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STATO DI LIBIA

Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno intensificato la loro repressione del dissenso e gli attacchi contro la società civile sull’intero territorio nazionale. Migliaia di persone rimanevano arbitrariamente detenute in condizioni che violavano il divieto assoluto di tortura e altro maltrattamento, mentre centinaia di manifestanti pacifici, attivisti, giornalisti e altre persone sono stati arrestati unicamente a causa del pacifico esercizio dei loro diritti umani. Le milizie e i gruppi armati hanno ucciso e ferito civili e distrutto infrastrutture civili durante le intensificate offensive armate. I gruppi armati hanno costretto migliaia di persone ad abbandonare le loro case, anche come rappresaglia per la loro presunta affiliazione o per appropriarsi dei loro terreni. In un contesto dominato da una pervasiva impunità e dal continuo finanziamento di milizie senza scrupoli e gruppi armati sempre più integrati nelle istituzioni statali, sono cresciute le richieste per un accertamento delle responsabilità, alla luce della sconcertante perdita di vite umane, della distruzione e degli sfollamenti forzati seguiti al ciclone Daniel. Discriminazione e violenza contro donne e ragazze sono rimasti fenomeni pervasivi. Le persone Lgbti hanno continuato a essere sottoposte ad arresti arbitrari, procedimenti giudiziari ingiusti e altri abusi. Le minoranze etniche hanno continuato a subire discriminazioni e a incontrare ostacoli nell’accesso all’assistenza medica, all’istruzione e ad altri servizi. Rifugiati e migranti, compresi quelli intercettati in mare dalle unità della guardia costiera supportata dall’Ue e dai gruppi armati, sono stati sottoposti a tortura e altro maltrattamento, estorsione e lavoro forzato; a migliaia sono stati espulsi con la forza al di fuori delle procedure dovute.

 

CONTESTO

È proseguita l’impasse politica della Libia con le fazioni rivali che non riuscivano a trovare un accordo per un nuovo governo di unità nazionale o a fissare nuove date per le elezioni parlamentari e presidenziali, più volte rinviate.

A giugno, è trapelata una relazione dell’autorità di controllo amministrativo che faceva riferimento a 80.000 violazioni amministrative e finanziarie a tutti i livelli delle istituzioni statali sotto il governo di unità nazionale (Government of National Unity – Gnu) nel 2022. A ottobre, l’ufficio di revisione dei conti della Libia ha pubblicato il suo rapporto annuale che rivelava una diffusa appropriazione indebita di fondi pubblici durante il 2022.

Ad agosto, la Banca centrale libica ha annunciato la sua riunificazione dopo una divisione durata un decennio. La mossa arrivava dopo lunghe lotte per il suo controllo e la chiusura dei campi petroliferi da parte di attori affiliati al gruppo armato Forze armate arabe libiche (Libyan Arab Armed Forces – Laaf).

A settembre, il ciclone Daniel ha causato il simultaneo crollo di due dighe nella città di Derna, che in entrambi i casi non ricevevano manutenzione da decenni, determinando un bilancio di circa 4.540 morti e 8.500 dispersi, e causando una vasta devastazione e un grande numero di persone sfollate.

Sempre a settembre, il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia ha riportato che i combattenti stranieri e le compagnie militari private rappresentavano ancora una grave minaccia per la sicurezza in Libia e che l’embargo sulle armi, in vigore dal 2011, veniva violato impunemente.

 

DETENZIONE ARBITRARIA, PRIVAZIONE DELLA LIBERTÀ E PROCESSI INIQUI

Migliaia di persone, anche minorenni, sono state arbitrariamente arrestate e detenute dalle milizie, dai gruppi armati e dalle forze di sicurezza, unicamente per la loro reale o sospetta affiliazione politica o tribale e/o le loro opinioni; oppure al termine di processi gravemente iniqui, celebrati anche da tribunali militari; o senza base legale.

Secondo il ministero della Giustizia del Gnu, a ottobre erano oltre 18.000 le persone trattenute in 31 carceri dislocate sul territorio nazionale, due terzi delle quali senza processo. Altre migliaia erano trattenute in strutture di detenzione controllate dalle milizie e dai gruppi armati.

A maggio, la Libia ha consegnato alla Tunisia quattro donne e cinque minorenni di nazionalità tunisina, sottoposti a detenzione arbitraria senza accusa né processo dal 2016, solo perché parenti di combattenti uccisi, che erano schierati con il gruppo armato Stato islamico (Islamic State – Is).

