Corea del Sud: Amnesty chiede abolizione pena capitale

9 Febbraio 2021

Tempo di lettura stimato: 2'

Approfondimento a cura del Coordinamento tematico sulla pena di morte. Per restare aggiornato iscriviti alla newsletter. Per consultare i numeri precedenti clicca qui.

Il 2021 potrebbe essere l’anno cruciale per la Corea del Sud. È l’auspicio di Amnesty International che ha lanciato un’azione per incoraggiare le autorità del paese asiatico a intraprendere nuovi passi verso l’abolizione definitiva della pena di morte. I presupposti per un esito positivo sono diversi. Lo scorso mese di dicembre, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), le autorità sudcoreane hanno votato per la prima volta a favore di una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte.

Da più di 20 anni non si registrano esecuzioni e la condanna capitale è stata applicata sporadicamente in alcuni casi di omicidio. Alla fine del 2019, erano 61, tra cui due cittadini stranieri, i detenuti nel braccio della morte con sentenza definitiva. Amnesty si augura la presentazione in Assemblea Nazionale di un nuovo disegno di legge per l’abolizione della pena di morte, contando anche sul fatto che il presidente Moon Jae-in, noto e rispettato avvocato per i diritti umani prima di ricoprire questa carica, è all’ultimo anno di mandato. E Amnesty spera che voglia segnare la conclusione della sua presidenza con un atto significativo.

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cifre

I dati sulla pena di morte nel 2020

In totale 142 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica. 56 paesi mantengono in vigore la pena capitale, ma quelli che eseguono condanne a morte sono assai di meno.

*: questa lista contiene soltanto i dati sulle esecuzioni di cui Amnesty International è riuscita ad avere notizia certa. In alcuni paesi asiatici e mediorientali il totale potrebbe essere molto più elevato. Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. Ogni anno, viene rinnovata la sfida alle autorità cinesi di rendere disponibili queste informazioni che si ritiene essere nell’ordine di migliaia, sia di esecuzioni che di condanne a morte.

Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. Ogni anno, viene rinnovata la sfida alle autorità cinesi di rendere disponibili queste informazioni che si ritiene essere nell’ordine di migliaia, sia di esecuzioni che di condanne a morte.

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Altre notizie

Arabia Saudita – Drastica riduzione delle esecuzioni nel 2020. E’ quanto emerge dai dati diffusi il 18 gennaio 2021 dalla Commissione per i Diritti Umani del governo saudita. Sarebbero 27 le persone messe a morte lo scorsa anno, l’85% in meno del 2019 quando si raggiunse il massimo storico di 184 esecuzioni. “Il forte calo è stato determinato in parte da una moratoria sulla pena di morte per reati legati alla droga”, ha detto la Commissione saudita. Si tratta di una nuova legge che ordina l’interruzione di tali esecuzioni entrata in vigore l’anno scorso. Già nel 2018 Riad aveva vietato l’applicazione della pena di morte nei confronti dei minorenni, misura che sarebbe stata applicata retroattivamente proprio lo scorso anno e che ha portato alla recentissima commutazione di pena per Ali Al-Nimr, di cui parliamo nel ‘Primo Piano’. I condannati a morte per reati commessi in età minore scontano oggi una pena che può arrivare fino a dieci anni di detenzione. Per il presidente della Commissione, Awwad Alawwad, il Paese “si sta concentrando più sulla riabilitazione e sulla prevenzione che sulla semplice punizione” e “sta dando una seconda possibilità ai criminali non violenti”.

