesia, i diritti dei popoli nativi sono stati ignorati mentre lo sfruttamento commerciale delle loro terre ne ha minacciato la vita e i mezzi di sussistenza. Le consultazioni con le comunità colpite, laddove si sono svolte, sono state spesso superficiali e gli attivisti delle popolazioni native sono stati esposti a violazioni dei diritti umani. Nelle Filippine, due attivisti nativi impegnati nella protezione ambientale sono stati vittime di sparizione forzata e i leader dei diritti dei popoli nativi sono stati designati come terroristi.

Un’opportunità storica per far progredire i diritti del popolo delle prime nazioni in Australia è stata persa con la bocciatura, in un referendum nazionale, della proposta di istituire una “Voce” aborigena, che avrebbe consentito ai nativi di rivolgersi direttamente al parlamento. In Nuova Zelanda, le persone māori hanno continuato a subire discriminazioni ed emarginazione anche nel sistema di giustizia penale, dove hanno continuato a essere significativamente sovra rappresentate. In India, la discriminazione basata sulle caste è continuata senza sosta.

I governi devono garantire un accesso effettivo alla giustizia per le vittime della discriminazione etnica e basata sulle caste, porre fine all’impunità per le violazioni dei diritti umani contro dalit, popolazioni native e altri gruppi a rischio e dare priorità a politiche e programmi per eliminare la discriminazione strutturale anche nel sistema di giustizia penale.

 

TORTURA E ALTRO MALTRATTAMENTO

In Thailandia, l’introduzione del reato di tortura e di sparizione forzata ha messo in rilievo la forza delle campagne concertate delle vittime e dei difensori dei diritti umani, ma resta ancora molto da fare, lì e altrove, per impedire la tortura e altre forme di maltrattamento.

Numerosi casi di tortura e altro maltrattamento di detenuti sono stati segnalati in tutta la regione e le morti in custodia sono state fin troppo comuni. Almeno 94 detenuti sono morti in custodia durante l’anno in Bangladesh e almeno 13 in Malesia. Le autorità nepalesi non sono riuscite a individuare i responsabili delle numerose denunce credibili di tortura e altro maltrattamento. In Afghanistan, secondo quanto riferito, alla grande diffusione della tortura dei detenuti si sono accompagnate punizioni corporali pubbliche equivalenti a tortura o altro maltrattamento. L’esercito indonesiano si è reso responsabile della detenzione arbitraria, della tortura e della morte in custodia di civili nativi papuani, inclusi dei minori.

I governi devono proibire e punire la tortura e altri atti di maltrattamento e adottare misure efficaci per proteggere e prevenire gli abusi nei confronti dei gruppi marginalizzati e a rischio. Laddove si verifichino, gli stati devono indagare sulle denunce, chiamare i perpetratori a rispondere delle loro azioni e fornire alle vittime un rimedio tempestivo.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

Inondazioni devastanti, temperature in aumento e tifoni letali hanno evidenziato la vulnerabilità della regione agli eventi indotti dai cambiamenti climatici. Tuttavia, le misure per ridurre le emissioni di carbonio e per la preparazione e l’adattamento alle catastrofi sono rimaste ampiamente inadeguate. Come sempre, è stata la popolazione più povera e più emarginata a subire le conseguenze più gravi di questi fallimenti.

L’elevato numero di vittime tra i rohingya a causa del ciclone che ha colpito il Myanmar a maggio è in gran parte attribuibile alle terribili condizioni in cui vivono da quando furono sfollati con la forza, nel 2012. In India si sono registrati quasi 200 morti a causa delle inondazioni nella regione dell’Himalaya e delle ondate di calore negli stati dell’Uttar Pradesh e del Bihar. Il Pakistan ha continuato a subire gravi ondate di caldo indotte dai cambiamenti climatici, che hanno avuto un grave impatto sulla salute, in particolare di coloro che vivono in povertà e dei lavoratori del settore informale.

Gli sforzi di mitigazione, a partire dagli obiettivi di emissione fissati da molti stati, compresi i maggiori inquinatori, sono rimasti insufficienti a mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Le politiche e le azioni spesso sono state in contrasto persino con il raggiungimento degli obiettivi su cui gli stati si erano impegnati. Per esempio, Taiwan ha adottato leggi che impongono al governo di ridurre le emissioni, ma non ha indicato un orizzonte temporale per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e l’esplorazione petrolifera è continuata.

Anche la riduzione della dipendenza dal carbone nei sistemi energetici della regione ha dato pochi segnali. Al contrario, nuovi impianti alimentati a carbone e progetti di estrazione carbonifera hanno continuato a essere autorizzati dai governi di Australia, Cina, Corea del Sud e Indonesia, spesso nonostante una forte opposizione interna. Il Giappone è stato l’unico paese industrializzato al mondo a non essersi impegnato a eliminare gradualmente l’uso del carbone nella produzione di elettricità.

Gli stati hanno ripetutamente ignorato l’impatto delle industrie estrattive sull’ambiente, sulle popolazioni native e sulle altre comunità colpite. In Mongolia, per esempio, le azioni intraprese non sono state ancora sufficienti per fronteggiare l’impatto delle operazioni minerarie nella regione del Gobi sulla salute e sui mezzi di sussistenza delle comunità di pastori. A Papua Nuova Guinea, il governo ha rilasciato una licenza per riavviare un’operazione di estrazione dell’oro precedentemente associata a gravi violazioni dei diritti umani e danni ambientali, nonostante la società coinvolta non avesse adeguatamente affrontato tali problemi.