Sono proseguiti gli attacchi contro giudici, procuratori e avvocati. I miliziani dell’Apparato di deterrenza per combattere il crimine organizzato e il terrorismo (Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism – Dacto) hanno continuato a detenere arbitrariamente Farouq Ben Saeed, un procuratore militare di Tripoli, rapito a giugno1.

 

TORTURA E ALTRO MALTRATTAMENTO

Tortura e altro maltrattamento sono rimaste pratiche diffuse nelle carceri e nelle altre strutture di detenzione dislocate sul territorio libico. Le “confessioni” dei detenuti estorte sotto tortura davanti a una telecamera hanno continuato a essere pubblicate online e trasmesse in televisione.

In tutto il territorio libico si sono contati almeno 15 decessi in custodia, collegati a resoconti di tortura fisica e deliberato diniego di cure mediche, anche nelle strutture controllate dal Dacot, dall’agenzia per la sicurezza interna (Internal Security Agency – Isa) a Derna, dalla milizia Apparato di supporto alla stabilità (Stability Support Apparatus – Ssa) e dalla direzione per la lotta alla migrazione illegale (Directorate for Combating Illegal Migration – Dcim) del ministero dell’Interno. Ad agosto, Walid Al-Tarhouni, rapito da miliziani dell’Ssa a luglio, è stato trovato cadavere all’obitorio dell’ospedale Abu Salim di Tripoli; secondo quanto riportato da un referto medico-legale, il corpo presentava segni di tortura.

I detenuti erano trattenuti in condizioni che violavano il divieto assoluto di tortura e altro maltrattamento, come sovraffollamento, mancanza d’igiene, di cibo sufficiente e di accesso alla luce del sole, oltre al diniego delle visite familiari.

 

LIBERTÀ D’ASSOCIAZIONE

Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno ulteriormente soffocato lo spazio civico, anche attraverso arresti arbitrari, convocazioni a scopo di interrogatorio e altre forme di vessazione nei confronti del personale libico e straniero delle Ong presenti su tutto il territorio libico e operatori umanitari.

Tra marzo e maggio, il Gnu ha emanato vari decreti che minacciavano di sciogliere le Ong se non si fossero conformate alla legge repressiva n. 19 del 2001 sulle Ong.

Ad aprile, il dipartimento per le indagini penali affiliato alle Laaf ha arbitrariamente arrestato cinque membri del partito Insieme per la patria, vicino a Saif al-Islam al-Gaddafi, nella città di Sirte, e li ha trattenuti senza accusa o processo fino al loro rilascio, a ottobre.

A maggio, l’Isa di Tripoli ha arrestato e mandato in onda le confessioni forzate ottenute sotto tortura di committenti libici dell’Ong italiana Ara Pacis, che “ammettevano” di lavorare per il reinsediamento di cittadini di paesi dell’Africa Subsahariana nel sud della Libia, in un contesto di crescenti attacchi diffamatori contro le Ong che lavorano per i diritti di rifugiati e migranti. Le iniziative di Ara Pacis in Libia sono state sospese a tempo indeterminato.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E RIUNIONE

Le milizie e i gruppi armati hanno arbitrariamente arrestato, detenuto e minacciato centinaia di attivisti, giornalisti, manifestanti e altri solo per avere esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica.

A febbraio, l’Isa di Bengasi ha arrestato la cantante Ahlam al-Yamani e la creatrice di contenuti Haneen al-Abdali per “avere offeso le tradizioni della Libia”, accusandole di avere violato la legge n. 5 del 2022 sui reati informatici. Sono state rilasciate ad aprile senza accusa né processo.

Durante l’anno, l’Isa di Tripoli ha arbitrariamente arrestato almeno un minorenne, quattro donne e 22 uomini, unicamente in relazione all’esercizio dei loro diritti umani, e pubblicato alcune delle loro “confessioni” forzate, accompagnate da affermazioni riguardanti un loro coinvolgimento in attività contrarie ai “valori libici”, come “apostasia”, “omosessualità”, proselitismo e femminismo. Diciotto delle persone arrestate sono rimaste detenute in attesa di processo, anche per l’accusa di “apostasia”, che comporta la pena di morte.