Bielorussia – Il Tribunale regionale di Minsk ha condannato a morte il 15 gennaio scorso Viktar Skrundzik, ritenuto colpevole dell’omicidio di due persone anziane e del tentato omicidio di una donna di 85 anni. Lo riporta il Centro per i Diritti Umani Viasna. Skrundzik era già stato condannato a morte nel marzo 2020, ma in seguito a un appello la Corte Suprema aveva annullato la sentenza rinviando il caso al tribunale di Minsk. Il nuovo processo iniziato lo scorso 7 settembre, è stato più volte sospeso a causa del COVID-19. Il pubblico ministero aveva chiesto le stesse sentenze pronunciate prima dell’annullamento del verdetto: esecuzione per Viktar Skrundzik e pene detentive per gli altri imputati, Valiantsin Bushnin, Vital Miatsezh e Siarhei Zakharchanka. La corte di Minsk alla fine gli ha dato ragione. (fonte: Viasna)

Egitto – Secondo i dati raccolti dall’organizzazione per i diritti umani Reprieve, lo scorso anno il paese ha messo a morte 152 persone. Una forte accelerazione rispetto ai 32 del 2019 e alla manciata di esecuzioni all’anno registrate durante la presidenza Mubarak. In occasione dell’anniversario delle rivolte che dieci anni fa rovesciarono il regime di Mubarak, dodici organizzazioni internazionali, tra cui anche Amnesty International, hanno chiesto nei giorni scorsi in una lettera aperta indirizzata all’Alto rappresentante UE per la Politica estera, Josep Borrell, e ai Ministri degli Esteri degli Stati europei, una profonda revisione delle relazioni tra Unione Europea ed Egitto. Le organizzazioni esprimono “profonda preoccupazione per la situazione dei diritti umani” nel paese e chiedono “di intraprendere i passi da tempo necessari per segnalare alle autorità del Cairo che il disprezzo di queste ultime per i diritti umani non sarà ulteriormente tollerato”. (fonti: The Times  e Amnesty International).

Iraq – Il presidente dell’Iraq ha ratificato più di 340 condanne a morte pochi giorni dopo il doppio attentato rivendicato dall’Isis che ha ucciso il 21 gennaio scorso oltre trenta persone a Baghdad. Le ratifiche riguardano sentenze capitali per terrorismo e altri atti criminali. Una fonte anonima dell’ufficio del presidente Barham Salih ha detto a Iraqi News Agency (INA) che le approvazioni sono avvenute dopo che “i casi sono stati esaminati sotto tutti i loro aspetti costituzionali e legali”, indicando che le condanne capitali hanno ricevuto la ratifica finale necessaria per essere applicate. Le prime esecuzioni potrebbero essere quelle di tre iracheni che il 25 gennaio sono stati impiccati in una prigione a sud di Nassiriya. Fonti giudiziarie hanno riferito all’AFP che nel 2020 sono avvenute almeno 30 esecuzioni. Una notizia “profondamente preoccupante” per le Nazioni Unite che hanno invitato l’Iraq a fermare ogni ulteriore esecuzione pianificata.

Iran – Non sono stati sufficienti gli appelli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali. Il 30 gennaio, Javid Dehghan è stato impiccato nella prigione centrale di Zahedan, nella provincia del Sistan-Baluchestan. Dehghan, 31 anni, attivista della minoranza etnica baluchi, è stato condannato per l’omicidio di due membri del Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane nel 2015. Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, la condanna a morte si era basata sulla confessione estorta sotto tortura di essere un membro del gruppo militante sunnita Jaish al-Adl e dalle dichiarazioni di cinque coimputati di un suo coinvolgimento nell’agguato alle due guardie. L’uomo non avrebbe avuto neppure la necessaria assistenza legale. Il Sistan-Baluchestan, la provincia più povera dell’Iran, è popolata per lo più da sunniti beluci. La minoranza lamenta discriminazioni etniche e religiose da parte della maggioranza sciita e accusa il governo iraniano di aver deliberatamente trascurato la provincia a causa della fede sunnita della popolazione.

Brevi dal mondo

12 gennaio – Mustafa Abu Ruwais, 24 anni, è stato condannato a morte dal Tribunale per la Sicurezza dello Giordania. L’uomo era accusato di aver accoltellato nel novembre 2019 otto persone, quattro dei quali turisti stranieri (tre messicani e uno svizzero), in un sito turistico del Regno. Vittime dell’attacco, una guida turistica e un addetto alla sicurezza che cercò di intervenire. Ruwais, un giordano di origine palestinese, al momento dell’attacco era residente nel campo Souf di Jerash, che ospita circa 20mila profughi palestinesi.