I paesi industrializzati e gli altri paesi ad alte emissioni della regione devono assumere un ruolo guida nella mitigazione del clima, anche fermando l’espansione della produzione di combustibili fossili e dei sussidi, e garantire che le loro politiche climatiche siano coerenti con il mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C. I governi devono aumentare gli investimenti nella preparazione e nell’adattamento alle catastrofi e dare priorità alla protezione delle persone marginalizzate e di altri gruppi colpiti in modo sproporzionato dalla crisi climatica.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE E MIGRANTI E TRATTA DI ESSERI UMANI

La detenzione a tempo indeterminato di rifugiati e richiedenti asilo è stata dichiarata incostituzionale dai tribunali di Australia e Corea del Sud, ma le tutele per rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono rimaste inadeguate in tutta la regione e i loro diritti umani sono stati ampiamente ignorati.

Molti rifugiati e migranti sono stati detenuti arbitrariamente e a tempo indefinito, anche in squallidi centri di detenzione per immigrati, oppure sono stati loro negati alloggi adeguati e servizi di base e non hanno avuto libertà di movimento.

Le autorità malesi non hanno indagato sulla morte di 150 persone, tra cui donne e minori, nei centri di detenzione per migranti avvenute nel 2022 e, nel frattempo, sono perdurate le preoccupazioni sulle condizioni nei centri. In Bangladesh, un incendio in un campo e un ciclone hanno reso nuovamente senza casa migliaia di rifugiati rohingya. In Thailandia è stato istituito un nuovo meccanismo per lo screening di rifugiati e richiedenti asilo, ma la loro detenzione a tempo indeterminato è continuata e le pessime condizioni hanno provocato la morte di due uomini uiguri. Una nuova legge sull’immigrazione in Giappone ha sancito la prosecuzione della detenzione indefinita di rifugiati e richiedenti asilo, mentre le modifiche alla legge sull’immigrazione di Taiwan non sono riuscite a includere tutele contro il respingimento.

Ha destato serie preoccupazioni la sorte di centinaia di nordcoreani rimpatriati forzatamente dal governo cinese, nonostante gli avvertimenti che probabilmente avrebbero subìto severe punizioni. A ottobre, dopo che il governo pakistano ha annunciato che i rifugiati afgani non registrati dovevano lasciare il paese entro un mese, sono state rimpatriate con la forza in Afghanistan oltre 490.000 persone, molte delle quali erano fuggite per timore di persecuzione da parte dei talebani. La Malesia ha inoltre violato il principio di non respingimento rimpatriando forzatamente i rifugiati in Myanmar, dove hanno subìto gravi violazioni dei diritti umani.

Sono rimaste inadeguate le risposte dei governi alla tratta di esseri umani in Cambogia, Laos, Myanmar e Thailandia, dove lavoratori stranieri sono stati reclutati con mezzi ingannevoli e costretti, spesso sotto minaccia di violenza, a lavorare in truffe online e operazioni di gioco d’azzardo illegali.

I governi devono cessare di detenere i richiedenti asilo sulla base del loro status di migrazione e consentire loro di cercare protezione internazionale. In nessuna circostanza una persona dovrebbe essere rimandata forzatamente in un luogo in cui potrebbe subire persecuzione o altre violazioni dei diritti umani. Le protezioni contro la tratta di esseri umani dovrebbero essere rafforzate e alle persone sopravvissute dovrebbe essere fornito supporto legale e di altro tipo, anche per facilitare il rimpatrio, laddove sia possibile farlo in sicurezza.

 

PENA DI MORTE

Con una mossa positiva, il governo della Malesia ha abrogato la pena di morte obbligatoria per tutti i reati e ha abolito completamente la pena di morte per sette reati. Tuttavia, la pena capitale ha continuato a essere ampiamente utilizzata in tutta la regione, spesso in violazione del diritto e degli standard internazionali. In Cina come in Vietnam sono state segnalate esecuzioni, ma i dati sull’uso della pena di morte sono rimasti classificati come segreto di stato. In Afghanistan, secondo quanto riferito, sono state comminate condanne a morte, anche con metodi come la lapidazione che, secondo gli organismi delle Nazioni Unite, costituisce trattamento o punizione crudele, disumana o degradante. A Singapore, una donna è stata tra le persone messe a morte per reati legati alla droga, mentre attivisti e avvocati contrari alla pena capitale sono stati vittime di molestie.

I governi che ancora mantengono la pena di morte devono adottare misure urgenti per abolirla.

 

DIRITTI DEI MINORI

La criminalizzazione dei minori ha continuato a destare preoccupazione in diversi paesi. In Australia e in Nuova Zelanda, minori di soli 10 anni possono ancora essere detenuti, mentre si è rilevato che anche le strutture di detenzione giovanile in entrambi i paesi costituiscono un pericolo per i minori. In Thailandia si contano quasi 300 minori tra le persone incriminate per aver partecipato alle proteste, in gran parte pacifiche, degli ultimi anni. Tra questi, c’era un giovane condannato a un anno di reclusione con sospensione della pena per due anni, per aver partecipato nel 2020, quando era sedicenne, a una finta sfilata di moda che faceva satira sul monarca. In Corea del Nord sono continuate le segnalazioni di un diffuso ricorso al lavoro forzato, anche da parte di minori.

I governi non devono mai arrestare o detenere i minori per aver esercitato i loro diritti, inclusa la libertà di riunione pacifica e d’espressione. I governi dovrebbero innalzare l’età minima della responsabilità penale a 14 anni o più e devono garantire che i minori in conflitto con la legge siano trattati in conformità con i princìpi della giustizia minorile, anche limitando rigorosamente il ricorso alla detenzione.

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