Tra maggio e settembre, nelle città di Tripoli, Bengasi e al-Zawiya, le milizie e i gruppi armati hanno sparato illegalmente munizioni vere in aria per disperdere le proteste pacifiche contro la loro presa del potere e il deterioramento della situazione della sicurezza.

Il gruppo armato Tariq Ben Zeyad (Tbz) ha arrestato almeno nove manifestanti che si erano radunati davanti alla moschea Sahaba di Derna il 18 settembre per chiedere un accertamento delle responsabilità dietro alle catastrofiche inondazioni e le relative dimissioni dei politici. La maggior parte di loro è stata rilasciata nell’arco di 10 giorni, ma un organizzatore della protesta e un attivista a fine anno erano ancora detenuti2.

A ottobre, le indagini condotte dalle collaborazioni investigative europee hanno rivelato che aziende che compongono l’“alleanza Intellexa” avevano venduto tecnologie di sorveglianza alle Laaf nel 2020.

 

ATTACCHI ILLEGALI

Durante sporadici attacchi localizzati, le milizie e i gruppi armati hanno violato il diritto umanitario internazionale, compiendo tra l’altro attacchi indiscriminati e distruggendo infrastrutture civili e proprietà private.

A gennaio, Abdel Moez Masoud Oqab, un ragazzo di 10 anni, è morto dopo la deflagrazione di un ordigno inesploso abbandonato sul terreno dal conflitto armato del 2019, nel distretto Qasr Bin Ghashir di Tripoli.

A maggio, il ministero della Difesa con base a Tripoli ha lanciato raid aerei su obiettivi della città di al-Zawiya e altre località della Libia occidentale, con il dichiarato scopo di sradicare le reti criminali, provocando feriti tra i civili e la distruzione di infrastrutture civili, compreso un ambulatorio medico.

Ad agosto, i combattimenti in alcuni quartieri residenziali di Tripoli, come Ain Zara, Firnaj e Al-Tibbi, che hanno visto confrontarsi la Dacto e la Brigata 444 attraverso l’utilizzo di armi esplosive con effetti ad ampio raggio, hanno ucciso almeno 45 persone, ferendone almeno altre 164, civili compresi.

Gli scontri avvenuti tra il 6 e l’8 ottobre a Bengasi tra le Laaf e combattenti fedeli ad Al-Mahdi Al-Barghathi, un ex ministro della Difesa, si sono conclusi con un bilancio di cinque persone morte e molte altre ferite, civili compresi, in concomitanza con un blocco dell’accesso a Internet imposto dalle Laaf. Affiliati alle Laaf hanno inoltre preso in ostaggio 36 donne e 13 minori per costringere Al-Mahdi Al-Barghathi e suo figlio a consegnarsi. A fine anno, la sorte di Al-Mahdi Al-Barghathi e di altri 33 suoi parenti e sostenitori rimaneva sconosciuta in seguito al loro rapimento.

A settembre e ottobre, il Tbz e altri gruppi armati hanno distrutto abitazioni civili in un’apparente rappresaglia per le affiliazioni politiche dei loro proprietari, anche a Qasr Abu Hadi, a sud di Sirte, e a Bengasi.

 

IMPUNITÀ

Le autorità e i comandanti delle potenti milizie e dei gruppi armati hanno goduto di una pressoché totale impunità per i crimini di diritto internazionale e le gravi violazioni dei diritti umani commessi nel 2023 e negli anni precedenti.

A marzo, la Missione indipendente delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti (Fact-Finding Mission – Ffm) in Libia ha concluso che “esistono fondati motivi per ritenere che le forze di sicurezza statali e i gruppi delle milizie armate abbiano commesso un’ampia gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Nonostante ciò, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha terminato il mandato della Ffm e adottato una risoluzione incentrata su attività di capacity-building, senza alcuna componente di monitoraggio e indagine.

A maggio, il primo ministro del Gnu ha firmato un decreto che integrava i membri delle milizie di Tripoli, della città di Misurata e di altre parti della Libia occidentale in un nuovo reparto di sicurezza, l’Apparato nazionale delle forze di supporto, senza alcun controllo.

Sempre a maggio, il procuratore dell’Icc ha annunciato quattro nuovi mandati di cattura collegati alla situazione in Libia, ma non ha rivelato i nomi dei sospettati.