26 gennaio – Mehdi Ali Hosseini è stato messo a morte a Dezful, nel sud-ovest del Paese. Hosseini, 30 anni, un wrestler di livello regionale, è stato condannato alla pena capitale perchè accusato dell’uccisione di un giovane durante una lite nella città di Andimeshk. Lo scorso anno la Corte Suprema aveva confermato la condanna a morte nei suoi confronti. L’uomo è stato impiccato nel carcere della città nonostante gli appelli a suo favore delle organizzazioni per i diritti umani e della comunità internazionale. Pochi mesi fa, lo scorso settembre, le autorità iraniane avevano messo a morte un altro wrestler, Navid Afkari, accusato dell’omicidio di un agente durante le proteste antigovernative del 2018 a Shiraz. Una esecuzione che aveva sollevato un’ondata di sdegno in tutto il mondo.

29 gennaio – Lai Xiaomin, ex manager del gruppo finanziario cinese China Huarong accusato di aver ricevuto tangenti per oltre 277 milioni di dollari, è stato messo a morte dopo essere stato condannato alla pena capitale all’inizio del mese di gennaio. Il tribunale lo aveva anche dichiarato colpevole di “poligamia”. E’ l’ultima figura di spicco a finire nelle maglie della feroce campagna anti-corruzione lanciata nel 2012 dal presidente Xi Jinping. Lai, al quale è stato concesso di incontrare i parenti stretti prima dell’esecuzione, è stato definito dal tribunale di Tianjin come “l’uomo più corrotto dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949”.

5 febbraio – Il 65% delle condanne a morte comminate lo scorso anno in India riguardano reati sessuali (50 su 77) e nell’82% i casi hanno coinvolto minori. Lo rivela un rapporto del Project 39A, un gruppo di ricerca e difesa di Nuova Delhi. Dall’analisi emerge come il numero complessivo delle sentenze capitali sia diminuito nel corso degli anni ma è aumentata notevolmente l’incidenza di reati sessuali. In India sono 404 i prigionieri nel braccio della morte e lo scorso anno ci sono state tre esecuzioni.

Buone notizie

Usa – L’8 gennaio Eddie Lee Howard, un afroamericano del Mississippi, è stato riconosciuto innocente dopo una battaglia durata oltre un quarto di secolo. Aveva già lasciato il braccio della morte all’inizio dello scorso dicembre, dopo che il 31 agosto la Corte Suprema dello Stato aveva annullato il verdetto di colpevolezza e la condanna alla pena capitale. Howard era stato condannato a morte nel 1994 per l’omicidio di un’anziana donna bianca. Ci sono voluti 26 anni per riconoscere, attraverso un alibi di ferro e un test del Dna sull’arma usata per l’omicidio, che Howard non c’entrava niente.

Zambia – Il 28 gennaio il Presidente dello Zambia Edgar Lungu ha commutato in ergastolo 246 condanne a morte. Il provvedimento è stato adottato nell’ambito delle misure di contrasto alla pandemia da COVID-19, per decongestionare il braccio della morte che ospitava fino al giorno prima alcune centinaia di condannati a fronte di una capienza di 50 detenuti. Sotto la presidenza Lungu il totale delle commutazioni dal 2015 è arrivato a oltre 500. Pur mantenendo in vigore la pena capitale, lo Zambia non esegue condanne a morte dal 1997.

Nigeria – Il 1° gennaio 2021 il governatore dello stato di Kaduna, Nasir el Rufai, ha commutato in ergastolo la condanna a morte di Joshua Yashim, giudicato colpevole nel 2011 di un omicidio avvenuto nel 2007. In carcere per 13 anni, dopo la condanna a morte non aveva potuto presentare appello per la mancanza di risorse economiche.

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