A dicembre, il pubblico ministero con base a Tripoli ha concluso le indagini relative al cedimento delle dighe di Derna e rinviato 16 funzionari di medio rango al giudizio della camera d’accusa per negligenza e cattiva gestione, in un clima di preoccupazione per la trasparenza e l’indipendenza dell’indagine e per la sua incapacità di affrontare le responsabilità dei vertici delle autorità e dei potenti comandanti dei gruppi armati.

 

DISCRIMINAZIONE

Donne e ragazze

Le donne hanno subìto discriminazioni nella legge e nella prassi, anche in relazione a questioni come matrimonio, divorzio, eredità, impiego, diritto di trasmettere la loro nazionalità ai figli e cariche politiche. Le donne impegnate nella politica, le attiviste e le consigliere comunali hanno dovuto affrontare minacce e insulti motivati dal genere, anche online.

Da aprile, l’Isa di Tripoli ha stabilito per le donne che viaggiavano da sole l’obbligo di compilare un modulo su cui riportare le motivazioni del loro viaggio all’estero senza un “tutore” di sesso maschile (mahram).

Le autorità non hanno provveduto a proteggere donne e ragazze dalla violenza perpetrata dai gruppi armati, dalle milizie, dai membri della loro famiglia e da altri attori non statali; in alcuni casi, hanno anche impedito alle donne sopravvissute a episodi di violenza di sporgere denuncia presso l’autorità giudiziaria.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Le relazioni omosessuali consensuali sono rimaste criminalizzate. L’Isa di Tripoli e altri gruppi armati hanno continuato ad arrestare individui a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale e/o dell’identità di genere, tra resoconti di tortura e altro maltrattamento. Nella sua relazione di maggio, la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze ha dichiarato che le autorità del Gnu avevano dichiarato che in Libia non c’erano individui Lgbti.

A settembre, l’Isa di Bengasi ha sequestrato dai negozi giocattoli, capi d’abbigliamento e altri gadget color arcobaleno, sostenendo che questi articoli incoraggiavano “l’omosessualità”.

Minoranze etniche e popolazioni native

I membri delle comunità tribali tabu e tuareg che non avevano carte d’identità nazionali a causa delle discriminatorie leggi e disposizioni che disciplinano il diritto alla nazionalità libica hanno incontrato ostacoli nell’accesso all’istruzione e ai servizi di assistenza medica.

Ad agosto, i gruppi armati affiliati alle Laaf hanno effettuato un’incursione nel quartiere della “Compagnia cinese” a Umm Al-Aranib, saccheggiando beni privati e arrestando arbitrariamente uomini tabu, secondo quanto riferito da attivisti e politici del luogo. L’attacco ha avuto luogo su uno sfondo caratterizzato da una retorica razzista e xenofoba contro i membri della comunità tabu.

Persone sfollate internamente

Secondo l’Organizzazione internazionale per la migrazione (International Organization for Migration – Iom), nel paese rimanevano almeno 170.664 persone sfollate internamente. Tra queste c’erano 44.862 persone che avevano perso la loro casa in seguito il ciclone Daniel, con la gran parte che aveva trovato un riparo provvisorio presso parenti o preso in affitto un locale da privati e che necessitava dei servizi più essenziali e di assistenza post traumatica.

Da marzo, il Tbz ha sgomberato migliaia di residenti di Bengasi dalle loro abitazioni, comprese quelle localizzate nel centro storico della città, senza forme di compensazione, e ha vessato quelli che protestavano.

Le persone sfollate durante le precedenti ostilità che avevano interessato Bengasi, Derna e altre parti della Libia orientale, oltre che la città di Murzuk, nella Libia sudoccidentale, non sono riuscite a ritornare nei loro luoghi d’origine, a causa del rischio di persecuzione o di rappresaglia da parte dei gruppi armati.

A gennaio, le milizie hanno costretto decine di famiglie originarie della città di Tawergha, sfollate internamente dal conflitto armato del 2011, ad andarsene dagli insediamenti informali dove avevano trovato riparo nei dintorni di Tripoli e Bani Walid. Le Laaf e i gruppi armati a loro affiliati hanno impedito a centinaia di tawerghanesi sfollati internamente di rientrare nei sette campi per sfollati interni localizzati a Bengasi e nelle sue vicinanze, dove avevano vissuto per anni e da dove era stato loro detto di evacuare il 10 settembre, prima del ciclone Daniel. Decine di loro sono stati costretti con la forza a ritornare nella città di Tawergha, nonostante la mancanza di servizi e opportunità di lavoro.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE E MIGRANTI

Rifugiati e migranti sono stati sottoposti a diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani e agli abusi compiuti dalle forze di sicurezza, dai gruppi armati e dalle milizie, che hanno agito nell’impunità.

Secondo l’Iom, al 25 novembre, al largo della costa libica durante l’anno erano morti 947 migranti e altri 1.256 risultavano dispersi in mare. Oltre a questi, 15.057 erano stati intercettati in mare e rimandati con la forza in Libia dalle unità della guardia costiera supportata dall’Ue in Libia occidentale, oltre che dalle forze navali speciali libiche affiliate alle Laaf e dal Tbz in Libia orientale.

Il 19 agosto, il Tbz ha intercettato all’interno dell’area di ricerca e soccorso maltese un’imbarcazione che trasportava circa 110 persone, principalmente di nazionalità libanese e siriana, facendole sbarcare a Bengasi. L’imbarcazione era salpata da Akkar, in Libano, ed era diretta in Italia. Cinque delle persone a bordo hanno affermato di essere state arbitrariamente detenute sotto un tendone allestito al porto di Bengasi e che alcune di loro, compresi minorenni, erano state sottoposte a lavoro forzato.

A partire da fine aprile, le agenzie di sicurezza operanti su tutto il territorio libico hanno effettuato arresti di massa prendendo di mira migliaia di rifugiati e migranti, anche quelli in possesso di un regolare visto o che erano già registrati presso l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

I cittadini stranieri arbitrariamente detenuti nei centri di detenzione gestiti dalla Dcim erano a settembre 3.913, con migliaia di altri trattenuti dall’Ssa e altre milizie e gruppi armati. Erano trattenuti in condizioni crudeli e disumane e sottoposti a tortura e altro maltrattamento, come violenza sessuale, estorsione a scopo di riscatto in cambio della libertà e diniego di cure mediche adeguate.

Da luglio, le autorità tunisine hanno espulso con la forza migliaia di rifugiati e migranti, abbandonandoli in aree desertiche al confine tra Tunisia e Libia, lasciandoli senza cibo o acqua, in una situazione al limite della sopravvivenza che avrebbe causato anche dei morti (cfr. Tunisia).

I gruppi armati affiliati alle Laaf hanno espulso con la forza oltre 22.000 rifugiati e migranti verso Ciad, Egitto, Niger e Sudan, senza dare loro l’opportunità di contestare la loro espulsione o di chiedere protezione internazionale.

 

PENA DI MORTE

L’ordinamento libico ha mantenuto la pena di morte per un’ampia gamma di reati. A luglio, il pubblico ministero, Al-Siddiq Al-Sour, ha annunciato la creazione di un comitato con l’incarico di esaminare la ripresa delle esecuzioni, che rimanevano sospese dal 2011.

Sono state emesse nuove condanne a morte al termine di processi gravemente iniqui, celebrati anche da tribunali militari. A maggio, un tribunale di Misurata ha condannato a morte 23 persone per il loro coinvolgimento con l’Is, al termine di un processo segnato da accuse di tortura e sparizione forzata.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

La Libia non aveva ancora né ratificato l’Accordo di Parigi né presentato strategie di mitigazione e adattamento, ma ha per contro annunciato di avere in programma di raddoppiare la produzione di combustibili fossili entro il 2030. La scarsa capacità di reazione del paese di fronte agli effetti del cambiamento climatico è stata messa in evidenza dall’enorme perdita di vite umane causata dal ciclone Daniel. Le autorità nella Libia orientale avevano fornito ai residenti di Derna istruzioni contrastanti sulla necessità di evacuare l’area o di rispettare il coprifuoco in previsione dell’inondazione. Secondo l’Organizzazione metereologica mondiale, le morti avrebbero potuto essere evitate con opportune misure di allerta ed evacuazione. Secondo uno studio pubblicato dal World Weather Attribution, eventi estremi simili a questo sono “diventati almeno 50 volte più probabili e fino al 50 per cento più intensi di quanto sarebbero con un clima più freddo di 1,2°C”.

 

 

Note:
1 Libya: Military prosecutor forcibly disappeared: Farouq Alsqidig Abdulsalam Ben Saeed, 24 luglio.
2 Libya: Lift restrictions on media and facilitate relief efforts in wake of catastrophic floods, 21 settembre.

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